Grottole è un borgo a 30 km da Matera, sopravvissuto a terremoti e crolli.
Il nome evoca le “grotticelle”, locali ancora visibili lungo le pendici del paese ed utilizzati dagli artigiani per plasmare dall’argilla vasi e brocche.
Tante salite, tante discese. Su e giù per vicoli e stradine. Ogni tanto uno spiazzo e uno sguardo giù nella vallata.
Una porta accanto all’altra.
Qui si conoscono proprio tutti. Straordinarie abitudini di vita ormai perse nella nostra corsa folle contro il tempo.
Simbolo di Grottole, la Chiesa Diruta, senza dubbio uno dei monumenti più spettacolari di questa magnifica regione.
Questa magnifica opera si presenta scoperta verso il cielo e le stelle, perché priva di cupola, fragile nella sua incompiutezza, ma nel contempo altera nella sua mole. Resta un gioiello ignoto.
Da alcuni punti del paese e scendendo lungo i suoi pendii è possibile ammirare tutt’intorno l’intera valle ed il lago di San Giuliano, un lago artificiale costruito alla fine degli anni ’50 con lo sbarramento del fiume Bradano, al fine di utilizzare le sue acque in agricoltura.
Il lago che si è venuto a formare è lungo circa 10 chilometri e presenta insenature suggestive Il panorama è spettacolare: una lingua azzurra che si estende nella verde valle.
Ci sono posti che non si dimenticano e dove il tempo scorre lento.
Possono essere posti romantici e suggestivi, caotici e disordinati, solitari e silenziosi.
La Basilicata per me era una terra sconosciuta. Ma poi sono arrivati i racconti di una persona cara e ho scoperto uno di quelli che ora definisco luoghi del cuore.
Settimana scorsa sono stata a Milano, per uno stage al Kataklo Teatre Accademy. Ero impegnata dalle 9 del mattino alle 17, ma non volevo tornare a casa senza vedere qualcosa di Milano. Così mia madre ha organizzato minuziosamente le nostre giornate dividendole in due parti: la mattina dedicata a Giada e la serata dedicata a me, Giada e la nonna.
Per tale ragione non vi parlerò della Chiesa di S. Ambrogio, del Cenacolo di Leonardo da Vinci o del Museo della Scienza e della Tecnica, tutti sicuramente da vedere, ma di luoghi a misura di ragazzo/bambino, freschi e ombreggiati, perfetti per concedersi un momento di pace dal caldo che ha attanagliato e attanaglia ancora d’estate Milano.
Ho scoperto che Milano è una città in fermento costante che riesce a trasferire anche nei più piccoli questo suo entusiasmo per la cultura e la creatività.
Primo giorno.
Mentre io ero in Accademia, Giada e la nonna sono andate al Parco Avventura, a pochi minuti da Piazzale Corvetto. È una zona verde, con alberi alti dove, imbragati, si passa da una pianta all’altra grazie a piattaforme sospese, ponti tibetani, carrucole, corde e scale. Ci sono percorsi divisi per difficoltà che vengono indicati all’ingresso del parco. Per lei è stato puro divertimento, io posso solo raccontarlo attraverso le sue parole.
Il pomeriggio dopo le 17 ci siamo dirette in centro per cercare di entrare al Duomo o al Palazzo Reale, ma l’impresa è stata ardua poiché la biglietteria chiudeva alle 17.45. Per cui decidiamo di provare l’indomani con l’aiuto da casa: la mamma che acquista on line i biglietti salta fila.
Secondo giorno.
La nonna e Giada decidono di andare ai Giardini Idro Montanelli, uno dei polmoni verdi della città e come prima tappa scelgono di Museo Civico di Storia Naturale. Ci sono ben due piani tutti da scoprire: il piano terra è interamente dedicato agli animali preistorici, soprattutto i dinosauri; il secondo si trovano riproduzioni dei principali ambienti naturali della nostra Terra, dagli oceani agli ambienti tropicali, dalla savana ai poli. Non è un museo interattivo, ma un museo “vecchio stampo” con tanti modelli e tante didascalie attraverso cui scoprire dinosauri e animali.
