Situata nel territorio di Carovigno, a pochi chilometri da San Vito dei Normanni e Ostuni, questo tratto di costa, di zona umida e macchia mediterranea è molto frequentata durante i mesi estivi, grazie alla possibilità di accedere alla spiaggia e alle numerose attività che la riserva dedica, ma anche durante i mesi invernali è altrettanto affascinante e tutta da scoprire.
L’area è accessibile anche in autonomia, basta lasciare l’auto ai varchi del parco e procedere a piedi o in bici, camminando per i sentieri in terra battuta, oppure tra le dune, fino alla bella torre fortificata cinquecentesca che costituisce il cuore della riserva.
Noi abbiamo deciso di passeggiare tra le dune ed il percorso ci ha riservato piacevoli incontri. Abbiamo assistito agli ipnotici movimenti degli ultimi stormi, pronti alla migrazione, i quali con le loro evoluzioni alate disegnavano nuvole e onde nel cielo e abbiamo ascoltato suoni e sussurri della natura ai quali non siamo più abituati a dare ascolto.
Purtroppo c’è anche un’altra “lettura” di quello che abbiamo trovato sulla spiaggia: non parliamo solo di plastica e degli altri rifiuti trasportati dalle onde, ma di quelli lasciati dall’uomo consapevolmente. All’interno di una duna, dietro alcuni arbusti, decine di cassette di polistirolo, utilizzate durante la pesca. Cosa ci fanno cassette di polistirolo all’interno di una riserva naturale?
Purtroppo siamo stati testimoni anche di un triste ritrovamento: due esemplari di Caretta Caretta, che erano sullo stesso lembo di spiaggia, a poca distanza l’una dall’altra. Abbiamo avvertito immediatamente la Capitaneria di Porto, a cui abbiamo inviato la geolocalizzazione e le foto del ritrovamento. Il recupero sarebbe venuto l’indomani. Il rinvenimento ci ha lasciati amareggiati, non possiamo negare che dietro a due esemplari morti in uno stesso tratto di spiaggia c’è la mano dell’uomo.
Terra meravigliosa dominata dal verde della natura rigogliosa e dall’azzurro del mare, il Gargano è indubbiamente una delle mie zone preferite. Una terra che forse inizialmente può sembrare ostile per le strade impervie, i tornanti e la difficoltà nell’accedere ad alcune baie, ma che pian piano ti conquista. E forse è proprio questo il segreto del suo fascino.
Complice una serata organizzata al Castello di Monte Sant’angelo, dall’associazione Ais, Bollicine di Puglia, l’indomani abbiamo visitato Monte Sant’Angelo e Vieste, passando attraverso la Foresta Umbra.
Il Santuario di Monte Sant’Angelo e’ unico e suggestivo, non lascia indifferenti anche coloro che non sono credenti. All’interno questa grotta, un uomo ( dipendente del luogo) vi portera’ per mano attraverso la storia, i libri sacri e citazioni classiche e nel suo volo pindarico, vi raccontera’ l’amore per San Michele. Purtroppo non ricordo il suo nome ma posso assicurarvi che ascoltarlo e’ stato un dono.
Non si può visitare il Gargano senza conoscere la sua duplice natura, senza conoscere quello che c’e’ oltre il mare.
Dopo questa breve sosta ci siamo allungati su Vieste. Un piccolo paesino sul mare, che con le sue case bianche si trova sulla punta più a est del Gargano. Simbolo di questo territorio è, senza dubbio, il Pizzomunno, la grande roccia che si erge con tutta la sua maestosità, a controllare e proteggere la città. La leggenda narra che ai tempi in cui Vieste era ancora un villaggio, Pizzomunno era un bellissimo pescatore del posto.
Ogni giorno andava in mare con la sua barca e lì trovava le sirene che provavano ad incantarlo, promettendogli l’immortalità. Il giovane, innamorato follemente di Cristalda, non cedeva. Fu così che una sera, mentre i due innamorati stavano sulla spiaggia, le sirene gelose portarono via Cristalda. Pizzomunno tentò invano di salvare l’amata. Il giorno dopo, alcuni pescatori ritrovarono il ragazzo pietrificato dal dolore nello scoglio che oggi tutti possiamo ammirare.
I due innamorati si rincontrano ogni cento anni. Questa leggenda mi ricorda un’altra: la notte di Tanabata. Una leggenda giapponese in cui la principessa celeste Orihime e il pastore Hikoboshi si incontrano attraversando la Via Lattea, per poi doversi separare nuovamente per un anno. Entrambe le leggende raccontano l’amore, che né il mare né il tempo possono spezzare.
Vieste è anche un luogo ricco di storia, popolata sin dal Paleolitico, come testimoniano i molti siti archeologici e i reperti ritrovati.
