Chi mi conosce lo sa, non amo particolarmente i parchi divertimento, complice anche i miei problemi di vertigine, comparsi in età adulta. Con il primo figlio ho evitato qualsiasi parco esistente ed intanto lui non faceva richieste, accontentandosi delle giostre durante la festa di paese.
Poi non so spiegarvi bene cosa sia successo, probabilmente mi sono fatta influenzare dagli articoli che spopolano su internet, dai racconti di amici e dalla insistenza delle mie figlie, fatto sta che ho organizzato una intera giornata a Disneyland Paris.
Più volte mi sono sentita dire che 24 ore a Disneyland Paris non sono abbastanza. Ora che ci sono stata mi è chiaro il perché. In un giorno solo, ho avuto la sensazione di non aver fatto nulla, seppur abbiamo cercato di sfruttare al massimo l’intera giornata, dall’apertura all’ultimo minuto prima della chiusura, in compagnia del nostro un nuovo amico, Stitch.
Per fortuna siamo partite informate su questo mondo a sé. Avevamo scaricato un’app, fatto una scrematura delle attrazioni da vedere e creato, sempre con l’applicazione, il nostro percorso. Potevamo conoscere, in tempo reale, la fila esistente per ciascuna attrazione ed effettuare cambi di rotta sul momento.
Nonostante questo ci sono stati 20/30 minuti di fila per alcune attrazioni che non è tantissimo dato che eravamo in marzo.
Considerate che poi ci sono le fileanche per mangiare, file per andare in bagno e file per fare le foto con i personaggi Disney. Noi, in verità, avevamo preparato le nostre buonissime baguettes, al mattino, su Rue Montorgueil e con i croissant della pasticceria Storner eravamo prontissime.
Ma attenzione, qualcosa è piaciuto anche a me: le attrazioni di Disneyland Paris sono davvero ben fatte, c’è una grande cura del particolare e le scenografia sono davvero suggestive. Gli abiti ed il trucco dei personaggi sono meravigliosi. Ragion per cui salverei: 1. La parata. 2. Il Musical del Re Leone 3. Lo spettacolo finale di luci.
Dire che a che gli adulti possono vivere un sogno e tornare bambini per un giorno è una visione romantica e idealista che non coincide con la realtà. Almeno la mia.
Ammetto di non essere riuscita a lasciarmi andare alla magia di Disneyland Paris. Comunque voglio tranquillizzarvi, non ho coinvolto le bambine nel mio giudizio, per loro é stata pura magia.
Per me è stato bello vedere la magia nei loro occhi ❤️.
Alle mie bimbe: sappiate che il mio è stato un grande atto di generosità.
Nel nostro viaggio a Parigi abbiamo dedicato il 4° giorno a Montmatre, in un bel itinerario a piedi. Montmartre è effervescente e dinamica, riesce a trasmettere allegria ed entusiasmo, coi suoi colori variopinti e l’atmosfera bohémienne. Ci siamo perse ad assaporare la magia di ogni angolo, tra vicoletti e piazzette artistiche, in uno dei quartieri più affascinanti di Parigi.
Con la metro siamo arrivate in Place des Abbesses, dove abbiamo acquistato alcuni souvenir molto carini. La zona è ricca di Café giovanili e vivaci che si alternano a negozi di moda.
Erano solo le 10 del mattino e non vi era nessuno davanti al cancello verde che custodisce, nascosto dalla vegetazione, il “Muro dei Ti amo”. Baron, l’artista che lo realizzò, chiese ai suoi vicini di scrivergli la romantica parola nella loro lingua. Arrivò a raccogliere fino a 311 “Ti amo” in lingue e dialetti da tutto il mondo. C’era anche il nostro “Ti amo”.
Lasciata Place des Abesses, abbiamo imboccato Rue Lepic. La notevole ripidità di questa strada non lasciava dubbi, stavamo percorrendo la famosa collina di Montmartre. Intravediamo il Moulin de la Galette, un vecchio mulino che sembra dipinto. In realtà si tratta di due mulini che, ad inizio ‘800, la famiglia Debray utilizzava per produrre la farina o pressare il raccolto.
Diventa famoso quando, nel 1834, la figlia Debray, decise di aprire una taverna vicino ai mulini che presto si trasforma in sala da ballo frequentata da numerosi artisti.
A poca distanza dal Moulin de la Galette, si incontra un’insolita scultura, “Le passe-mureille”. Si tratta di Monsieur Dutilleul, l’eroe del celebre romanzo di Marcel Aymé. Una sera, l’uomo scoprì di avere il fantastico potere di attraversare i muri. Dopo averlo sfruttato per diventare ricco e trovare l’amore, perse il potere e rimase incastrato nel muro di Rue Norvins, proprio dove si trova oggi.
Proseguiamo verso il Sacro Cuore e il café Consulat cattura gli occhi e il cuore. È uno degli edifici più antichi della collina di Montmartre. Con il suo particolare fascino, ci trasporta negli anni ’30, quando vi potevi ascoltare la voce magnetica di Edith Piaf o quando avevi l’occasione di assistere alle conversazioni animate di artisti come Picasso, Van Gogh e Monet.
Numerosi oggetti in ceramica colorata adornano le mura di un vicoletto in cui si trova la pittoresca “Gallerie d’Art”, dove ho acquistato la mia piastrella da collezione.
Dalla galleria si intravede uno degli scorci più famosi del quartiere: la celebre Maison Rose. È un luogo iconico a Montmartre, un bistrot rosa dalle persiane verdi.