Sempre all’interno deiGiardini Indro Montanelli, c’è il Planetario Hoepli di Milano, pronto a stupire con le osservazioni del cielo stellato e le spiegazioni dei fenomeni astronomici, fornite dalle guide. Giada era un fiume in piena per tutto ciò che ha imparato sul colore delle stelle e sulla loro temperatura.
La sera, invece, decidiamo di passeggiare in Piazza Duomo e andare al caffè Rabbit, un locale totalmente ispirato alle avventure di Alice: cappelli enormi appesi al soffitto con le teiere, tazzine in ceramica, fiori giganti, orologi e la grande scacchiera. Sul bancone dei dolci una scritta a led rosa suona come un imperativo: «Follow your cake». Beh !!!!!! non è affatto semplice.
Terzo giorno
Giada e la nonna si dirigono al giardino botanico di Brera. E’ un giardino storico, un museo a cielo aperto dove si intersecano aspetti naturalistici, botanici, estetici e storici.
L’Orto Botanico di Brera, fu voluto dall’imperatrice Maria Teresa d’Austria edin breve tempo divenne un luogo di studio e di scienza.
Ma perché non visitare anche il Museo di Brera, si è chiesta la nonna. Ed il passo è stato breve.
Io adoro i musei, camminare fra le loro sale immaginando di passeggiare dentro un libro, dove ogni scultura, ogni dipinto, racconta una storia. A Brera puoi scoprire che un museo non è solo un contenitore di opere ma anche un luogo in cui ci sono persone che si prendono cura delle opere, infatti esiste un’intera sala dedicata al restauro di quadri, a vista.
La sera avevamo finalmente i biglietti per la mostra di Leandro Erlich, al Palazzo Reale.
Oltre la Soglia è un’importante esposizione che raccoglie in un unico percorso 19 importanti opere dell’artista argentino. Le opere sfruttano oggetti della quotidianità, ma con alcuni dispositivi l’artista riesce a ribaltare le percezioni e la realtà.
In Oltre la Soglia si viene continuamente coinvolti e si diviene parte dell’opera. Leandro Erlich vuole infatti coinvolgere lo spettatore attraverso cambi di prospettiva, illusioni ottiche, manipolazione percettiva e scene inaspettate.
Alcune opere che ci sono piaciute sono:
Le Nuvole. All’interno di una teca sono contenute le nuvole. Speciali formazioni, ben illuminate e soffici così come siamo abituati a vederle in natura.
La stanza del porto. Le tre barche davanti a noi, vuote ed illuminate, sono quasi ferme e galleggiano sull’acqua, dondolando lievemente a causa delle onde. Ma siamo sicuri?? in realtà non c’è acqua.
Lost Garden. Qui è riprodotto un piccolo giardino decisamente particolare. Affacciandoti in una delle sue due finestre per sbirciare l’”esterno” ti troverai a comparire anche alle altre finestre che danno sul giardino.
Infinite Staircase. In questa installazione ci siamo ritrovatedavanti a una scala a chiocciola a grandezza naturale, che si sviluppa però in orizzontale. Si ha la sensazione di guardare verso il basso anziché versoun lato.
Classroom Si tratta di, una stanza semibuia divisa in due parti da un grande vetro, estremamente malinconica. La stanza a cui puoi accedere è estremamente spoglia, dotata solamente di alcuni sgabelli e tavoli che ti invitano a sederti. Girandoti sulla destra, oltre il vetro, potrai notare un’aula scolastica fatiscente, illuminata da una luce fioca. Ci siamo sedute nella prima sala, ma apparivamo quasi come fantasmi all’interno dell’altra classe, che sembra essere ferma nel tempo.
