Un frammento di Gargano

Terra meravigliosa dominata dal verde della natura rigogliosa e dall’azzurro del mare, il Gargano è indubbiamente una delle mie zone preferite.
Una terra che forse inizialmente può sembrare ostile per le strade impervie, i tornanti e la difficoltà nell’accedere ad alcune baie, ma che pian piano ti conquista. E forse è proprio questo il segreto del suo fascino.

Complice una serata organizzata al Castello di Monte Sant’angelo, dall’associazione Ais, Bollicine di Puglia, l’indomani abbiamo visitato Monte Sant’Angelo e Vieste, passando attraverso la Foresta Umbra.

Il Santuario di Monte Sant’Angelo e’ unico e suggestivo, non lascia indifferenti anche coloro che non sono credenti. All’interno questa grotta, un uomo ( dipendente del luogo) vi portera’ per mano attraverso la storia, i libri sacri e citazioni classiche e nel suo volo pindarico, vi raccontera’ l’amore per San Michele. Purtroppo non ricordo il suo nome ma posso assicurarvi che ascoltarlo e’ stato un dono.

Non si può visitare il Gargano senza conoscere la sua duplice natura, senza conoscere quello che c’e’ oltre il mare.

Dopo questa breve sosta ci siamo allungati su Vieste.  Un piccolo paesino sul mare, che con le sue case bianche si trova sulla punta più a est del Gargano. Simbolo di questo territorio è, senza dubbio, il Pizzomunno, la grande roccia che si erge con tutta la sua maestosità, a controllare e proteggere la città. La leggenda narra che ai tempi in cui Vieste era ancora un villaggio, Pizzomunno era un bellissimo pescatore del posto.

Ogni giorno andava in mare con la sua barca e lì trovava le sirene che provavano ad incantarlo, promettendogli l’immortalità. Il giovane, innamorato follemente di Cristalda, non cedeva. Fu così che una sera, mentre i due innamorati stavano sulla spiaggia, le sirene gelose portarono via Cristalda. Pizzomunno tentò invano di salvare l’amata. Il giorno dopo, alcuni pescatori ritrovarono il ragazzo pietrificato dal dolore nello scoglio che oggi tutti possiamo ammirare. 

I due innamorati si rincontrano ogni cento anni. Questa leggenda mi ricorda un’altra: la notte di Tanabata. Una leggenda giapponese in cui la principessa celeste Orihime e il pastore Hikoboshi si incontrano attraversando la Via Lattea, per poi doversi separare nuovamente per un anno. Entrambe le leggende raccontano l’amore, che né il mare né il tempo possono spezzare.

Vieste è anche un luogo ricco di storia, popolata sin dal Paleolitico, come testimoniano i molti siti archeologici e i reperti ritrovati. 

Il centro storico è pieno di vicoletti e viste mozzafiato. Da vedere:

-la Cattedrale di Santa Maria Assunta, risalente alla seconda metà del XI sec., in stile romanico-pugliese, ad eccezione del campanile ricostruito in stile barocco in seguito a un crollo nel 1772;
– il castello, che sorge al margine del centro, su una rupe a strapiombo sul mare. Purtroppo non sempre è visitabile perché divenuta sede militare.                   Da non perdere il suggestivo panorama che si può osservare dalla balconata.

Se state facendo un giro nel centro storico non potete perdere la scalinata degli innamorati. Ebbene sì, sembra che l’amore sia il filo conduttore di questa città e se non siete romantici, potrebbe essere la vostra occasione per esserlo, almeno per un giorno!

Merita una sosta, fuori città, Torre San Felice, una torre di difesa, osservazione e segnalazione costiera.

Le torri costiere sin dall’antichità sono rimaste il miglior mezzo di protezione contro gli invasori indesiderati dal mare. Ad oggi è cambiato solo il modo di ascoltare e osservare, ma non lo scopo. La torre fu costruita nel 1540, durante il regno del Regno di Napoli.

Grazie alla sua posizione, Torre San Felice è il miglior punto panoramico sulla famosa e bellissima formazione rocciosa Arco di San Felice.