Non si conosce l’anno esatto della sua costruzione, ma sembra che sia lì da prima del 1850. Al tempo, era solo una casa modesta tra le tante del villaggio. Nel 1905, fu acquistata dalla moglie del pittore Ramon Pichot e modella di Pablo Picasso, nonché sua ex amante. Secondo la leggenda, durante un soggiorno in Catalogna, la donna, affascinata dai colori pastello di queste case, ebbe l’idea di dipingere di rosa la sua casetta di Montmarte. Molto attenta all’ambiente, ai prodotti di stagione, la cucina della Maison Rose di oggi si ispira alle ricette della campagna francese, così come un tempo.
Da questo luogo ci troviamo davvero vicini alla Basilica del Sacro Cuore!
La basilica bianca, imponente, maestosa è uno dei simboli non solo del quartiere ma dell’intera città francese.
La costruzione della Basilica non è molto antica, i lavori infatti iniziarono nel 1875. Non vi è uno stile ben definito nella sua architettura, ma certamente salta agli occhi il travertino bianco. A differenza di quello che si potrebbe immaginare, l’internoè abbastanza spoglio,ad eccezione del mosaicodi Cristo che abbraccia i fedeli, molto grande posto dietro l’altare, e dei due organi.
Dopo aver visitato l’interno della Basilica del Sacro Cuore, ci siamo affacciati alla terrazza, restando incantati dallo splendido panorama su tutta Parigi.
Avete notato una casa al contrario che spunta dal prato verdeggiante davanti alla Basilica? No? Nemmeno noi! Infatti dopo aver fatto una ricerca sul campo, abbiamo scoperto che trattasi di illusione ottica, inclinando il telefono durante lo scatto la casa risulterà inclinata.
La più artistica, la più amata, la più viva piazza di Montmartre è Place du Tertre. È qui che a fine ‘800, gli artisti iniziarono a vivere non solo per l’atmosfera che si respirava sulla collina, ma anche per gli affitti più bassi rispetto a Parigi
Unapiazzetta frequentata da musicisti, pittori e caricaturisti che eseguono ritratti. E’ sempre piena di vita e ciò la rende moltoaffascinante. Restiamo attratti dal suono della fisarmonica di un artista che intonava canzoni francesi e dal suo gatto nero, che si districava sullo strumento musicale, ipnotizzato.
A montmatre, il tempo sembra essersi fermato al periodo della Belle Èpoque.
Quasi un piccolo mondo a sé che, anche se negli anni è diventato un cliché assediato da masse di turisti e ha perso molta della sua autenticità, conserva ancora il fascino del suo periodo aureo: rifugio di poeti maledetti e artisti di strada, misterioso, eccletico ed affascinante.
La loro storia inizia tra la fine del XIX e il primo trentennio del XX secolo. A quei tempi Parigi era ancora una città dall’urbanistica spontanea e confusa, stradine di ogni tipo si intersecavano tra loro, sfociando a volte in piccole piazze, a volte finevano dritte sugli argini della Senna. Nessuna pavimentazione, polvere e fango dappertutto. I locali al piano terra erano adibiti a stalle per cavalli o a depositi, non curati e maleodoranti. Così a qualcuno venne in mente di coprire la stradina di propria pertinenza con leggere strutture metalliche e lastre di vetro all’altezza dei tetti, per far passare la luce del giorno e per bloccare la pioggia. Et voilà il passage era fatto. In quella strada ora si poteva passeggiare anche in giornate di pioggia e vento, senza il rischio di bagnarsi e di infangarsi le scarpe ed in breve nacquero botteghe, negozi, cafés e piccoli bistrots.
Il successo fu travolgente e presto la moda dei passages coperti si diffuse in tutto il centro cittadino. A favorire l’operazione fu soprattutto la rivoluzione urbanistica sotto Napoleone III che stravolse completamente l’assetto della città. Demolite le costruzioni fatiscenti, risanate le zone centrali, preservate soltanto strade e case di una certa fattura, i passages acquistarono una loro specifica fisionomia, diventando luoghi di ritrovo ricercati ed eleganti. Al massimo del loro splendore, a Parigi se ne contavano circa 150, con negozi che offrivano mercanzie di vario tipo, come le preziose stoffe indiane importate, le ricercate porcellane e cristallerie delle migliori manifatture d’Europa.
Entrare in uno dei passages couverts di Parigi equivale a fermare il tempo, lontano dal clamore della città, in un’atmosfera dal sapore nostalgico.
Vi raccontiamo alcuni dei passage che abbiamo incontrato.
Passage du Grand Cerf. Un passage un po’ diverso, forse meno luccicante o fiabesco rispetto ad altri, ma ugualmente bello. La prima cosa che vi colpirà sarà l’altezza del soffitto vetrato, da cui la luce naturale scende copiosa ad inondare la galleria. Fino al 1825 al suo posto sorgeva il terminal delle diligenze, un’efficace rete di trasporto passeggeri e merci in attività fin dai tempi del re Sole, e la “maison du roulage du Grand Cerf”. Demolito il terminal, si cominciò a costruire la galleria che confermò il nome della maison. Le insegne sono tutte molto originali. Ci sono negozi di antiquariato e modernariato, un orafo che crea deliziosi gioielli, lampade sciccose e gomitoli di lana declinati in mille colori, tessuti ed incensi.