Hair Salon Sulle porte ci sono gli orari di apertura del salone da parrucchiere e entrandovi ti troverai in una fedele ricostruzione di un salone, con tanto di spazzole, pettini, spruzzini e phon. Ogni postazione dispone di una sedia e di uno specchio, ma mentre gli specchi sui lati esterni riflettono le immagini delle persone, quelli centrali sono solo delle cornici. Sedendoti in queste postazioni non ti vedrai riflesso, ma dall’altraparte troverai una persona differente che ti guarderà in maniera disorientata.
Palazzo. L’opera più bella per noi. E’composta dalla facciata di un palazzo posizionata in orizzontale su cui si erge un enorme specchio posto obliquamente a 45° sugli spettatori. Lo specchio dà l’impressione che le leggi della gravità siano momentaneamente sospese.
Si tratta di un’opera d’arte interattiva, in cui il pubblico è invitato a salire sulla facciata e ad arrampicarsi, dando vita a una vera e propria performance.
Penso che nessuno venga a Milano senza vedere il Duomo. Cosi la nostra ultima sera siamo salite sulle guglie del Duomo per ammirare le sue sculture e per godere di una vista unica su Milano.
Grazie mamma, anche telefonicamente sei riuscita a guidarci in questa avventura e grazie nonna, ormai entrata a pieno diretto nel gruppo delle Rondinelle in Viaggio.
Nel nostro viaggio a Parigi abbiamo dedicato il 4° giorno a Montmatre, in un bel itinerario a piedi. Montmartre è effervescente e dinamica, riesce a trasmettere allegria ed entusiasmo, coi suoi colori variopinti e l’atmosfera bohémienne. Ci siamo perse ad assaporare la magia di ogni angolo, tra vicoletti e piazzette artistiche, in uno dei quartieri più affascinanti di Parigi.
Con la metro siamo arrivate in Place des Abbesses, dove abbiamo acquistato alcuni souvenir molto carini. La zona è ricca di Café giovanili e vivaci che si alternano a negozi di moda.
Erano solo le 10 del mattino e non vi era nessuno davanti al cancello verde che custodisce, nascosto dalla vegetazione, il “Muro dei Ti amo”. Baron, l’artista che lo realizzò, chiese ai suoi vicini di scrivergli la romantica parola nella loro lingua. Arrivò a raccogliere fino a 311 “Ti amo” in lingue e dialetti da tutto il mondo. C’era anche il nostro “Ti amo”.
Lasciata Place des Abesses, abbiamo imboccato Rue Lepic. La notevole ripidità di questa strada non lasciava dubbi, stavamo percorrendo la famosa collina di Montmartre. Intravediamo il Moulin de la Galette, un vecchio mulino che sembra dipinto. In realtà si tratta di due mulini che, ad inizio ‘800, la famiglia Debray utilizzava per produrre la farina o pressare il raccolto.
Diventa famoso quando, nel 1834, la figlia Debray, decise di aprire una taverna vicino ai mulini che presto si trasforma in sala da ballo frequentata da numerosi artisti.
A poca distanza dal Moulin de la Galette, si incontra un’insolita scultura, “Le passe-mureille”. Si tratta di Monsieur Dutilleul, l’eroe del celebre romanzo di Marcel Aymé. Una sera, l’uomo scoprì di avere il fantastico potere di attraversare i muri. Dopo averlo sfruttato per diventare ricco e trovare l’amore, perse il potere e rimase incastrato nel muro di Rue Norvins, proprio dove si trova oggi.
Proseguiamo verso il Sacro Cuore e il café Consulat cattura gli occhi e il cuore. È uno degli edifici più antichi della collina di Montmartre. Con il suo particolare fascino, ci trasporta negli anni ’30, quando vi potevi ascoltare la voce magnetica di Edith Piaf o quando avevi l’occasione di assistere alle conversazioni animate di artisti come Picasso, Van Gogh e Monet.
Numerosi oggetti in ceramica colorata adornano le mura di un vicoletto in cui si trova la pittoresca “Gallerie d’Art”, dove ho acquistato la mia piastrella da collezione.
