Calabria on the road: 2° parte.

ll rientro in Puglia si colora ulteriormente raggiungendo Borgo Croce, una frazione di Fiumara (Reggio di Calabria), risorto grazie alla street art e all’amore dei paesani.

Il cambiamento parte dall’idea di Maria Grazia Chirico, valorizzare il borgo con i murales, in ricordo della madre appena scomparsa. L’idea piace ai concittadini che, nel 2020, intraprendono un lavoro volto a ridisegnare la bellezza sopita del borgo.

Le pareti delle abitazioni, non solo diventano tele per i murales ma anche pergamene su cui annotare e riprodurre antichi proverbi.

E’ domenica e le vie sono abitate da un silenzio surreale. Girovagando per il borgo, incontriamo la signora che realizza saponette con l’olio d’oliva. Racconta con nostalgia, di un tempo che fu, di un paese autosufficiente con l’allevamento e la macellazione del bestiame.

Oggi molti di loro sono anziani, privi di auto, ed attendono l’arrivo settimanale dei generi alimentari che prenotano nei paesi a valle. Ma nonostante le difficoltà hanno un compito comune: mantenere viva l’eredità di Borgo Croce.

Da borgo Croce ci spostiamo su Monte Sant’Elia di Palmi, un balcone, da paura, sospeso tra cielo e mare.

Un’antica leggenda calabro-sicula racconta della lotta vittoriosa di Sant’Elia col diavolo. Si narra che il Santo ogni giorno cercava di portare avanti la costruzione del Convento, ma il diavolo di notte diroccava le mura. Uno giorno il santo lo scaraventò, nel mare sottostante, su una roccia, dove sono ancora visibili le sue impronte. Altri aggiungono, che il demonio, vedendosi vinto, tornò a tentarlo, promettendogli che non l’avrebbe disturbato, purché gli avesse permesso di avere un suo rifugio, nel punto in cui il Santo (creduto debole eremita) avrebbe lanciato il bastone, a cui si appoggiava. Ma Sant’Elia miracolosamente lanciò il proprio bastone nell’estremo limite del mare visibile, cioè al posto di Stromboli. Il demonio fu costretto ad allocarsi in quel punto, eruttando ripetutamente lave, fumo, e scuotendo tutta questa regione, con frequenti terremoti e sinistri boati.

Ultima meta di questo viaggio on the road, la città simbolo della Calabria nel mondo, meta già nel settecento di aristocratici europei, nel loro Grand Tour: Tropea.

La leggenda vuole che il fondatore sia stato Ercole quando, di ritorno dalle battaglie delle Colonne d’Ercole (attuale Gibilterra), si fermò sulle coste del Sud Italia, e su questa rupe depositò i suoi trofei in latino trophaeum, da qui il nome della città Tropea.

Per la sua caratteristica posizione di terrazzo sul mare, Tropea ebbe un ruolo importante, sia in epoca romana, sia in epoca bizantina; molti sono i resti lasciati dal bizantini, come la chiesa sul promontorio o le mura cittadine (chiamate appunto “mura di Belisario”).

Il centro storico di Tropea è in alto, a circa 70 metri sul mare, in un dedalo di vicoli, stradine, chiese, palazzi nobiliari, terrazzi panoramici e incredibili scorci sul blu del mare che all’improvviso si aprono passeggiando.

Il Santuario di Santa Maria dell’Isola, detto anche Isola Bella, è uno dei gioielli di Tropea e di tutta la costa, sia per la sua posizione, su di uno scoglio a strapiombo davanti alle Isole Eolie, sia perché è uno di luoghi di culto più importanti della zona, ricco di leggende. Un tempo isolato dalla terra ferma, l’isolotto divenne un rifugio per eremiti, ma in seguito, a causa del terremoto del 1783 e dell’onda anomala che ne conseguì, l’isola si unì all’arenile tropeano.

Si racconta che nel paesello giunse una statua lignea della Vergine dall’oriente. Il popolo scese al lido e le più alte cariche decisero di custodire la statua all’interno di una grotta naturale, presente nella rupe. La statua, purtroppo, risultava troppo grande rispetto alla grandezza della nicchia, così si decise di segare le gambe. Questa decisione ebbe conseguenze nefaste sia per il falegname che per coloro che avevano dato il consenso.

Le leggende raccontano anche di miracoli avvenuti su un masso posizionato a metà delle scale di accesso al santuario. All’interno della chiesa è molto sempice e custodisce la Sacra Famiglia, realizzata nel ‘700. Queste statue vengono calate a spalla su di un peschereccio ogni anno per la processione della Madonna Assunta del 15 agosto.

Al tramonto eravamo nel giardino del Santuario: il sole dolcemente calava nel tirreno e nitidamente si scorgevano le isole di Vulcano, Stromboli e perfino l’Etna.

La bellezza di Tropea è innegabile, ma dopo aver assaggiato la semplicità di alcuni borghi, ascoltato le storie di chi è rimasto o ha deciso di ritornare, Tropea mi è sembrata troppo convertita alla vacanza di lusso, con strade che brulicano di insegne di B&B e di ristoranti, anzichè di storia.

A parte questa nota, il viaggio in Calabria è stato meraviglioso. Questo lembo di terra è entrato a pieno titolo tra i luoghi del cuore, per la l’accoglienza, per la storia, per i sapori, per la bellezza e per i suoi tramonti che difficilmente potremo dimenticare.

50 sfumature di verde: laghi di Monticchio.

Immagina di passeggiare nella natura e che questa, silente e placida, si rispecchi nel lago. Immagina che il lago sia la bocca di un antico vulcano spento. Immagina poi pioppi, cerri, faggi e roveri alti, dai tronchi enormi sotto i quali ti senti piccolissimo. Immagina una abbazia eretta su una grotta e foglie scricchiolanti sotto le scarpe.

Non serve immaginare se sei ai laghi di Monticchio.

Così una domenica di ottobre decidiamo di raggiungere L’Abbazia di San Michele, situata sul Monte Vulture.

L’antichissimo culto dell’Arcangelo Michele fu importato in Italia meridionale dai Longobardi che, spintisi fin qui, fondarono i principati di Benevento e di Salerno erigendo in questo territorio numerose chiese consacrate alla devozione del Santo. La grotta naturale, a picco sul lago, fu consacrata a luogo di culto dato che, secondo la tradizione, qui l’Arcangelo Michele apparve più volte alle popolazioni. Anni dopo, nella grotta dell’Arcangelo iniziarono a riunirsi prima i Monaci Basiliani, in fuga dalla dottrina della Chiesa Bizantina, poi i Benedettini, per frenare l’espansione della chiesa ortodossa. Questi ultimi fecero edificare l’abbazia, abbandonandola poi nel 1456. Ci fu un tempo, dunque, in cui a Monticchio convivevano, due ordini di fede, molto diversi per riti e principi dogmatici. Solo dopo l’affermazione politica e militare dei Normanni, i Basiliani abbandonarono gradualmente il Vulture e e l’Abbazia passò ai Cappuccini, che fondarono una biblioteca e un lanificio.