PassageJouffroy. Risale ai tempi di Luigi-Filippo, si caratterizza per le numerose insegne e decorazioni d’epoca. E’ il primo passaggio parigino interamente costruito in metallo e vetro, che lascia al legno solo gli elementi decorativi. Protagoniste sono le antiche botteghe di francobolli e monete, le decorazioni d’epoca e le insegne eclettiche.
Passage des Panoramas. Questo passaggio coperto è uno dei più antichi di Parigi e d’Europa, edificato nel 1799. Venne chiamato così perché all’interno si potevano ammirare delle pitture a 360 gradi dipinte sui muri, denominate i “panorama”.
Ogni bottega è unica nel suo genere, da “Maison Gilbert”, il negozio di giocattoli orgogliosamente fondato nel 1848, alle librerie storiche che espongono con fierezza le prime edizioni degli autori più celebri della letteratura francese.
Ma la bottega che più mi ha colpita è “La maison du Roy”, chiamata anche “la boutique preferita di Maria Antonietta”: gioielli lussuosi, arredi eccentrici e creazioni pompose affollano questa particolare boutique.
All’interno del Passage Jouffroy si trova anche un luogo inedito, l’Hotel Chopin (tipicamente parigino) e il museo delle cere, Musee Grevin.
Nei Passage il silenzio avvolge tutto e tutti, così rallentiamo il passo e godiamo di questo rallentatore. Si ha l’impressione di essere in una sorta di giardino d’inverno, protetti dal freddo e dall’incessante fermento che agita Parigi.
Nel nostro sesto giorno di viaggio, on the road per la Sicilia, siamo giunti a Palermo, con un bagaglio di colori, odori ma anche di chilometri percorsi. Il tempo era limitato ma siamo riusciti ad ammirare alcuni tesori del capoluogo, con qualche bella sorpresa prima di ritornare in Puglia.
Prima tappa il Palazzo Reale, la più antica residenza reale d’Europa che poggia su un’antica costruzione punica, fortificata dai greci e dagli arabi, divenuta nel tempo importante centro della cultura e dell’arte.
La visita alla Cappella Palatina è una delle cose imprescindibili da fare. Trattasi di una basilica in stile normanno-bizantino, voluta da Ruggero II d’Altavilla, il primo re normanno di Sicilia, e consacrata nel 1140, completamente ricoperta da mosaici. E’ davvero splendida e per osservare ogni dettaglio bisognerebbe stare ore intere con il naso all’insu’.
Ruggero II aveva una visione molto aperta della tolleranza religiosa e perciò chiamò alla realizzazione della cappella arabi e normanni. Questi ultimi a quei tempi erano analfabeti e perciò i mosaici erano un modo per far conoscere i testi sacri.
Alla destra dell’ingresso, il candelabro monolitico alto oltre quattro metri, un capolavoro scultoreo in marmo bianco diviso in cinque ordini che poggia su quattro leoni, simbolo dei normanni, che azzannano uomini e animali. Al centro del candelabro è raffigurato Cristo con la barba, seduto su un cuscino, che tiene in mano un libro. Ai suoi piedi si vede la figura di un uomo in abiti ecclesiastici, probabilmente lo stesso Ruggero II.
Al secondo livello, si trovano gli appartamenti reali molto belli sia per la presenza dei decori sia per gli elementi di arredo.
Con nostra grande emozione, era allestita all’intero del palazzo la mostra di Steve MC Curry: “For Freedom”: una raccolta di volti di donne afgane che hanno perso il diritto allo studio e alla vita sociale, un nuovo appello al mondo che si è dimenticato troppo in fretta del passato.
Le Chiese barocche sono i fiori all’occhiello dei paesaggi cittadini siciliani. Molte di queste costruzioni presentano una variante autonoma del genere Barocco, in cui è preponderante l’uso dei colori, dei marmi e delle decorazioni.
Noi abbiamo scelto, nel nostro tempo esiguo, di visitare la chiesa del Gesù di Palermo, meglio conosciuta come Casa Professa, una delle più imponenti e spettacolari chiese barocche di tutta la Sicilia. Un tripudio di marmi, stucchi e decorazioni, che rivestono ogni centimetro quadrato della superficie interna.
La chiesa è la manifestazione della presenza e del lavoro dei gesuiti. Costoro si impegnarono nell’istruzione, istituendo collegi e scuole ed intraprendendo missioni per arrestare l’ondata di protestantesimo. L’interno è ricco di colori e iconografie che celebrano la gloria di Gesù e della Madonna. Sono raffigurati elementi astratti, ma anche animali, umani e fiori, realizzati in marmo mischio e tramischio, in un’esplosione di colori e grandezza. Del resto, lo scopo primo del Barocco è quello di diffondere la dottrina cattolica attraverso lo sfarzo e la grandiosità e spettacolarità della propria arte. Impossibile rimanere indifferenti di fronte alla spettacolarità di quest’opera.
Non si può andar via da Palermo senza avere visto il mercato di Ballarò. Qui si entra subito in un altro mondo, fatto di voci, di urla, di cui spesso non capisci il senso, avverti solo i suoni che si sovrappongono, ti circondano e ti confondono. E poi vedi i colori, così accesi, delle innumerevoli varietà di frutta e verdure fresche che attirano lo sguardo. E poi senti gli odori, quelli più forti, del pesce appena pescato, quelli più inebrianti delle tante spezie e piante aromatiche, quelli più tenui e freschi della frutta e delle verdure. Non puoi fare a meno di assaggiare un’arancia, una spremuta di melagrane, di comprare un prodotto locale da portare via.