Dalla galleria si intravede uno degli scorci più famosi del quartiere: la celebre Maison Rose. È un luogo iconico a Montmartre, un bistrot rosa dalle persiane verdi.
Non si conosce l’anno esatto della sua costruzione, ma sembra che sia lì da prima del 1850. Al tempo, era solo una casa modesta tra le tante del villaggio. Nel 1905, fu acquistata dalla moglie del pittore Ramon Pichot e modella di Pablo Picasso, nonché sua ex amante. Secondo la leggenda, durante un soggiorno in Catalogna, la donna, affascinata dai colori pastello di queste case, ebbe l’idea di dipingere di rosa la sua casetta di Montmarte. Molto attenta all’ambiente, ai prodotti di stagione, la cucina della Maison Rose di oggi si ispira alle ricette della campagna francese, così come un tempo.
Da questo luogo ci troviamo davvero vicini alla Basilica del Sacro Cuore!
La basilica bianca, imponente, maestosa è uno dei simboli non solo del quartiere ma dell’intera città francese.
La costruzione della Basilica non è molto antica, i lavori infatti iniziarono nel 1875. Non vi è uno stile ben definito nella sua architettura, ma certamente salta agli occhi il travertino bianco. A differenza di quello che si potrebbe immaginare, l’internoè abbastanza spoglio,ad eccezione del mosaicodi Cristo che abbraccia i fedeli, molto grande posto dietro l’altare, e dei due organi.
Dopo aver visitato l’interno della Basilica del Sacro Cuore, ci siamo affacciati alla terrazza, restando incantati dallo splendido panorama su tutta Parigi.
Avete notato una casa al contrario che spunta dal prato verdeggiante davanti alla Basilica? No? Nemmeno noi! Infatti dopo aver fatto una ricerca sul campo, abbiamo scoperto che trattasi di illusione ottica, inclinando il telefono durante lo scatto la casa risulterà inclinata.
La più artistica, la più amata, la più viva piazza di Montmartre è Place du Tertre. È qui che a fine ‘800, gli artisti iniziarono a vivere non solo per l’atmosfera che si respirava sulla collina, ma anche per gli affitti più bassi rispetto a Parigi
Unapiazzetta frequentata da musicisti, pittori e caricaturisti che eseguono ritratti. E’ sempre piena di vita e ciò la rende moltoaffascinante. Restiamo attratti dal suono della fisarmonica di un artista che intonava canzoni francesi e dal suo gatto nero, che si districava sullo strumento musicale, ipnotizzato.
A montmatre, il tempo sembra essersi fermato al periodo della Belle Èpoque.
Quasi un piccolo mondo a sé che, anche se negli anni è diventato un cliché assediato da masse di turisti e ha perso molta della sua autenticità, conserva ancora il fascino del suo periodo aureo: rifugio di poeti maledetti e artisti di strada, misterioso, eccletico ed affascinante.
Alcuni giorni fa ho pubblicato alcune cartoline dalla Basilicata, anticipando l’argomento di questo breve tour.
Il 14 agosto abbiamo deciso come sempre si rinuciare al mare, perchè sempre troppo affollato, e siamo partite alla volta di Pietragalla, un piccolo comune della provincia di Potenza, dove la cultura del vino è rappresentata da una particolarissima architettura rurale: il parco dei Palmenti.
Si tratta di piccole case di pietra agglomerate, con i tetti ricoperti di erba e piccole porticine come uscio. E’ un luogo spettacolare al di là di ogni immaginazione, sembra di essere catapultati nella contea degli Hobbit de “Il Signore deglia anelli”.
I palmenti per Pietragalla rappresentano il luogo che un tempo profumava di uva e di mosto, il cuore pulsante di un’antica civiltà contadina.
Ogni palmento è caratterizzato da una o più vasche al suo interno, da una piccola porticina per l’ingresso e da una feritoia in alto utile alla fuoriuscita dell’anidride carbonica che si creava durante la fermentazione. L’uva raccolta nei vigneti circostanti e trasportata con asini in bigonce, veniva versata nella vasca più piccola e alta e pigiata a piedi nudi. Trascorso il periodo di fermentazione il vino veniva spillato dalle vasche in tufo per essere trasportato nelle “rutt” ovvero, le cantine costruite direttamente al di sotto del piano viabile sul quale il paese in forma circolare e concentrica è collocato.