Oggi, il complesso abbaziale si articola su più piani, con la chiesa settecentesca e l’antichissima cappella di S. Michele, appoggiata al suolo roccioso della primitiva grotta, in cui vi sono numerosi affreschi di epoca bizantina e medievale. All’Abbazia si accede percorrendo un sentiero petroso immerso nella foresta di faggi e lecci e dalle sue finestre si gode di un bellissimo panorama sui laghi sottostanti.

Intorno ai laghi vi sono numerosi sentieri. Noi avendo poco tempo a disposizione abbiamo percorso quello attiguo all’Abbazia, che in 20 minuti porta al belvedere.

La vista che si gode a questa altezza non è priva di inconvenienti per chi soffre di vertigini, ma è ad ogni modo incantevole. Così abbiamo steso una tovaglia e ci siamo rilassati in un dolce picnic.

Il sentiero non è molto tracciato, infatti c’è stato un attimo in cui abbiamo messo in dubbio la possibilità di avanzare, per alcuni tronchi caduti di recente che ostacolavano la salita. Il terreno inoltre non è molto compatto, per cui nella discesa questo spesso franava un pò, sotto i nostri passi. Ma niente di preoccupante. Arrivati nuovamente all’Abbazia abbiamo intrapreso il percorso naturalistico che porta giù al lago piccolo.

I Laghi di Monticchio sono parte di una Riserva Regionale della Basilicata, una zona naturalistica molto piacevole da visitare. Si tratta di due laghi, sorti occupando l’area di due antichi crateri di quello che un tempo era un vulcano, circondati da una natura verdeggiante ed incontaminata.

Per godere dell’oasi di pace abbiamo noleggiato un pedalò dalla banchina del Lago Piccolo e siamo rimasti sospesi in quelle acque dalle 50 sfumature di verde.

Il tempo sembra fermarsi ❤️.

L’Abbazia si vede in tutto il suo splendore, aggrappata alla parete della montagna, bianca, imponente, elegante, incastonata nella parete del monte, che sovrasta i laghi, e in questi si riflette giocando con le nuvole.

Una bellissima passeggiata autunnale che consiglio a tutti.

Prima del rientro non poteva mancare una visita al Castello di Melfi, che al suo interno ospita l’interessantissimo Museo Archeologico Nazionale.

La Basilicata fu una terra che Federico II apprezzò molto e in cui soggiornava spesso per le sue amate battute di caccia. Il Castello di Melfi, sebbene sia stato costruito dai suoi predecessori normanni, divenne fulcro dell’attività amministrativa del suo regno, per poi diventare dei Doria fino al 1950 e poi di proprietà dello stato italiano.
La struttura ha una unica entrata agibile con un ponte che dà sul vasto fossato. Una volta ammirata la maestosità del castello si può accedere al museo, con un ticket di 2,50 euro. Le sale del museo custodiscono numerosi reperti archeologici ritrovati nella zona del Vulture, in particolare corredi funerari di guerrieri e nobili. Lasciano davvero a bocca aperta, sia per lo sfarzo che regnava all’epoca tra le genti nobili, sia per l’importanza che si dava alla fase della sepoltura. Insomma una full immersion culturale nella splendida cornice del Castello di Melfi che vi emozionerà sicuramente.
La Basilicata è anche questo

Il Monastero di Montserrat

Se siete appassionati dei nostri racconti, saprete che amiamo viaggiare nel periodo autunnale o in primavera, dove l’affluenza turistica è minore e si riesce a godere meglio delle bellezze del territorio. Ma ora che le ragazze stanno diventando più grandi, una settimana di assenza durante la scuola media ha un peso diverso e diventa sempre più difficile conciliare i nostri viaggi con la danza ( passione di entrambe le ragazze) ed il recupero delle lezioni scolastiche. Per tale ragione quest’anno abbiamo deciso di conciliare la chiusura scolastica di Pasqua con il viaggio a Barcellona.

Devo ammettere che non siamo stati delusi dalla nostra scelta, Barcellona ci ha accolti con la sua forte presente e personalità. La Pasqua qui è molto sentita e si festeggiata per le strade, avvolti da un’atmosfera carica di emozioni.

Abbiamo dedicato un’intera giornata alla visita del Monastero di Montserrat, un importantissimo sito di pellegrinaggio della Catalogna, incastonato sul fianco di una montagna a circa 700 metri sul livello del mare. Il monastero è circondato da una catena di montagne davvero uniche dalle forme più disparate che sembrano proteggerlo dall’alto.

Da Barcellona abbiamo preso il treno per Aeri de Monserrat, dove si sale a bordo della funivia che in soli 5 minuti vi lascerà a pochi metri dal monastero. L’esperienza in funivia è spettacolare, si arriva quasi a sfiorare la roccia delle montagne, passandoci attraverso.
Ad un certo punto ho pensato che la roccia la prendessimo in pieno! E’ un’esperienza adrenalinica che ovviamente mette a dura prova chi come me soffre di vertigini, ma le cabine della funivia sono sicure e stabili.

L’attesa per salire sulla funivia è stata veramente lunga, 2 ore o poco più. Tantissimi spagnoli accanto a noi, che hanno approfittato della festa per raggiungere il santuario. I motivi per venire qui sono veramente i più diversi: pellegrinaggio trekking natura, ricerca di spiritualità o solo per una gita fuori porta.

Una volta scesi dalla funivia ci siamo presi tutto il tempo necessario per ammirare i dintorni dall’alto e scattare qualche foto. Ho immaginato il monastero coperto totalmente dalla nebbia e dal cielo plumbeo durante l’inverno o immerso nell’oscurità della notte. E mentre scrivo chiudo gli occhi nuovamente e mi lascio trasportare dal ricordo di quel luogo, ricco di mistero.

Il complesso comprende fra le altre cose una splendida basilica, che custodisce la statua della Vergine Moreneta di Montserrat. Secondo la leggenda, la statua in legno della madonna fu ritrovata nell’800 da alcuni bambini che pascolavano il gregge. Si tratta di una delle statue della Madonna Nera più famose nel mondo. Il Vescovo della vicina città di Mausera, venuto a sapere del ritrovamento, organizzò il trasporto della statua (alta non più di 90 cm), ma, a sorpresa, essa rimase immobile. Tale prodigio fu interpretato come segno della volontà della Beata Vergine di rimanere nei pressi del luogo e il vescovo ordinò immediatamente la costruzione del Santuario. Da quel momento prese vita il culto della Vergine di Montserrat.