Sui banchi davanti alla gente che passa le cose più inimmaginabili: piattini di sarde, di beccafico, polpi interi scottati in acqua e gettati su una piastra, spiedini, un tripudio di colori, di sapori, di cibi.
Tra i vicoli del quartiere Ballarò è ancora possibile imbattersi nell’antica bottega di Antimo, calzolaio e nel coloratissimo atelier del cuoio di Massimo e Gino, di cui ho parlato nell’articolo dedicato alle botteghe siciliane. https://wordpress.com/post/rondinelleinviaggio.family.blog/423
Palermo appare come una città eclettica e versatile e trai vicoli, sia di giorno che la sera, è sempre una gran festa.
All’ora del crepuscolo vicoli e piazze si trasformano in suggestive location di food&drink. Anche in inverno ci si può sedere fuori nei dehors contemplando la scenografia che offre la città, fastosi palazzi nobiliari, giardini lussureggianti e scorci pittoreschi che trasudano storia.
La stanchezza a fine tour, dopo quasi 800 km percorsi, è visibile sui nostri volti, ma speriamo di ritornare presto in Sicilia, che è entrata a pieno titolo nel nostro cuore.
Castelli che custodiscono segreti di un tempo che si vorrebbe perpetuare con echi di leggende e tradizioni che evocano riti e celebrazioni di profonda devozione popolare: siamo a Carovigno.
Il suo splendido castello ha conosciuto molti proprietari e subito grandi trasformazioni, fino a diventare un’importante residenza gentilizia già prima del XVII secolo.
Il Castello Dentice di Frasso è uno degli oltre trenta castelli della Puglia Imperiale, che ci dà il senso della fortezza, ma aggraziato con ricchi decori barocchi. Qui l’attenzione si focalizza sulle forme particolari di una struttura rimaneggiata nel tempo, evidenziate dalla minimalità che aleggia negli spazi interni, rimasti in gran parte spogli di arredi, mobili e suppellettili.
La fortezza fu eretta nel XII secolo in stile normanno-pugliese probabilmente su un preesistente sito messapico.
All’interno, sull’arco del portone principale, c’è il blasone in pietra del casato Dentice di Frasso e sotto lo scudo, lungo il nastro sinuoso dalle code bifide, la scritta ‘Noli me tangere’ (non mi toccare). A sinistra del portone una pianta di kenzia ormai ultracentenaria, messa a dimora dalla stessa contessa Elisabetta Schlippenbach.
A destra una splendida balconata in pietra calcarea, sostenuta da 18 mensole finemente lavorate aggiunta come elemento decorativo nel XVIII secolo.
Da un piccolo cortile interno si accede sia alle “segrete” che ai piani superiori. Le prime sono cunicoli stretti e bassi, con locali scavati nella roccia, che scendono di circa 5 metri sotto il livello stradale. Nati probabilmente come prigioni, divennero in seguito depositi per olio e vino, nevaio e magazzini, purtroppo si accede solo con la guida, che domenica non era disponibile.
Delle sofferenze nel passato di Elisabetta, si è saputo solo dopo il ritrovamento di un diario di memorie, racchiuso in una cartella in seta verde bordata e legata con un cordoncino. Nelle pagine del diario si racconta dello scalpore negli ambienti cattolici e benpensanti di corte per quell’inaccettabile divorzio, da quel marito, molto più anziano, impostole prima dei 17 anni.
Donna forte di nobile casata austriaca che a fine Ottocento sceglie la libertà separandosi dal marito e da una realtà molto agiata. Rinuncia al figlio, viaggia per un lungo periodo sino all’incontro con Alfredo e l’amorevero. La immaginiamo in una delle splendide terrazze del castello, nelle sale destinate al laboratorio di tessitura, nei giardini.
Il centro storico di Carovigno è piccolo. Lo giriamo a piedi e godiamo del silenzio prima di entrare in una piazzetta con musica dal vivo e buono street food.
Di chiese a Carovigno ne troverete tante, ciascuna con una storia diversa. Case bianche tinteggiate a calce, le coorti, i cortili ingentiliti da una panchina colorata, una pianta di fico d’india, preziosi accenni delle epoche passate.
Le temperature piacevoli ci invitano a spostarci lungo la costa, nella frazione di Carovigno, Torre San Sabina. Una normale spiaggia della costa adriatica che nasconde una storia antichissima e affascinante: quella di un porto molto importante, utilizzato fin dal VII secolo a.C. dalle navi mercantili oggetto dei traffici con la Grecia.
Siamo ad ottobre inoltrato, è la Puglia regala ancora giornate indimenticabili.
Alcuni giorni fa ho pubblicato alcune cartoline dalla Basilicata, anticipando l’argomento di questo breve tour.
Il 14 agosto abbiamo deciso come sempre si rinuciare al mare, perchè sempre troppo affollato, e siamo partite alla volta di Pietragalla, un piccolo comune della provincia di Potenza, dove la cultura del vino è rappresentata da una particolarissima architettura rurale: il parco dei Palmenti.
Si tratta di piccole case di pietra agglomerate, con i tetti ricoperti di erba e piccole porticine come uscio. E’ un luogo spettacolare al di là di ogni immaginazione, sembra di essere catapultati nella contea degli Hobbit de “Il Signore deglia anelli”.
I palmenti per Pietragalla rappresentano il luogo che un tempo profumava di uva e di mosto, il cuore pulsante di un’antica civiltà contadina.