Se i palmenti nascono li dove nasce il sole, ovvero a sud est di Pietragalla, per permettere di cominciare il lavoro all’alba, le rutt sono state costruite a nord, nella parte più ventilata e più fredda del paese detta Mancusa. Le rutt inoltre, grazie al tufo mantengono un livello sia di umidità che di temperatura costante per tutto l’anno proteggendo il vino dal caldo estivo e dal gelo invernale.
Il vero tuffo nel passato lo abbiamo fatto con la visita alla Casa Museo della civiltà contadina. Qui siamo state catapultate in un’epoca fatta di pizzi e oggetto di uso comune che raccontano di famiglie benestanti e di contadini, che testimoniano la vita dura nei campi e la frugalità dei pasti.
Da Pietragalla ci siamo spostate, sulla sommità di un colle a 800 metri di altitudine, dove sorge un borgo di grande fascino e mistero: Acerenza. La serata è inziata nel borgo storico che formicolava di gente per una notte bianca tutta particolare, in cui otto antiche botteghe, chiuse da anni, sono state trasformate in pop-up espositivi temporanei, per “un’immersione creativa multisensoriale”
Veduta panoramica dalla nostra stanzaNotte bianca ad Acerenza
Conosciuta anche come la “Città del Duomo” per via della maestosa cattedrale dedicata a Santa Maria Assunta, che domina l’antico borgo, nasconde nei suoi vicoli lastricati misteri e leggende, a cominciare dal Santo Graal che ne esalta il fascino.
Duomo
In pochi lo sanno, ma il fondatore dell’ordine dei Templari nacque a Forenza, un paese vicino ad Acerenza e per questo motivo Acerenza divenne il luogo di partenza e arrivo dei Cavalieri Templari. Per questo motivo Acerenza è così piena di misteri, al punto che si pensa sia proprio qui il Sacro Graal. Nella cripta della Cattedrale si può vedere una piccola finestrella da sempre murata e molti studiosi hanno ipotizzato che proprio qui si possa trovare la coppa dell’ultima cena.
Il mistero si infittisce con un’altra leggenda: si racconta che la cattedrale ospita anche la salma della figlia del conte Vlad III di Valacchia, famoso come il Conte Dracula. Alcuni tratti distintivi dell’edificio, tipici dell’arte architettonica rumena, possono essere attribuiti alla stirpe del temibile Impalatore, in particolare un drago alato, simbolo della nobiltà della Transilvania.
Acerenza è misteriosa e invita a perdersi nei suoi vicoli, dove spiccano antichi palazzi storici, con portali in pietra splendidamente decorati e varie fontane. Dietro la cattedrale, dalbelvedere “Torretta”, si gode di una magnifica vista del paesaggio dell’Alto Bradano disegnato da vigneti, boschi secolari, alberi monumentali e sorgenti millenarie: un vero spettacolo visivo e spirituale.
Ad Acerenza, inoltre, c’è un allevamento di irrestitibli Alpaca. Animali originari delle Ande sudamericane, abituati a vivere a migliaia di metri d’altezza che però hanno ritrovato le condizioni ideali di vita nel silenzioso paesino.
Prima di rientrare siamo passate dal lago di Acerenza. Una diga artificiale famosa per i boschi che la circondano e l’acqua del lago verde smeraldo, al punto che sembra di essere in uno dei tanti pittoreschi laghi delle alpi.
Spero di evervi incuriosito in questo breve viaggio e con le nostre foto.
E così, senza pensarci due volte, siamo salite a bordo della nostra auto alla volta del Cilento. In questo breve articolo vi raccontiamo il nostro primo giorno, tra Agropoli e Paestum, dove il fascino della cultura e la bellezza dei paesaggi si intrecciano e rendono questa terra un luogo magico.