La destinazione montuosa è attraversata da sentieri escursionistici, da cui si può apprezzare il bellissimo paesaggio circostante, e cercare, la veduta del monastero più spettacolare. Noi però a metà percorso siamo tornati indietro, le gambe non ci sostenevano più.

Ci sono posti che bastano da soli a riempire ore e ore, a farne il punto esatto in cui sei pronto a stare. Ma ciò che rende speciale ogni luogo e ogni momento, è la capacità di rendere ogni luogo quello giusto, ogni momento quello esatto per godersi ogni momento della vita.

Nel prossimo racconto, alcune tappe di Barcellona da non perdere  🙂

La Napoli che incanta.

Napoli è stata veramente una gita fuori porta, durata pochissimo di cui sentiamo già la mancanza.

Arrivati il sabato di buon’ora, abbiamo percorso il Miglio Sacro, un itinerario chescende” da Capodimonte attraverso le Catacombe di San Gennaro e arriva nel cuore del quartiere Sanità. Questo tour vi consentirà di scoprire luoghi bellissimi e nascosti della città:

  1. Catacombe di San Gennaro.
  2. Basilica di San Gennaro extra moenia.
  3. Basilica di Santa Maria della Sanità.
  4. Cripta delle Catacombe di San Gaudioso (esterno).
  5. Basilica di San Severo fuori le mura e Cappella dei Bianchi con visita esclusiva all’opera “Il figlio velato” di Jago.
  6. Palazzo Sanfelice e dello Spagnuolo.
  7. Porta San Gennaro.

La visita ha inizio dalle Catacombe di S. Gennaro, disposte su due livelli non sovrapposti e caratterizzate da ambienti molto ampi, rispetto a quelli delle catacombe di Roma, poiché scavate nel tufo napoletano, materiale facilmente lavorabile e nello stesso tempo resistente. Scendiamo nel livello Superiore della Catacomba dove si è subito immersi in questa antica città fatta di gallerie, cubicula, arcosoli, loculi a parete o scavati nel suolo.

In un arcosolio del VI sec. è raffigurata una famiglia con una bambina al centro, morta all’età di soli 10 anni. Le vesti preziose ed i gioielli suggeriscono che trattasi di una famiglia agiata, ma la vera particolarità di questo affresco è di essere composto da tre strati sovrapposti, infatti alla morte di ogni componente della famiglia, l’affresco veniva ridipinto

L’espansione della Catacomba Superiore avvenne a cominciare dal V secolo a seguito della traslazione delle reliquie di S.Gennaro in questa catacomba, che da lui poi prese il nome.
La catacomba infatti divenne un luogo di pellegrinaggio e un luogo ambito di sepoltura e da qui la necessità di scavare altre gallerie e cubicula per dar modo di essere seppelliti più vicino possibile al Santo.

Finito il tour sotterraneo siamo riemersi in uno spazio caotico, con una moltitudine di voci difficili da distinguere, motorini sfreccianti e musica ad alto volume proveniente da una palazzina sopra il nostro naso, dove tre bambine ed un cane si affacciavano al balcone in canotta, improvvisando balletti con il piumino della polvere. Napole è un bel caos.

Eravamo nel Rione Sanità e qui la bellezza è ovunque, scritta sui muri, nei vicoli, nel profumo dei panni stesi e in quello irresistibile di fritto.

Ci siamo addentrati nel mercato di vie delle Vergini, in un brulichio di gente che si muoveva da una bancarella all’altra, tutte colorate, colme di ogni tipo di merce in bella vista, con cartelli a volte anche molto bizzarri e fantasiosi.

Ai margini di piazza Cavour, l’ingresso del Palazzo dello Spagnolo, quasi nascosto dall’affollato mercato locale. Si tratta di uno dei più antichi ed affascinanti palazzi nobiliari di Napoli, capolavoro dell’architetto Sanfelice. Oggi il palazzo è divenuto un condominio e la sua proprietà è divisa tra molteplici famiglie.

Sempre lungo via Sanità vi è anche il Palazzo Sanfelice, simbolo del passato nobiliare della città partenopea, di quegli anni d’oro in cui Napoli era una delle capitali europee.

Il Palazzo si presenta grigio, in netto contrasto con il vicino Palazzo dello Spagnolo che appare restaurato e dai colori vivaci. Tuttavia, forse, è proprio questo suo aspetto trascurato a conferirgli l’enorme fascino di cui gode oggi, immortalato anche in tanti film e serie televisive.

Nel Rione Sanità – forse più che in altri luoghi – l’arte di strada (street artist) viene spesso usata per denunciare, per far conoscere, comprendere e per sensibilizzare. Lo fa Banksy e lo segue Jacopo Cardillo, in arte Jago, l’artista di Frosinone di fama internazionale, che ha scolpito, il Figlio Velato. L’opera nata a New York ha trovato la sua collocazione a Napoli e racconta la storia di un bambino, vittima innocente delle scelte degli adulti. È una storia di criminalità, di migrazioni, di stragi e di sacrifici inaccettabili. Un’opera che parla da sola.

Nel pomeriggio ci siamo dirette al Monastero di Santa Chiara, risalente al 1310, voluto dal re Roberto d’Angiò e sua moglie. Probabilmente fu proprio sua moglie che decise di realizzare questa piccola cittadella francescana, forse per rendere omaggio al suo desiderio represso di vita monastica. Tra i pittori che affrescarono la Basilica annessa al Monastero, Roberto D’Angiò chiamò anche Giotto. Purtroppo del passaggio di Giotto a Napoli, in Santa Chiara, restano solo piccoli frammenti.

Molto poetico il chiostro maiolicato delle Clarisse, trasformato nel 1742 da Domenico Antonio Vaccaro con pilastri, intervallati da sedili maiolicati con motivi agresti, marinari e mitologici. Il connubio tra gli accesi colori delle maioliche e il profumo degli agrumi riporta in Andalusia.

Il complesso monumentale di Santa Chiara è sopravvissuto negli anni e al susseguirsi di vicissitudini che lo hanno messo in pericolo, non ultimo il bombardamento aereo del 1943 che sventrò la basilica riducendolo in macerie. Seguirono restauri piuttosto incisivi.

Dal monastero è semplice arrivare in via San Gregorio Armeno, famosa in tutto il mondo per i suoi presepi. Qui la tradizione presepiale ha origine antica e il mestiere di solito viene tramandato di padre in figlio. È difficile descrivere a parole o con immagini la moltitudine di botteghe, negozietti e bancarelle coloratissime, che sono aperte tutto l’anno.