Ogni palmento è caratterizzato da una o più vasche al suo interno, da una piccola porticina per l’ingresso e da una feritoia in alto utile alla fuoriuscita dell’anidride carbonica che si creava durante la fermentazione. L’uva raccolta nei vigneti circostanti e trasportata con asini in bigonce, veniva versata nella vasca più piccola e alta e pigiata a piedi nudi. Trascorso il periodo di fermentazione il vino veniva spillato dalle vasche in tufo per essere trasportato nelle “rutt” ovvero, le cantine costruite direttamente al di sotto del piano viabile sul quale il paese in forma circolare e concentrica è collocato.
Se i palmenti nascono li dove nasce il sole, ovvero a sud est di Pietragalla, per permettere di cominciare il lavoro all’alba, le rutt sono state costruite a nord, nella parte più ventilata e più fredda del paese detta Mancusa. Le rutt inoltre, grazie al tufo mantengono un livello sia di umidità che di temperatura costante per tutto l’anno proteggendo il vino dal caldo estivo e dal gelo invernale.
Il vero tuffo nel passato lo abbiamo fatto con la visita alla Casa Museo della civiltà contadina. Qui siamo state catapultate in un’epoca fatta di pizzi e oggetto di uso comune che raccontano di famiglie benestanti e di contadini, che testimoniano la vita dura nei campi e la frugalità dei pasti.
Da Pietragalla ci siamo spostate, sulla sommità di un colle a 800 metri di altitudine, dove sorge un borgo di grande fascino e mistero: Acerenza. La serata è inziata nel borgo storico che formicolava di gente per una notte bianca tutta particolare, in cui otto antiche botteghe, chiuse da anni, sono state trasformate in pop-up espositivi temporanei, per “un’immersione creativa multisensoriale”
Veduta panoramica dalla nostra stanzaNotte bianca ad Acerenza
Conosciuta anche come la “Città del Duomo” per via della maestosa cattedrale dedicata a Santa Maria Assunta, che domina l’antico borgo, nasconde nei suoi vicoli lastricati misteri e leggende, a cominciare dal Santo Graal che ne esalta il fascino.
Duomo
In pochi lo sanno, ma il fondatore dell’ordine dei Templari nacque a Forenza, un paese vicino ad Acerenza e per questo motivo Acerenza divenne il luogo di partenza e arrivo dei Cavalieri Templari. Per questo motivo Acerenza è così piena di misteri, al punto che si pensa sia proprio qui il Sacro Graal. Nella cripta della Cattedrale si può vedere una piccola finestrella da sempre murata e molti studiosi hanno ipotizzato che proprio qui si possa trovare la coppa dell’ultima cena.
Il mistero si infittisce con un’altra leggenda: si racconta che la cattedrale ospita anche la salma della figlia del conte Vlad III di Valacchia, famoso come il Conte Dracula. Alcuni tratti distintivi dell’edificio, tipici dell’arte architettonica rumena, possono essere attribuiti alla stirpe del temibile Impalatore, in particolare un drago alato, simbolo della nobiltà della Transilvania.
Acerenza è misteriosa e invita a perdersi nei suoi vicoli, dove spiccano antichi palazzi storici, con portali in pietra splendidamente decorati e varie fontane. Dietro la cattedrale, dalbelvedere “Torretta”, si gode di una magnifica vista del paesaggio dell’Alto Bradano disegnato da vigneti, boschi secolari, alberi monumentali e sorgenti millenarie: un vero spettacolo visivo e spirituale.
Ad Acerenza, inoltre, c’è un allevamento di irrestitibli Alpaca. Animali originari delle Ande sudamericane, abituati a vivere a migliaia di metri d’altezza che però hanno ritrovato le condizioni ideali di vita nel silenzioso paesino.
Prima di rientrare siamo passate dal lago di Acerenza. Una diga artificiale famosa per i boschi che la circondano e l’acqua del lago verde smeraldo, al punto che sembra di essere in uno dei tanti pittoreschi laghi delle alpi.
Spero di evervi incuriosito in questo breve viaggio e con le nostre foto.
Scrivo in differita di giorni questa pagina. Avrei bisogno di altro tempo per fermare il tempo, ma le mie due bambine sono un acceleratore continuo, oltre al lavoro, in questo periodo.
Vi raccontiamo una domenica insolita a Taranto, allaricerca dei delfini liberi in mare.
Abbiamo mollato gli ormeggi e, con l’associazione JDC Jonian Dolphin Conservation, ci siamo diretti nel blu profondo del Golfo di Taranto. L’associazione svolge attività essenzialmente di ricerca, condotta su esseri viventi liberi e selvaggi, nel loro habitat naturale ed in maniera assolutamente non invasiva. Non aspettatevi di nuotare con loro o di toccarli, ma vi assicuro che osservarli nel loro ambiente vi trasmetterà un’emozione che rimarrà impressa per sempre.
Siamo salpati dal molo S. Eligio, navigando nelle tranquille acque del Mar Grande e, mentre i ragazzi ci spiegavano le loro attività, siamo arrivati in mare aperto. La costa non si vedeva più. Le biologhe con i loro binocoli aguzzavano la vista alla ricerca di una pinna. Eravamo ormai rassegnate a non vederli, ma all’improvviso una di loro indicava la rotta al comandante. Aveva visto un balzo!
Il cuore ha accelerato e istintivamente siamo scattate tutti in piedi eccitati, ma le biologhe ci hanno raccomandato voce bassa e pochi rumori per non spaventarli.
Ciò che è accaduto subito dopoè difficile da descrivere.