Agropoli trae il suo nome da Acropolis, “città alta” .
Su un promontorio a picco sul mare, la città conserva tutta la bellezza del suo passato, in perfetto stato sono, sia il centro antico e gran parte delle mura difensive con il portale d’ingresso, sia il maestoso Castello Angioino Aragonese. La visita parte dal cuore più antico della città.
La panchina dell’Amore.
E’ possibile accedere al centro storico di Agropoli attraverso la caratteristica salita degli “scaloni”, per secoli una via d’accesso al borgo e oggi uno dei pochi esempi di salita a gradoni, caratterizzati da gradinate larghe e basse.
Da qui inizia lo spettacolo del Borgo Antico, con le piccole strade di pietra, i vicoli stretti, i negozi di souvenir e antiquariato. Il Castello a pianta triangolare e con tre torri circolari, si erge imponente sul promontorio incastrandosi con il vertice nel borgo antico, la cui struttura originale risale ai bizantini.
A poca distanza dal centro abitato una spiaggia da non perdere: la Baia di San Francesco, che prende il nome dallo scoglio a strapiombo sul mare e dal monastero che la sovrasta. E’ un piccolo paradiso, un angolo incontaminato, un punto di litorale tra la roccia con un fondale misto di sabbia e pietrisco, accessibile attraverso una serie di scalini che partono dalla Chiesa di San Francesco. All’orizzonte si scorge la croce dalla quale secondo la leggenda, il Santo parlò agli uccelli e ai pesci
Da Agropoli in soli 10 minuti si arriva a Paestum, uno di quei posti che dovremmo visitare almeno una volta nella vita e che da secoli conserva tutta la sua autenticità.
Molti di noi hanno la convinzione che Paestum sia nata proprio come polis greca, in realtà Paestum ha origini antichissime, i ritrovamenti hanno datato i suoi primi insediamenti dal Paleolitico all’età del Bronzo.
Già all’ingresso del parco non potrai non notare la maestosità e l’immutabile bellezza protrattasi nel tempo dei due templi, simboli del parco. Si tratta dei templi di Hera e di Nettuno, entrambi risalenti al periodo della polis greca.
Il templio più grande è il templio di Nettuno, datato V secolo a.C., costruito senza l’utilizzo della malta e con grandi massi collegati tra loro con dei tasselli, l’altro è il tempio di Hera, più piccolo ma più antico, datato 560 a.C., chiamato anche Basilica per il suo colonnato.
All’interno dei templi potevano entrare soltanto i sacerdoti, perciò tutti i sacrifici offerti venivano lasciati al di fuori.
La maggior parte delle case visibili, nel parco, sono di epoca romana, riconoscibili perchè tutte con le stesse caratteristiche: una sequenza in asse con tre ambienti principali, l’atrium (ossia il cortile interno), il tablinum (ossia la sala di rappresentanza) ed il peristilium (ossia il giardino). Ai lati dell’atrium si sviluppavano i cubicula, ossia le camere da letto. Al centro dell’atrium invece era spesso collocato l’impluvium, una vasca in marmo per la raccolta delle acque piovane.
Santuario con piscina
Paestum era famosa per le sue rose, dalla doppia fioritura annuale, e qui venivano prodotti i profumi che durante l’epoca romana avevano grande importanza nelle classi sociali.
Dopo la visita nel parco archeologico di Paestum, ci siamo recati al Museo e qui si resta estasiati da quanto l’uomo fosse già alla ricerca della bellezza.
Tutti i reperti ritrovati nel parco son stati portati qui, tra questi, il più importante è la Tomba del Tuffatore: spettacolare dipinto di arte greca ritrovato all’interno di una tomba che rappresenta, secondo alcune teorie, il passaggio dalla vita terrena all’aldilà.
La tomba era formata da cinque lastre calcaree che, al momento del ritrovamento, si presentavano accuratamente connesse fra loro, internamente dipinte ad affresco, copertura inclusa.