Sempre nel centro storico di Napoli è tornata visitabile la Chiesa di Santa Luciella ai Librai, famosa e conosciuta come la Chiesa del teschio con le orecchie. Dalla Sacrestia poche scale conducono allIpogeo, luogo dedicato alle sepolture e al culto delle anime “pezzentelle”.

Nel 1656, periodo tristemente noto per l’epidemia di peste, chi perdeva la vita veniva seppellito nelle fosse comuni e per questo motivo si perdeva l’identità dei cadaveri che non potevano più essere pregati nei luoghi di memoria. Da qui derivò l’usanza di adottare un teschio, una capuzzella, di cui prendersi cura per offrire conforto alle anime del Purgatorio in cambio di una grazia.

Quando i miracoli chiesti si avveravano, le donne erano solite ricompensare le capuzzelle portando in dono degli ex voto, spesso dalle connotazioni tipiche del miracolo ricevuto. All’interno della Chiesa di Santa Luciella se ne notano infatti di ogni tipo e spesso rappresentanti le parti del corpo che erano guarite proprio per merito della grazia ricevuta.

All’interno dell’Ipogeo è possibile notare una capuzzella davvero molto particolare rispetto alle altre: un teschio che sembra avere le orecchie e per questo motivo considerato speciale rispetto agli altri in quanto più “ricettivo” alle preghiere, da qui “Chiesa del teschio con le orecchie”.

Recenti studi condotti dai paleopatologi hanno in realtà stabilito che si tratta di un fenomeno di distaccamento dalle pareti laterali del cranio. Oggi molti visitatori si uniscono al culto della “capuzzella” lasciando nell’ipogeo bigliettini con preghiere.

Napoli è veramente bella e il Rione Sanita’, che spesso non viene inserito nell’itinerario di viaggio è stato dirompente, energico e bello.

Il giorno dopo dovevo mantenere una promessa fatta a Giada e siamo state al Gran Cono del Vesusio. E’ stato veramente bello ed emozionante.

Lo spettacolo davanti ci offriva una delle più belle vedute sul Golfo di Napoli.

Vedere il Vesuvio da vicino, anzi, avere il cratere principale ad un palmo dal naso, che in alcuni punti sbuffa è straordinario. Ne La Ginestra Leopardi scriveva che, nonostante la sua presunzione, l’uomo può nulla contro la natura, che l’uomo è infinitamente piccolo. Sul camino vulcanico ci si sente veramente piccoli, ma circondati da maestosa bellezza.

Prima di tornare a casa siamo ritornate indietro verso Napoli per scoprire uno dei borghi più belli della zona. Il porticciolo di Posipillo, “Mare Chiaro”.

E’ una domenica di Gennaio che sa di primavera, che corre. Ci sono 17 gradi in questo angolo colorato che profuma di mare.

La Campania sorprende sempre.

Roma antica, 2°giorno

Il nostro appartamento si trovava nel quartiere Rione Monti, una posizione davvero strategica e molto tranquilla, a pochi passi dal Colosseo, che con la sua imponente struttura e l’aurea mitica si staglia limpido all’orizzonte.

Abbiamo acquistato i biglietti attraverso una piattaforma specializzata, poiché comprarli direttamente dal sito del parco è stata un impresa pressoché impossibile, anche settimane prima della partenza.

Il Colosseo, originariamente conosciuto come Anfiteatro Flavio, è un monumento iconico di Roma, costruito nel I secolo d.C., durante il governo degli imperatori della dinastia Flavia e poteva ospitare fino a 80.000 spettatori. Era utilizzato per una varietà di eventi pubblici, tra cui giochi gladiatori, battaglie navali simulate, cacce di animali selvatici e rappresentazioni teatrali.

La mattina era dedicata alle “venationes”, ossia la battaglia e la caccia di animali selvatici. Conclusa la caccia, e rimosse le carcasse, l’anfiteatro era pronto per le esecuzioni, gare di atletica e spettacoli comici. Al tramonto arrivava il momento più atteso della giornata, quello dei combattimenti tra gladiatori, che si sfidavano fino alla morte o alla resa di uno dei due.

Fa strano pensare che in questa arena gladiatori e prigionieri si affrontavano in combattimenti all’ultimo sangue per dare spettacolo all’imperatore.

Usciti dal Colosseo siamo entrati nell’area dei Fori Imperiali, un vero labirinto tra resti dei fori costruiti da Cesare, Augusto, Nerva e Traiano.

Fu il brillante intelletto di Cesare a partorire la geniale idea di erigere il primo sito e nel 46 a.C. iniziarono i lavori.

Nel Medioevo i fori subirono un lento ma inesorabile processo di demolizione e molte perle del complesso archeologico sparirono, per lasciare posto ai primitivi complessi urbani di case popolari e edifici religiosi. Per fortuna negli anni 30, prese il via il progetto finalizzato a restituire al mondo questo splendido museo a cielo aperto.

Dopo un piccolo spuntino ci siamo avviati al Pantheon. Costruito nel 27 a.C. da Agrippa e riedificato da Adriano (110-125). Inizialmente era luogo di culto pagano, per divenire poi una chiesa cristiana e mausoleo di uomini illustri (i re d’Italia Vittorio Emanuele II e Umberto I).

La cupola del Pantheon è un vero gioiello di tecnologia che ha retto a 2000 anni di terremoti. Venne costruita seguendo una tecnica d’avanguardia che usava materiali sempre più leggeri mentre ci si spostava verso l’alto. Al culmine c’è una grande apertura detta oculus’, l’occhio dal quale penetra l’unica fonte di luce che ha consentito gli studi di astronomia. Si dice che nel Pantheon non piova mai. In realtà l’apertura crea un “effetto camino” cioè una corrente d’aria ascensionale che porta alla frantumazione delle gocce d’acqua. Così, anche quando la pioggia fuori è battente, la sensazione è che all’interno piova meno. Centralmente, sul pavimento, ci sono poi fori di drenaggio, che impediscono il formarsi di pozzanghere.

Proseguiamo verso la bellissima fontana di Trevi e ci fermiamo per le foto, non dimenticando di effettuare il rituale lancio della monetina. La Fontana di Trevi è un capolavoro barocco di marmo bianco che contrasta con il turchese dell’acqua della vasca. Raffigura il dio marino Oceano su un carro trainato da cavalli guidati da tritoni. E’ una delle location più amate e conosciute di Roma, sempre particolarmente affollata.

Dalla Fontana di Trevi raggiungiamo Piazza di Spagna, la scalinata brulica di gente.