Non saprei dire quanto tempo abbiamo trascorso a guardarli, incantati, ma quando è giunto il momento di tornare indietro, ci è sembrato davvero troppo presto. Si era fatto tardi ed eravamo troppo lontani dalla costa.
Merita anche di essere raccontato, però, il viaggio di rientro.
A circa due miglia della costa, siamo stati sorpresi da una improvvisa e violenta tromba d’aria che ha messo in serie difficoltà tutto l’equipaggio. Io e mia madre, abbiamo abbracciato le bambine con il telo da mare, cercando di riparlarle dalla pioggia battente, ma sentivamo le gambe martellate dalla grandine. Indescrivibile. Lo staff, prontamente, ci ha fornito i giubbini salvataggio. Eravamo terrorizzati.
Ma fortunatamente è andato tutto per il meglio.
Solamente quando siamo arrivati in porto ed è tornata la connessione internet abbiamo compreso la portata della tromba d’aria attraverso i social. Qualcuno sulla terra ferma ha avuto una crisi di panico, qualcuno piangeva ancora.
Ma dopo dieci minuti eravamo li a parlare della meraviglia della natura e dello spettacolo visto nel blu profondo e tra una chiacchera ed un’altra eravamo già asciutte. Era già lontano il ricordo di quella strana tempesta.
Il fiume Tara ci stava aspettando.
Secondo la leggenda, circa 2000 anni prima della nascita di Cristo, il giovane Taras sarebbe giunto presso il corso d’acqua, che da lui stesso avrebbe preso il nome. Sempre secondo la leggenda, Taras avrebbe edificato una città prima di scomparire nelle acque del fiume e di essere assunto fra gli eroi dal padre Poseidone.
La leggenda collega Taras anche ai delfini. Si racconta infatti che, mentre il giovane si trovava sulle rive italiche dello Ionio, sia apparso improvvisamente un delfino, segno che interpretò di buon auspicio e di incoraggiamento per fondare una città.
Alle acque del Tara la popolazione attribuisce da sempre virtù terapeutiche, considerandole rimedio efficacissimo contro i reumatismi o persino malattie ben più gravi. All’origine di questa frequentazione del fiume vi è una antica leggenda secondo la quale un contadino portò un vecchio asino malato a morire lungo le sue sponde, ma ripassando dopo qualche mese rivide l’animale risanato proprio dalle acque del fiume.
Ancora oggi il 1 settembre di ogni anno si vedono gruppi di persone devote alla Madonna del Tara, immergersi all’alba recitando il rosario tutti insieme per ringraziare Dio della buona salute concessa e propiziarsi un futuro senza malattie.
Dal 1950 le acque del fiume Tara sono utilizzate per l’irrigazione dei campi, per la raccolta dei giunchi che crescono in abbondanza lungo le sue sponde e, dagli abitanti di Massafra,per intrecciare cesti e sporte.
Anche Taranto, ormai, è entrata in punta di piedi nel nostro cuore 🙂
E così, senza pensarci due volte, siamo salite a bordo della nostra auto alla volta del Cilento. In questo breve articolo vi raccontiamo il nostro primo giorno, tra Agropoli e Paestum, dove il fascino della cultura e la bellezza dei paesaggi si intrecciano e rendono questa terra un luogo magico.
Agropoli trae il suo nome da Acropolis, “città alta” .
Su un promontorio a picco sul mare, la città conserva tutta la bellezza del suo passato, in perfetto stato sono, sia il centro antico e gran parte delle mura difensive con il portale d’ingresso, sia il maestoso Castello Angioino Aragonese. La visita parte dal cuore più antico della città.
La panchina dell’Amore.
E’ possibile accedere al centro storico di Agropoli attraverso la caratteristica salita degli “scaloni”, per secoli una via d’accesso al borgo e oggi uno dei pochi esempi di salita a gradoni, caratterizzati da gradinate larghe e basse.
Da qui inizia lo spettacolo del Borgo Antico, con le piccole strade di pietra, i vicoli stretti, i negozi di souvenir e antiquariato. Il Castello a pianta triangolare e con tre torri circolari, si erge imponente sul promontorio incastrandosi con il vertice nel borgo antico, la cui struttura originale risale ai bizantini.
A poca distanza dal centro abitato una spiaggia da non perdere: la Baia di San Francesco, che prende il nome dallo scoglio a strapiombo sul mare e dal monastero che la sovrasta. E’ un piccolo paradiso, un angolo incontaminato, un punto di litorale tra la roccia con un fondale misto di sabbia e pietrisco, accessibile attraverso una serie di scalini che partono dalla Chiesa di San Francesco. All’orizzonte si scorge la croce dalla quale secondo la leggenda, il Santo parlò agli uccelli e ai pesci
Da Agropoli in soli 10 minuti si arriva a Paestum, uno di quei posti che dovremmo visitare almeno una volta nella vita e che da secoli conserva tutta la sua autenticità.
Molti di noi hanno la convinzione che Paestum sia nata proprio come polis greca, in realtà Paestum ha origini antichissime, i ritrovamenti hanno datato i suoi primi insediamenti dal Paleolitico all’età del Bronzo.
Già all’ingresso del parco non potrai non notare la maestosità e l’immutabile bellezza protrattasi nel tempo dei due templi, simboli del parco. Si tratta dei templi di Hera e di Nettuno, entrambi risalenti al periodo della polis greca.
Il templio più grande è il templio di Nettuno, datato V secolo a.C., costruito senza l’utilizzo della malta e con grandi massi collegati tra loro con dei tasselli, l’altro è il tempio di Hera, più piccolo ma più antico, datato 560 a.C., chiamato anche Basilica per il suo colonnato.