Proprio la raffigurazione della lastra di copertura, un giovane tuffatore, ha dato il nome all’intera sepoltura: Tomba del tuffatore.
Le lastre che costituivano le pareti della cassa presentano vivaci scene conviviali, mentre sul coperchio è raffigurata l’immagine di un giovane colto nell’atto del tuffarsi. Le quattro scene conviviali, nel loro insieme, ricostruiscono il contesto di un “simposio”, cioè la fase del banchetto greco destinata alla degustazione dei vini, all’ascolto di musiche e canti e alla recitazione di versi. Non è un caso, quindi, che nel corredo funerario della tomba sia stata ritrovata anche una lyra.
L’immagine del tuffo, invece, è da intendersi come la figurazione del passaggio fra la vita e la morte e lo specchio d’acqua rappresenta un’efficace metafora dell’aldilà, ignoto e misterioso traguardo della nostra esistenza.
Abbiamo chiuso gli occhi, cercando di immaginare questo passato così affascinante.
Domani, immersi nella natura incontaminata, vi porteremo presso Camerota, l’oasi del Bussento e le Cascate di Venere.
Nel nostro immaginario associamo la Puglia al mare, sole, estate, buon cibo e vacanze, ma nel mese di dicembre si mostra sotto altra veste diventando simbolo del Natale romantico e legato alle tradizioni.
Che sia Monopoli, Polignano, Alberobello o Conversano, ci addentreremo nei vicoli del centro storico tra stradine strette e tortuose, dove sui muri delle case ci sono ancora i rami del bouganville e gelsomino in fiore e graziosi ciclamini rossi fanno capolino dalle piccole finestre che come teche vengono illuminate ad intermittenza da mini lucciole colorate.
Ed è proprio in questo labirinto di strade strette che gli abitanti addobbano con cura il Natale come se fossero corridoi di appartamenti. La sensazione è proprio questa, camminare non fuori casa, ma dentro casa e sentirne anche il calore e l’accoglienza.
Prima tappa Monopoli.
L’area portuale, di Monopoli, si accende, di un inedito spettacolo di luci e colori, quest’anno ispirata alla favola del Grinch, un folletto dispettoso che detesta l’atmosfera di gioia tipica delle feste natalizia. Cosi decide di sabotare la festa, rubando regali e decorazioni.
Ma non aveva previsto che lo Spirito del Natale regna sovrano nel paese e gli abitanti del villaggio da lui saccheggiato gli dimostrano che la festa non è legata solo alle cose materiali.
Cosi, le immagini proiettate sul porto, da sempre simbolo di apertura e scambio culturale, augurano la condivisione di sentimenti quali la fiducia e la speranza.
Continuando lungo la costa siamo giunti a Polignano a Mare: chi non conosce le sue terrazze a picco sul mare e il ponte che scavalca Lama Monachile col suo meraviglioso panorama?
Immaginateli a Natale!
Le decorazioni, qui, hanno come filo conduttore il mare.
Parlando di Natale, non può mancare Alberobello la capitale dei Trulli e Patrimonio Unesco, dove le luci di Natale sono proiettate sui coni dei trulli sottoforma di multicolor e poliedrici simboli e decorazioni. Non mancano addobbi per le strade, la pista di ghiaccio e le installazioni luminoseper il Presepe di Luce.
Infine Bari ed il Teatro Margherita, un meraviglioso edificio stile liberty, su palafitte, davvero maestoso e scenografico.
Fa da cornice a barchette in legno colorate ormeggiate nel piccolo porticciolo, dove è possibile, di giorno, trovare i pescatori stravaganti che vendono il pescato del giorno, N’derr’a la lanze”, che tradotto significa “ai piedi delle barche”,
Ci addentriamo così nel centro storico, dove la presenza delle “signore delle sgagliozze”, prima che con la vista, si percepisce dall’odore di frittura che, quando cala il sole, inizia a prendere il posto di quello di ragù e di bucato.
Natale è un momento magico, ma con voi accanto è stato molto di più.