Prima di partire ho l’abitudine di stilare una lista di luoghi particolari da vedere e nell’elenco avevo inserito l’ospedale delle bambole, in via Roma.


Avevo letto che trattasi un’officina storica che produce e ripara bambole, dal 1939. Avevamo immaginato un luogo di pura poesia, con tantissimi occhi di bambole di tutti i colori, ma anche braccia e gambe, i cosidetti pezzi di ricambio. Immaginate la nostra delusione nel vedere un restauratore poco incline, in quel momento, a spiegare perchè non ci fosse un reparto ospedaliero di bambole.

Ma non è stata questa la nostra meta finale.

Eravamo desiderosi di visitare la Basilica di San Pietro. Ed eccoci, dopo quasi 30 minuti a piedi, immersi nella omonima piazza, come piccole formichine. Attorno a noi i due colonnati semicircolari che conducono verso la Basilica posta al centro. La coda per entrare nella Basilica era abbastanza scorrevole e mancava veramente poco alla chiusura dei tornelli.

Superati i dovuti controlli, abbiamo varcato questo scrigno, dove sono conservate opere d’arte dal valore impareggiabile come la Pietà di Michelangelo, la Cupola di Michelangelo e, lungo la navata centrale, il Baldacchino di Bernini. La Basilica di San Pietro è incantevole, immensa e affascinante allo stesso tempo.

Termina così il diario di viaggio del nostro secondo giorno in Roma. Stanchi, affamati e con tanta voglia di riposare, decidiamo di risparmiare le ultime forze, cenando a casa dopo aver acquistato tutto il necessario presso il mercato Rione Monti.

La mia app “contapassi”, a fine serata segnava 14 km, 22.421 passi.

Milano vista da Nicole.

Settimana scorsa sono stata a Milano, per uno stage al Kataklo Teatre Accademy. Ero impegnata dalle 9 del mattino alle 17, ma non volevo tornare a casa senza vedere qualcosa di Milano. Così mia madre ha organizzato minuziosamente le nostre giornate dividendole in due parti: la mattina dedicata a Giada e la serata dedicata a me, Giada e la nonna.

Per tale ragione non vi parlerò della Chiesa di S. Ambrogio, del Cenacolo di Leonardo da Vinci o del Museo della Scienza e della Tecnica, tutti sicuramente da vedere, ma di luoghi a misura di ragazzo/bambino, freschi e ombreggiati, perfetti per concedersi un momento di pace dal caldo che ha attanagliato e attanaglia ancora d’estate Milano.

Ho scoperto che Milano è una città in fermento costante che riesce a trasferire anche nei più piccoli questo suo entusiasmo per la cultura e la creatività.

Primo giorno.

Mentre io ero in Accademia, Giada e la nonna sono andate al Parco Avventura, a pochi minuti da Piazzale Corvetto. È una zona verde, con alberi alti dove, imbragati, si passa da una pianta all’altra grazie a piattaforme sospese, ponti tibetani, carrucole, corde e scale. Ci sono percorsi divisi per difficoltà che vengono indicati all’ingresso del parco. Per lei è stato puro divertimento, io posso solo raccontarlo attraverso le sue parole.

Il pomeriggio dopo le 17 ci siamo dirette in centro per cercare di entrare al Duomo o al Palazzo Reale, ma l’impresa è stata ardua poiché la biglietteria chiudeva alle 17.45. Per cui decidiamo di provare l’indomani con l’aiuto da casa: la mamma che acquista on line i biglietti salta fila.

Secondo giorno.

La nonna e Giada decidono di andare ai Giardini Idro Montanelli, uno dei polmoni verdi della città e come prima tappa scelgono di Museo Civico di Storia Naturale. Ci sono ben due piani tutti da scoprire: il piano terra è interamente dedicato agli animali preistorici, soprattutto i dinosauri; il secondo si trovano riproduzioni dei principali ambienti naturali della nostra Terra, dagli oceani agli ambienti tropicali, dalla savana ai poli. Non è un museo interattivo, ma un museo “vecchio stampo” con tanti modelli e tante didascalie attraverso cui scoprire dinosauri e animali.

Sempre all’interno dei Giardini Indro Montanelli, c’è il Planetario Hoepli di Milano, pronto a stupire con le osservazioni del cielo stellato e le spiegazioni dei fenomeni astronomici, fornite dalle guide. Giada era un fiume in piena per tutto ciò che ha imparato sul colore delle stelle e sulla loro temperatura.

La sera, invece, decidiamo di passeggiare in Piazza Duomo e andare al caffè Rabbit, un locale totalmente ispirato alle avventure di Alice: cappelli enormi appesi al soffitto con le teiere, tazzine in ceramica, fiori giganti, orologi e la grande scacchiera.
Sul bancone dei dolci una scritta a led rosa suona come un imperativo: «Follow your cake». Beh !!!!!! non è affatto semplice.

Terzo giorno

Giada e la nonna si dirigono al giardino botanico di Brera. E’ un giardino storico, un museo a cielo aperto dove si intersecano aspetti naturalistici, botanici, estetici e storici.

L’Orto Botanico di Brera, fu voluto dall’imperatrice Maria Teresa d’Austria ed in breve tempo divenne un luogo di studio e di scienza.

Ma perché non visitare anche il Museo di Brera, si è chiesta la nonna. Ed il passo è stato breve.

Io adoro i musei, camminare fra le loro sale immaginando di passeggiare dentro un libro, dove ogni scultura, ogni dipinto, racconta una storia. A Brera puoi scoprire che un museo non è solo un contenitore di opere ma anche un luogo in cui ci sono persone che si prendono cura delle opere, infatti esiste un’intera sala dedicata al restauro di quadri, a vista.

La sera avevamo finalmente i biglietti per la mostra di Leandro Erlich, al Palazzo Reale.

Oltre la Soglia è un’importante esposizione che raccoglie in un unico percorso 19 importanti opere dell’artista argentino. Le opere sfruttano oggetti della quotidianità, ma con alcuni dispositivi l’artista riesce a ribaltare le percezioni e la realtà.

In Oltre la Soglia si viene continuamente coinvolti e si diviene parte dell’opera. Leandro Erlich vuole infatti coinvolgere lo spettatore attraverso cambi di prospettiva, illusioni ottiche, manipolazione percettiva e scene inaspettate.

Alcune opere che ci sono piaciute sono:

Le Nuvole. All’interno di una teca sono contenute le nuvole. Speciali formazioni, ben illuminate e soffici così come siamo abituati a vederle in natura.