All’interno dei templi potevano entrare soltanto i sacerdoti, perciò tutti i sacrifici offerti venivano lasciati al di fuori.
La maggior parte delle case visibili, nel parco, sono di epoca romana, riconoscibili perchè tutte con le stesse caratteristiche: una sequenza in asse con tre ambienti principali, l’atrium (ossia il cortile interno), il tablinum (ossia la sala di rappresentanza) ed il peristilium (ossia il giardino). Ai lati dell’atrium si sviluppavano i cubicula, ossia le camere da letto. Al centro dell’atrium invece era spesso collocato l’impluvium, una vasca in marmo per la raccolta delle acque piovane.
Santuario con piscina
Paestum era famosa per le sue rose, dalla doppia fioritura annuale, e qui venivano prodotti i profumi che durante l’epoca romana avevano grande importanza nelle classi sociali.
Dopo la visita nel parco archeologico di Paestum, ci siamo recati al Museo e qui si resta estasiati da quanto l’uomo fosse già alla ricerca della bellezza.
Tutti i reperti ritrovati nel parco son stati portati qui, tra questi, il più importante è la Tomba del Tuffatore: spettacolare dipinto di arte greca ritrovato all’interno di una tomba che rappresenta, secondo alcune teorie, il passaggio dalla vita terrena all’aldilà.
La tomba era formata da cinque lastre calcaree che, al momento del ritrovamento, si presentavano accuratamente connesse fra loro, internamente dipinte ad affresco, copertura inclusa.
Proprio la raffigurazione della lastra di copertura, un giovane tuffatore, ha dato il nome all’intera sepoltura: Tomba del tuffatore.
Le lastre che costituivano le pareti della cassa presentano vivaci scene conviviali, mentre sul coperchio è raffigurata l’immagine di un giovane colto nell’atto del tuffarsi. Le quattro scene conviviali, nel loro insieme, ricostruiscono il contesto di un “simposio”, cioè la fase del banchetto greco destinata alla degustazione dei vini, all’ascolto di musiche e canti e alla recitazione di versi. Non è un caso, quindi, che nel corredo funerario della tomba sia stata ritrovata anche una lyra.
L’immagine del tuffo, invece, è da intendersi come la figurazione del passaggio fra la vita e la morte e lo specchio d’acqua rappresenta un’efficace metafora dell’aldilà, ignoto e misterioso traguardo della nostra esistenza.
Abbiamo chiuso gli occhi, cercando di immaginare questo passato così affascinante.
Domani, immersi nella natura incontaminata, vi porteremo presso Camerota, l’oasi del Bussento e le Cascate di Venere.
Siamo a marzo, giornate ancora fredde, con pochi turisti in giro e ci siamo potuti godere una Marzanemi quasi deserta.
Frazione marinara del comune di Pachino, in provincia di Siracusa, Marzamemi è uno dei primi insediamenti arabi in Sicilia, sviluppatosi soprattutto grazie alla pesca, in particolare quella del tonno. Ed è proprio dalla vecchia tonnara che ha preso vita tutto il borgo, sviluppatosi intorno ad una piazza centrale e affacciato sul Mar Ionio. Un borgo antico così suggestivo e romantico che sempre di più sta incuriosendo turisti e viaggiatori che ogni anno si affollano in tutte le stagioni.
Resterete incanti a guardare la pietra degli edifici che cambia colore con il variare delle ore e ad ammirare le porte e le finestre color del cielo, gustando del buon pesce nei tantissimi ristoranti presenti.
Riprendiamo il viaggio fuori dalla rotta turistica ed entriamo nel cuore di Noto Antica, alla scoperta di Cava Carosello.
Bellissima città medievale distrutta dal terremoto del 1693. Percorriamo un canyon di estrema bellezza, tra ciò che rimane del castello e delle possenti mura della città, chiese, vecchi mulini ad acqua e antiche concerie, lungo il corso del fiume Asinaro. Muoversi tra le macerie di questa città distrutta è stata davvero un’emozione indescrivibile, abbiamo provato ad immaginare i volti di chi un tempo vi abitò per poi lasciarci travolgere solo dai suoni della natura.
CAVA CAROSELLOGRANCHIO DI ACQUA DOLCEINGRESSO CONCERIACONCERIA
Le nostre successive tappe si sono spostate tra le ”perle” del Barocco. Abbiamo deciso, però, di darvi solo delle ‘pillole’ di bellezza in modo da alimentare la vostra curiosità.
Iniziamo da Noto, il cui centro vi lascerà davvero senza parole, con palazzi nobiliari, chiese e conventi costruiti dopo il terribile terremoto del 1693 nell’affascinante stile barocco siciliano.
PARTICOLARE BALCONE DI NOTO
ll modo per apprezzare al meglio il centro storico di Noto è quello di perdersi tra le sue strade, imbattersi in chiese e palazzi che si affacciano su scalinate, viuzze o ampi piazzali. Sono un tripudio di bellezza e storia, simbolo di un tempo in cui la cittadina era meta di re e principi.
C’è il palazzo con le stanze neoclassiche dove dormì Re Ferdinando, oppure quello dove i marchesi danzavano con la regina. C’è la dimora decorata da trompe l’oeil, e ancora il palazzo che ospitò negli anni Trenta i principi di Piemonte, Umberto e Maria Josè di Savoia.