Il centro storico è pieno di vicoletti e viste mozzafiato. Da vedere:
-la Cattedrale di Santa Maria Assunta, risalente alla seconda metà del XI sec., in stile romanico-pugliese, ad eccezione del campanile ricostruito in stile barocco in seguito a un crollo nel 1772; – il castello, che sorge al margine del centro, su una rupe a strapiombo sul mare. Purtroppo non sempre è visitabile perché divenuta sede militare. Da non perdere il suggestivo panorama che si può osservare dalla balconata.
Se state facendo un giro nel centro storico non potete perdere la scalinata degli innamorati. Ebbene sì, sembra che l’amore sia il filo conduttore di questa città e se non siete romantici, potrebbe essere la vostra occasione per esserlo, almeno per un giorno!
Merita una sosta, fuori città, TorreSanFelice, una torre di difesa, osservazione e segnalazione costiera.
Le torri costiere sin dall’antichità sono rimaste il miglior mezzo di protezione contro gli invasori indesiderati dal mare. Ad oggi è cambiato solo il modo di ascoltare e osservare, ma non lo scopo. La torre fu costruita nel 1540, durante il regno del Regno di Napoli.
Grazie alla sua posizione, Torre San Felice è il miglior punto panoramico sulla famosa e bellissima formazione rocciosa Arco di San Felice.
L’Arco è una creazione mozzafiato della natura, un’imponente strutturarocciosa che emerge dalle acque cristalline del mare Adriatico. Questo arco naturale è il risultato di millenni di erosione, scolpito dal vento e dal mare, ed è un esempio straordinario di bellezza naturale. La sua vista è particolarmente affascinante al tramonto, quando le sfumature del sole che cala dipingono la roccia di colori caldi e avvolgenti. Poco distante dall’arco, si apre la baia, come un abbraccio accogliente verso il mare. Con le sue acque turchesi e la sabbia finissima, è una delle spiagge più incantevoli del Gargano. Questo luogo è nuovamente appuntato in agenda, sarà il punto di partenza per un’escursioniinbarca, per esplorare l’arco da una prospettiva unica e tutto questo tratto di costa meraviglioso.
Grazie ai miei compagni di viaggio, senza il loro coinvolgimento non avrei mai pensato di andare nuovamente sul Gargano, per 24 ore.
Non poteva mancare una sosta aperitivo Molfetta presso @lachiazzod, prima del rientro a casa.
Nella terra Salentina nasce uno splendido borgo dalle origini molto antiche, Ruffano. Una piccola cittadina che si colloca tra due mari, quasi a pari distanza dallo Jonio e dall’Adriatico, ricco di storia e di tradizioni locali.
I portali barocchi, le case a corte, i portoncini colorati, il museo della Civiltà Contadina, i numerosi palazzi settecenteschi, la chiesa dell’Annunziata e il Castello Brancaccio: tutto merita di essere visitato.
Il Castello è in realtà un palazzo nobiliare, impreziosito da sculture e bassorilievi nella loggia interna e collegato alla Chiesa matrice tramite una loggia esterna (la cosiddetta “Loggia Brancaccio”), grazie alla quale i suoi occupanti potevano godere della possibilità di assistere alle funzioni religiose dall’alto di due finestrelle che si affacciavano direttamente all’interno dell’edificio sacro.
Questo era definito “privilegio della grata” ed è un simbolo del rapporto tra Chiesa e aristocrazia, accordato nel 1657 direttamente dal papa Alessandro VII allora principe di Ruffano, Carlo Brancaccio. Fu proprio la casata napoletana dei Brancaccio, a rendere grandi e nobili, nel corso del 1600, il palazzo e il relativo feudo. Dopo varie conquiste che smembrarono il feudo la proprietà passò alla nobile famiglia Leuzzi di Latiano. Il matrimonio fra una Leuzzi e un Pizzolante, diede origine al doppio cognome Pizzolante-Leuzzi, famiglia che ancora adesso occupa l’antico palazzo nobiliare con l’ultimo discendente.
Lasciandoci alle spalle la piazza dominata dalla torre dell’orologio, entriamo nel castello tramite il portone principale, sormontato dallo stemma dei marchesi Ferrante, e ci inoltriamo nello splendido atrio, dominato dalla statua del principe Brancaccio.
La Chiesa matrice custodisce al suo suo interno altari finemente intagliati nella duttile pietra leccese e le grandi tele del pittore ruffanese Saverio Lillo, impossibile non notare l’enorme tela in cui Gesù Caccia i mercanti dal tempio.
La passeggiata nel centro storico prosegue con la scoperta dell’ipogeo e degli artisti locali che espongono le loro opere, tra materiali in legno, di corda e ceramica. La ceramica è una delle peculiarità del territorio di Ruffano, un paese in cui in passato gran parte dell’economia si basava sull’arte dei pignatari e si contava la presenza di numerose fornaci.