La stanza del porto. Le tre barche davanti a noi, vuote ed illuminate, sono quasi ferme e galleggiano sull’acqua, dondolando lievemente a causa delle onde. Ma siamo sicuri?? in realtà non c’è acqua.

Lost Garden. Qui è riprodotto un piccolo giardino decisamente particolare. Affacciandoti in una delle sue due finestre per sbirciare l’”esternoti troverai a comparire anche alle altre finestre che danno sul giardino.

 Infinite Staircase. In questa installazione ci siamo ritrovate davanti a una scala a chiocciola a grandezza naturale, che si sviluppa però in orizzontale. Si ha la sensazione di guardare verso il basso anziché verso un lato.

Classroom Si tratta di, una stanza semibuia divisa in due parti da un grande vetro, estremamente malinconica. La stanza a cui puoi accedere è estremamente spoglia, dotata solamente di alcuni sgabelli e tavoli che ti invitano a sederti. Girandoti sulla destra, oltre il vetro, potrai notare un’aula scolastica fatiscente, illuminata da una luce fioca. Ci siamo sedute nella prima sala, ma apparivamo  quasi come fantasmi all’interno dell’altra classe, che sembra essere ferma nel tempo.

Hair Salon Sulle porte ci sono gli orari di apertura del salone da parrucchiere e entrandovi ti troverai in una fedele ricostruzione di un salone, con tanto di spazzole, pettini, spruzzini e phon. Ogni postazione dispone di una sedia e di uno specchio, ma mentre gli specchi sui lati esterni riflettono le immagini delle persone, quelli centrali sono solo delle cornici. Sedendoti in queste postazioni non ti vedrai riflesso, ma dall’altra parte troverai una persona differente che ti guarderà in maniera disorientata.

Palazzo. L’opera più bella per noi. E’composta dalla facciata di un palazzo posizionata in orizzontale su cui si erge un enorme specchio posto obliquamente a 45° sugli spettatori. Lo specchio dà l’impressione che le leggi della gravità siano momentaneamente sospese.

Si tratta di un’opera d’arte interattiva, in cui il pubblico è invitato a salire sulla facciata e ad arrampicarsi, dando vita a una vera e propria performance.

Penso che nessuno venga a Milano senza vedere il Duomo. Cosi la nostra ultima sera siamo salite sulle guglie del Duomo per ammirare le sue sculture e per godere di una vista unica su Milano.

Grazie mamma, anche telefonicamente sei riuscita a guidarci in questa avventura e grazie nonna, ormai entrata a pieno diretto nel gruppo delle Rondinelle in Viaggio.

PARIGI

Vi racconterò di un viaggio voluto e chiesto più volte dalle mie bimbe, di una città che incanta continuamente e di me. Probabilmente aspettavo solo la motivazione giusta per ritornare in un luogo che più di 20 anni fa aveva già rapito gli occhi ed il cuore.                                                                                                               Cercheremo di indicare le tappe di questo nostro breve tour, lasciando alcuni approfondimenti in altri articoli, di cui si sente già il gorgoglio.                                  Parigi è sempre una scoperta, non smette mai di stupire con le sue luci notturne, con l’eleganza dei suoi monumenti, i piccoli bistrot e il profumo delle baguettes appena sfornate.

Abbiamo scelto di immergerci nel mood parigino, soggiornando in Rue Saint Denis, vicino a Rue Montorgueil, la via dedicata agli amanti del cibo. Abbiamo iniziato a tracciare il nostro percorso conoscitivo dalla pasticceria Stohrer, una vera e propria istituzione francese. 

La riconosci dal colore blu scuro delle vetrine, dalle quali si vedono in bella mostra file di Tarte Tatin, Tarte Tropezienne, Torta Saint Honore, Macarons, Éclair, Croissant, Tarte au citron. L’elenco dei dolci francesi potrebbe andare avanti ancora, ma pochi sanno che anche il babà al rum è nato in Francia e l’ideatore lavorava proprio dietro il bancone di questa pasticceria. Si tratta di Nicolas Stohrer, pasticcere presso la corte di Luigi XV, che nel 1730 lascia Versailles per fondare la sua pasticceria, la Maison Stohrer, al 51 di rue Montorgueil.  Un tripudio di colori, sapori e odori che ricorderete anche dopo la vacanza.                               

Siamo a pochi passi da Place René-Cassin, nel cuore del quartiere delle Halles, per ammirare la Chiesa di Saint-Eustache, una delle più antiche e affascinanti di Parigi con il suo aspetto imponente e superbo, splendido esempio di architettura gotica che vanta un passato illustre. Al suo interno venne battezzato Richelieu, sepolto Voltaire e qui Mozart fece celebrare la messa funebre per sua madre. Dinanzi alla Chiesa è posizionata l’Ecoute, un’enorme testa di pietra appoggiata su una gigantesca mano.                           Un’originale scultura che invita all’ascolto.

Raggiungiamo sempre a piedi la Senna.

Le bancarelle verde scuro posizionate lungo il fiume fanno parte della storia e dell’identità parigina, tanto da essere diventate patrimonio dell’UNESCO. Sono circa 250 le bouquinistes di Parigi che espongono quotidianamente un’enorme quantità di pezzi rari e introvabili che richiamano l’interesse di appassionati e collezionisti.

L’origine dei bouquinistes risale al 1607 ed è legata al Pont Neuf.
Fu su questo ponte che i primi mercanti ambulanti di libri si stabilirono per vendere libri giornali, spesso sovversivi e spesso vietati dal Concilio di Trento.

Al di là del fiume, in un angolo silenzioso dove godersi la città, sorge la famosa libreria di Shakespeare che affonda le proprie radici nel 1919.                                                                                       La prima libreria, luogo d’incontro di grandi scrittori dell’epoca come James Joyce ed Ernest Hemingway, chiuse i battenti nel 1941 a causa dell’occupazione tedesca di Parigi. Diaci anni dopo l’americano George Withman, riapre la libreria nel luogo dove si trova attualmente, cercando di non snaturarla dall’idea originaria.

Per scoprire il cuore di una città bisogna tuffarsi nei mercati di quartiere ed i parigini sono particolarmente legati a questa eredità, tanto che non è raro camminando imbattersi in uno di questi. Siamo nel cuore della Ile de la Cité, a 2 passi da Notre-Dame de Paris e stiamo parlando del  Marchè aux fleur: un’esplosione di rose, orchidee, gigli, tulipani, bulbi, gabbie per uccelli e articoli in legno, raccolti con cura in piccoli stand, in attesa di essere collezionati.

Il nostro primo giorno a Parigi, rigorosamente a piedi, termina al grattacielo di Montparnasse.