PALAZZO NICOLACIPALAZZO DUCEZIO, SEDE DEL MUNICIPIOPALAZZO DUCEZIO, SALA DEGLI SPECCHI
Proseguiamo alla volta di Ragusa. Il terremoto del 1693 segnò la seconda vita della città sotto il segno del barocco che rinacque dalle macerie, più bella di prima. Ragusa superiore con le sue chiese, le rocche, i passaggi che salgono in verticale. E poi Ibla (in siciliano “lusu”, ovvero quello che giace sotto) è un miraggio di luci e di ombre, con la piazza centrale che è un salotto a cielo aperto dove il tempo sembra essersi fermato. E dove si susseguono cortili segreti, dimore aristocratiche, chiese spettacolari.
VEDUTA RRAGUSA IBLA
Girovagando per il ragusano è facile imbattersi in vere e proprie bellezze. A pochi chilometri dal capoluogo è possibile far visita al castello di Donna Fugata. Tradizione vuole che la regina Bianca di Navarra vedova del Re reggente del regno di Sicilia, pur essendo fuggita, vennisse catturata e imprigionata nel castello dal Conte, aspirante al trono.
Al di là delle diatribe intorno all’etimologia del nome, il Castello di Donnafugata, dal XIV secolo, ha 120 stanze e un parco adiacente con un spettacolare e suggestivo labirinto, in cui non è stato semplice trovare l’uscita.
Scrivo questo articolo, per varie motivazioni a giugno quando le temperature esterne sono ormai elevate, ma la mente va a quei giorni miti con la felpa e la giacca a vento.
Ormai ho una consapevolezza: marzo per noi è il periodo ideale per regalarci un viaggio.
Se fossi una sportiva sceglierei probabilmente la neve e la montagna, se fossi freddolosa ( ma lo sono 🙂 ) volerei in qualche destinazione esotica per sfuggire al gelo, ma amo i viaggi itineranti e i road trip che sanno regalare sorprese inaspettate!
Cosi decidiamo di risalire la costa salentina iniziando da Castro 🚗. I locali sul porto di Castro marina non sono aperti ma poco male. Siamo entrati in un negozio di generi alimentari, abbiamo acquistato alcuni salumi e formaggi, una bottiglia di vino ed il nostro aperitivo, vista mozzafiato, era servito.
Castro vanta numerose leggende e approdi leggendari. Virgilio sostiene che Enea sia qui approdato a seguito della distruzione di Troia per poi proseguire, via terra, la sua rotta verso il Lazio.
Numerose sono anche i racconti che si susseguono intorno alle splendide grotte di Castro, come la Zinzulusa, luogo in cui una fata liberò una fanciulla dalla tirannia del padre.
Chi pensa che Castro sia solo mare si sbaglia. Basta una passeggiata per essere rapiti dalla bellezza della cittadina, delle sue strade e dei vicoli.
Di certo, non sarà il periodo per fare un tuffo in mare, ma fare una passeggiata in riva al mare con le onde che si infrangono sugli scogli è comunque rigenerante.
Viaggiando verso Nord dopo aver lasciato Otranto, sorge, un angolo di paradiso, Porto Badisco, incastonato nella scogliera.
Proseguendo si incontra la Baia dei Turchi, una spiaggia completamente incontaminata, caratterizzata da una vegetazione che cresce lussureggiante sfumando verso la zona sabbiosa. Si tratta della splendida Baia dei Turchi, che deve al suo nome alla tradizionale storia del luogo in questa popolazione sbarcò durante il XV secolo. La spiaggia si può raggiungere unicamente a piedi.
La bellezza delle acque cristalline e il fascino della spiaggia la rendono una meta assolutamente imperdibile. Per raggiungere il mare ci si addentra in una fitta pineta a macchia mediterranea e seguendo l’ inconfondibile rumore del mare si giunge su questa lingua di sabbia bianca.
Si potrebbe proseguire il trekking naturalistico🚶♀️ sino ai laghi Alimini, Oasi naturale protetta, ricca di vegetazione e biodiversità🌱🍀🌾.
Entrambi i laghi sono alimentati da sorgenti di acqua dolce, grazie alla presenza di falde sotterranee che si formano a monte, e che fanno confluire nelle acque dei laghetti l’acqua raccolta dal terreno durante la stagione autunnale ed invernale, carica di piogge.
E’ un paradiso per i naturalisti quest’area, perchè da sempre questi luoghi, grazie alla presenza dell’acqua e di una vegetazione selvaggia e rigogliosa, sono stati una delle soste obbligate dei flussi di uccelli migratori, che, come gli uomini che partivano per le crociate, si radunano nell’area dei laghi per poi fare il gran balzo che li porterà nei paesi caldi dall’altra parte del mediterraneo, in Africa ed Oriente.
Si consiglia di :
consultare il meteo prima di partire 🌬;
abbigliamento adatto per il trekking. La gonna in tulle tra i rovi della macchia mediterranea non era particolarmente adatta 🤭😛.
I Faraglioni di Sant’Andrea, sono una tappa obbigatoria.
Si tratta di un monumento naturale, uno spettacolo che toglie il fiato in mezzo alla natura incontaminata che sembra quasi lontana dalla civiltà. Ciò che la rende ancora più bella è il disegno astratto delle sue forme che si alternano tra grotte, archi e insenature.
Ultima tappa, pima di rientrare, la Grotta della Poesia, molto diversa dalle foto istagrammate, credo a causa del vento di scirocco che da una certa ora della giornata non ci ha mollato un attimo.