Poco distante dal centro urbano, due artisti, hanno dipinto a mano una scalinata urbana, rendendola una sorta di coloratissimo tappeto volante. “Volante” perché attraverso decori che si ispirano alla tradizionale produzione di tappeti del Mediterraneo e a simboli e scene della vita del paese, crea l’impressione di essere proiettati in altri luoghi e culture.
Insomma, di certo non c’è da annoiarsi se decidete di andare a Ruffano. Ancor più se decidete di farlo quando è in programma Cortili aperti, così come abbiamo fatto noi.
Come tappa finale della nostra uscita fuori porta, al confine con il comune di Casarano, abbiamo raggiunto un importante sito naturale. Si tratta di una grotta trasformata in luogo di culto cristiano dai Basiliani nel XI secolo. Al suo interno convivono graffiti di epoca paleolitica, neolitica e affreschi bizantini.
Il borgo di Oria è un insieme di stradine tortuose che tra scalinate, passaggi pedonali, colonne romane, mura medioevali e chiese rinascimentali lo rendono un piccolo gioiello dell’entroterra pugliese, ricco di mistero e fascino. Siamo giunti a Piazza Manfredi, punto nevralgico della città, dove oggi come in passato la gente è solita incontrarsi e scambiare due chiacchiere. La piazza si presenta come un corridoio che si allarga in corrispondenza del palazzo del Sedile, dove ci attendeva la Pro Loco.
Il tour “Oria Sotterranea” ci ha rivelato un borgo ricco di storia, racchiuso da un alone di mistero.
Siamo nel medioevo e a causa dei ripetuti crolli, il progetto per edificare il castello si arrestava continuamente. Si diffuse la voce che la città fosse stata colpita da una maledizione, così su consiglio di alcuni veggenti, si decise di sacrificare una bambina innocente e di spargere il sangue lungo il perimetro del castello. La madre disperata per la morte della sua bambina lanciò un monito contro la città: “Possa tu fumare Oria, come fuma il mio cuore esasperato“. Da questa leggenda l’appellattivo di “Oria fumosa”.
Dal Palazzo del Sedile raggiungiamo la Chiesa di S. Antonio da Padova, che custodisce alla suo interno la cripta di San Mauro, visibili sulle pareti ancora gli affreschi, centralmente San Mauro, a destra la Madonna del Melograno.
Lungo le pareti sono pesenti vani verticali, probabilmente preposti ad accogliere i defunti.
Rientriamo attraverso una delle porte della città e giungiamo alla Chiesa di S. Maria dell’Assunta, costruita in stile barocco su una precedente struttura romanica. Questa splendida chiesa cattura lo sguardo fin dal primo istante con la sua imponente cupola, le sue mattonelle policrome e il lanternino a bulbo arabo che aggiungono un tocco di eleganza e raffinatezza al profilo architettonico dell’edifico.
Sotto le sue fondamenta, si cela una sorpresa: la Cripta delle Mummie. Unico nel suo genere non solo in terra salentina, ma al mondo. La cripta delle Mummie è il solo caso in cui ad avere l’onore di essere mummificati sono stati dei laici.
La storia inizia quando Otranto viene invasa dai turchi ed Oria corre in soccorso e come onorificenza a chi tornava vivo veniva concessa la mummificazione.
Il progetto aveva lo scopo di dar loro riconoscenza eterna. Tuttavia, nel 1806, Napoleone Bonaparte emise un editto con il quale vietava le sepolture nelle chiese e le imbalsamazioni. Gli studi sulle mummie però hanno rivelato che tra quelle giunte fino ai giorni nostri, soltanto una è antecedente l’editto, mentre le altre sono tutte riconducibili al periodo successivo, fino al 1858. Prova che ad Oria si continuò clandestinamente la pratica della mummificazione. Il salone in cui si trovano le mummie presenta una volta a botte ed il pavimento in terra battuta sul quale sono poste tre botole che permettono l’accesso ai cunicoli sotterranei allestiti per l’inumazione e conducenti fino alla Torre Palomba. Sopra le nicchie contenenti i corpi degli ultimi confratelli mummificati, vi è una struttura sulla quale sono poggiati i teschi di coloro che sono morti da più tempo.
Ultima tappa di questo tour, Palazzo Martini, situato nel cuore del centro storico di Oria. Il palazzo ospita reperti storic che coprono un arco temporale compreso tra l’età arcaica e quella imperiale romana ed offrono la possibilità di cogliere aspetti significativi della realtà socioculturale delle popolazioni messapiche in relazione al culto dei morti e alle usanze funerarie.
Gli scavi archeologici hanno portato alla luce migliaia di reperti, identificati come offerte votive che riconducono al culto di Demetra e Persefone, in una grotta che si trova sul Monte Papalucio, poco distante dalla città. Echi di antichi culti di guarigione – la papagna” e “lu ‘nfascinu”- che echeggiano ancora nella tradizione contadina.
Un borgo da non perdere assolutamente! Noi ci siamo state in primavera, con il naso all’insù tra il blu e le nuvole che correvano veloci.