Con i suoi 56 piani e 299 metri di altezza, questa torre offre la vista più bella di Parigi, ma anche la più suggestiva. Esternamente l’edificio è un classico grattacielo, ma al 56° piano si accede alla terrazza panoramica, che regala una vista mozzafiato su tutta la città. Credo che la vista da qua su sia più bella anche rispetto alla torre Eiffel.

Parigi è molto di più di quello che ricordavo ❤️.

La magia dei passages de Paris!

La loro storia inizia tra la fine del XIX e il primo trentennio del XX secolo. A quei tempi Parigi era ancora una città dall’urbanistica spontanea e confusa, stradine di ogni tipo si intersecavano tra loro, sfociando a volte in piccole piazze, a volte finevano dritte sugli argini della Senna. Nessuna pavimentazione, polvere e fango dappertutto. I locali al piano terra erano adibiti a stalle per cavalli o a depositi, non curati e maleodoranti.
Così a qualcuno venne in mente di coprire la stradina di propria pertinenza con leggere strutture metalliche e lastre di vetro all’altezza dei tetti, per far passare la luce del giorno e per bloccare la pioggia. Et voilà il passage era fatto. In quella strada ora si poteva passeggiare anche in giornate di pioggia e vento, senza il rischio di bagnarsi e di infangarsi le scarpe ed in breve nacquero botteghe, negozi, cafés e piccoli bistrots.

Il successo fu travolgente e presto la moda dei passages coperti si diffuse in tutto il centro cittadino. A favorire l’operazione fu soprattutto la rivoluzione urbanistica sotto Napoleone III che stravolse completamente l’assetto della città. Demolite le costruzioni fatiscenti, risanate le zone centrali, preservate soltanto strade e case di una certa fattura, i passages acquistarono una loro specifica fisionomia, diventando luoghi di ritrovo ricercati ed eleganti. Al massimo del loro splendore, a Parigi se ne contavano circa 150, con negozi che offrivano mercanzie di vario tipo, come le preziose stoffe indiane importate, le ricercate porcellane e cristallerie delle migliori manifatture d’Europa.

Entrare in uno dei passages couverts di Parigi equivale a fermare il tempo, lontano dal clamore della città, in un’atmosfera dal sapore nostalgico.

Vi raccontiamo alcuni dei passage che abbiamo incontrato.

Passage du Grand Cerf. Un passage un po’ diverso, forse meno luccicante o fiabesco rispetto ad altri, ma ugualmente bello. La prima cosa che vi colpirà sarà l’altezza del soffitto vetrato, da cui la luce naturale scende copiosa ad inondare la galleria. Fino al 1825 al suo posto sorgeva il terminal delle diligenze, un’efficace rete di trasporto passeggeri e merci in attività fin dai tempi del re Sole, e la “maison du roulage du Grand Cerf”. Demolito il terminal, si cominciò a costruire la galleria che confermò il nome della maison. Le insegne sono tutte molto originali. Ci sono negozi di antiquariato e modernariato, un orafo che crea deliziosi gioielli, lampade sciccose e gomitoli di lana declinati in mille colori, tessuti ed incensi.

Passage Jouffroy. Risale ai tempi di Luigi-Filippo, si caratterizza per le numerose insegne e decorazioni d’epoca. E’ il primo passaggio parigino interamente costruito in metallo e vetro, che lascia al legno solo gli elementi decorativi. Protagoniste sono le antiche botteghe di francobolli e monete, le decorazioni d’epoca e le insegne eclettiche.

Passage des Panoramas. Questo passaggio coperto è uno dei più antichi di Parigi e d’Europa, edificato nel 1799. Venne chiamato così perché all’interno si potevano ammirare delle pitture a 360 gradi dipinte sui muri, denominate i “panorama”.

Ogni bottega è unica nel suo genere, da “Maison Gilbert”, il negozio di giocattoli orgogliosamente fondato nel 1848, alle librerie storiche che espongono con fierezza le prime edizioni degli autori più celebri della letteratura francese.

Ma la bottega che più mi ha colpita è “La maison du Roy”, chiamata anche “la boutique preferita di Maria Antonietta”: gioielli lussuosi, arredi eccentrici e creazioni pompose affollano questa particolare boutique.

All’interno del Passage Jouffroy si trova anche un luogo inedito, l’Hotel Chopin (tipicamente parigino) e il museo delle cere, Musee Grevin.

Nei Passage il silenzio avvolge tutto e tutti, così rallentiamo il passo e godiamo di questo rallentatore. Si ha l’impressione di essere in una sorta di giardino d’inverno, protetti dal freddo e dall’incessante fermento che agita Parigi.

Ogni passage ha una sua anima.

Entrate senza fretta.

Palermo

Nel nostro sesto giorno di viaggio, on the road per la Sicilia, siamo giunti a Palermo, con un bagaglio di colori, odori ma anche di chilometri percorsi. Il tempo era limitato ma siamo riusciti ad ammirare alcuni tesori del capoluogo, con qualche bella sorpresa prima di ritornare in Puglia.

Prima tappa il Palazzo Reale, la più antica residenza reale d’Europa che poggia su un’antica costruzione punica, fortificata dai greci e dagli arabi, divenuta nel tempo importante centro della cultura e dell’arte.

La visita alla Cappella Palatina è una delle cose imprescindibili da fare. Trattasi di una basilica in stile normanno-bizantino, voluta da Ruggero II d’Altavilla, il primo re normanno di Sicilia, e consacrata nel 1140, completamente ricoperta da mosaici. E’ davvero splendida e per osservare ogni dettaglio bisognerebbe stare ore intere con il naso all’insu’.

Ruggero II aveva una visione molto aperta della tolleranza religiosa e perciò chiamò alla realizzazione della cappella arabi e normanni. Questi ultimi a quei tempi erano analfabeti e perciò i mosaici erano un modo per far conoscere i testi sacri.

Alla destra dell’ingresso, il candelabro monolitico alto oltre quattro metri, un capolavoro scultoreo in marmo bianco diviso in cinque ordini che poggia su quattro leoni, simbolo dei normanni, che azzannano uomini e animali. Al centro del candelabro è raffigurato Cristo con la barba, seduto su un cuscino, che tiene in mano un libro. Ai suoi piedi si vede la figura di un uomo in abiti ecclesiastici, probabilmente lo stesso Ruggero II.

Al secondo livello, si trovano gli appartamenti reali molto belli sia per la presenza dei decori sia per gli elementi di arredo.

Con nostra grande emozione, era allestita all’intero del palazzo la mostra di Steve MC Curry: “For Freedom”: una raccolta di volti di donne afgane che hanno perso il diritto allo studio e alla vita sociale, un nuovo appello al mondo che si è dimenticato troppo in fretta del passato.

Le Chiese barocche sono i fiori all’occhiello dei paesaggi cittadini siciliani. Molte di queste costruzioni presentano una variante autonoma del genere Barocco, in cui è preponderante l’uso dei colori, dei marmi e delle decorazioni.

Noi abbiamo scelto, nel nostro tempo esiguo, di visitare la chiesa del Gesù di Palermo, meglio conosciuta come Casa Professa, una delle più imponenti e spettacolari chiese barocche di tutta la Sicilia. Un tripudio di marmi, stucchi e decorazioni, che rivestono ogni centimetro quadrato della superficie interna.

La chiesa è la manifestazione della presenza e del lavoro dei gesuiti. Costoro si impegnarono nell’istruzione, istituendo collegi e scuole ed intraprendendo missioni per arrestare l’ondata di protestantesimo. L’interno è ricco di colori e iconografie che celebrano la gloria di Gesù e della Madonna. Sono raffigurati elementi astratti, ma anche animali, umani e fiori, realizzati in marmo mischio e tramischio, in un’esplosione di colori e grandezza.
Del resto, lo scopo primo del Barocco è quello di diffondere la dottrina cattolica attraverso lo sfarzo e la grandiosità e spettacolarità della propria arte. Impossibile rimanere indifferenti di fronte alla spettacolarità di quest’opera.

Non si può andar via da Palermo senza avere visto il mercato di Ballarò. Qui si entra subito in un altro mondo, fatto di voci, di urla, di cui spesso non capisci il senso, avverti solo i suoni che si sovrappongono, ti circondano e ti confondono. E poi vedi i colori, così accesi, delle innumerevoli varietà di frutta e verdure fresche che attirano lo sguardo. E poi senti gli odori, quelli più forti, del pesce appena pescato, quelli più inebrianti delle tante spezie e piante aromatiche, quelli più tenui e freschi della frutta e delle verdure. Non puoi fare a meno di assaggiare un’arancia, una spremuta di melagrane, di comprare un prodotto locale da portare via.

Sui banchi davanti alla gente che passa le cose più inimmaginabili: piattini di sarde, di beccafico, polpi interi scottati in acqua e gettati su una piastra, spiedini, un tripudio di colori, di sapori, di cibi.

Tra i vicoli del quartiere Ballarò è ancora possibile imbattersi nell’antica bottega di Antimo, calzolaio e nel coloratissimo atelier del cuoio di Massimo e Gino, di cui ho parlato nell’articolo dedicato alle botteghe siciliane. https://wordpress.com/post/rondinelleinviaggio.family.blog/423

Palermo appare come una città eclettica e versatile e trai vicoli, sia di giorno che la sera, è sempre una gran festa.

All’ora del crepuscolo vicoli e piazze si trasformano in suggestive location di food&drink. Anche in inverno ci si può sedere fuori nei dehors contemplando la scenografia che offre la città, fastosi palazzi nobiliari, giardini lussureggianti e scorci pittoreschi che trasudano storia.

La stanchezza a fine tour, dopo quasi 800 km percorsi, è visibile sui nostri volti, ma speriamo di ritornare presto in Sicilia, che è entrata a pieno titolo nel nostro cuore.

Castello Dentice Di Frasso. Carovigno

Castelli  che custodiscono segreti di un tempo che si vorrebbe perpetuare con echi di leggende e tradizioni che evocano riti e celebrazioni  di profonda devozione popolare: siamo a Carovigno.

Il suo splendido castello ha conosciuto molti proprietari e subito grandi trasformazioni, fino a diventare un’importante residenza gentilizia già prima del XVII secolo.

Il Castello Dentice di Frasso è uno degli oltre trenta castelli della Puglia Imperiale, che ci dà il senso della fortezza, ma aggraziato con ricchi decori barocchi. Qui l’attenzione si focalizza sulle forme particolari di una struttura rimaneggiata nel tempo, evidenziate dalla minimalità che aleggia negli spazi interni, rimasti in gran parte spogli di arredi, mobili e suppellettili.

La fortezza fu eretta nel XII secolo in stile normanno-pugliese probabilmente su un preesistente sito messapico.

All’interno, sull’arco del portone principale, c’è il blasone in pietra del casato Dentice di Frasso e sotto lo scudo, lungo il nastro sinuoso dalle code bifide, la scritta ‘Noli me tangere’ (non mi toccare). A sinistra del portone una pianta di kenzia ormai ultracentenaria, messa a dimora dalla stessa contessa  Elisabetta Schlippenbach.

A destra una splendida balconata in pietra calcarea, sostenuta da 18 mensole finemente lavorate aggiunta come elemento decorativo nel XVIII secolo.

Da un piccolo cortile interno si accede sia alle “segrete” che ai piani superiori. Le prime sono cunicoli stretti e bassi, con locali scavati nella roccia, che scendono di circa 5 metri sotto il livello stradale. Nati probabilmente come prigioni, divennero in seguito depositi per olio e vino, nevaio e magazzini, purtroppo si accede solo con la guida, che domenica non era disponibile.

Delle sofferenze nel passato di Elisabetta, si è saputo solo dopo il ritrovamento di un diario di memorie, racchiuso in una cartella in seta verde bordata e legata con un cordoncino. Nelle pagine del diario si racconta dello scalpore negli ambienti cattolici e benpensanti di corte per quell’inaccettabile divorzio, da quel marito, molto più anziano, impostole prima dei 17 anni.

Donna forte di nobile casata austriaca che a fine Ottocento sceglie la libertà separandosi dal marito e da una realtà molto agiata. Rinuncia al figlio, viaggia per un lungo periodo sino all’incontro con Alfredo e l’amore vero. La immaginiamo in una delle splendide terrazze del castello, nelle sale destinate al laboratorio di tessitura, nei giardini.

Il centro storico di Carovigno è piccolo. Lo giriamo a piedi e godiamo del silenzio prima di entrare in una piazzetta con musica dal vivo e buono street food.

Di chiese a Carovigno ne troverete tante, ciascuna con una storia diversa. Case bianche tinteggiate a calce, le coorti, i cortili ingentiliti da una panchina colorata, una pianta di fico d’india, preziosi accenni delle epoche passate.

Le temperature piacevoli ci invitano a spostarci lungo la costa, nella frazione di Carovigno, Torre San Sabina. Una normale spiaggia della costa adriatica che nasconde una storia antichissima e affascinante: quella di un porto molto importante, utilizzato fin dal VII secolo a.C. dalle navi mercantili oggetto dei traffici con la Grecia. 

Siamo ad ottobre inoltrato, è la Puglia regala ancora giornate indimenticabili.