L’Arco  è una creazione mozzafiato della natura, un’imponente struttura rocciosa che emerge dalle acque cristalline del mare Adriatico. Questo arco naturale è il risultato di millenni di erosione, scolpito dal vento e dal mare, ed è un esempio straordinario di bellezza naturale. La sua vista è particolarmente affascinante al tramonto, quando le sfumature del sole che cala dipingono la roccia di colori caldi e avvolgenti. Poco distante dall’arco, si apre la baia, come un abbraccio accogliente verso il mare. Con le sue acque turchesi e la sabbia finissima, è una delle spiagge più incantevoli del Gargano.  Questo luogo è nuovamente appuntato in agenda, sarà il punto di partenza per un’escursioni in barca, per esplorare l’arco da una prospettiva unica e tutto questo tratto di costa meraviglioso.

Grazie ai miei compagni di viaggio, senza il loro coinvolgimento non avrei mai pensato di andare nuovamente sul Gargano, per 24 ore.

Non poteva mancare una sosta aperitivo Molfetta presso @lachiazzod, prima del rientro a casa.

Ruffano, un piccolo gioiello salentino

Nella terra Salentina nasce uno splendido borgo dalle origini molto antiche, Ruffano. Una piccola cittadina che si colloca tra due mari, quasi a pari distanza dallo Jonio e dall’Adriatico, ricco di storia e di tradizioni locali.

I portali barocchi, le case a corte, i portoncini colorati, il museo della Civiltà Contadina, i numerosi palazzi settecenteschi, la chiesa dell’Annunziata e il Castello Brancaccio: tutto merita di essere visitato.

Il Castello è in realtà un palazzo nobiliare, impreziosito da sculture e bassorilievi nella loggia interna e collegato alla Chiesa matrice tramite una loggia esterna (la cosiddetta “Loggia Brancaccio”), grazie alla quale i suoi occupanti potevano godere della possibilità di assistere alle funzioni religiose dall’alto di due finestrelle che si affacciavano direttamente all’interno dell’edificio sacro.

Questo era definito “privilegio della grata ed è un simbolo del rapporto tra Chiesa e aristocrazia, accordato nel 1657 direttamente dal papa Alessandro VII allora principe di Ruffano, Carlo Brancaccio. 
Fu proprio la casata napoletana dei Brancaccio, a rendere grandi e nobili, nel corso del 1600, il palazzo e il relativo feudo. Dopo varie conquiste che smembrarono il feudo la proprietà passò alla nobile famiglia Leuzzi di Latiano.
Il matrimonio fra una Leuzzi e un Pizzolante, diede origine al doppio cognome Pizzolante-Leuzzi, famiglia che ancora adesso occupa l’antico palazzo nobiliare con l’ultimo discendente.

Lasciandoci alle spalle la piazza dominata dalla torre dell’orologio, entriamo nel castello tramite il portone principale, sormontato dallo stemma dei marchesi Ferrante, e ci inoltriamo nello splendido atrio, dominato dalla statua del principe Brancaccio.

La Chiesa matrice custodisce al suo suo interno altari finemente intagliati nella duttile pietra leccese e le grandi tele del pittore ruffanese Saverio Lillo, impossibile non notare l’enorme tela in cui Gesù Caccia i mercanti dal tempio.

La passeggiata nel centro storico prosegue con la scoperta dell’ipogeo e degli artisti locali che espongono le loro opere, tra materiali in legno, di corda e ceramica. La ceramica è una delle peculiarità del territorio di Ruffano, un paese in cui in passato gran parte dell’economia si basava sull’arte dei pignatari e si contava la presenza di numerose fornaci.

Poco distante dal centro urbano, due artisti, hanno dipinto a mano una scalinata urbana, rendendola una sorta di coloratissimo tappeto volante. “Volante” perché attraverso decori che si ispirano alla tradizionale produzione di tappeti del Mediterraneo e a simboli e scene della vita del paese, crea l’impressione di essere proiettati in altri luoghi e culture.

Insomma, di certo non c’è da annoiarsi se decidete di andare a Ruffano. Ancor più se decidete di farlo quando è in programma Cortili aperti, così come abbiamo fatto noi.

Come tappa finale della nostra uscita fuori porta, al confine con il comune di Casarano, abbiamo raggiunto un importante sito naturale. Si tratta di una grotta trasformata in luogo di culto cristiano dai Basiliani nel XI secolo. Al suo interno convivono graffiti di epoca paleolitica, neolitica e affreschi bizantini.

Il Salento ci riserva sempre belle sorprese 🙂

Oria, tra fascino e mistero

Il borgo di Oria è un insieme di stradine tortuose che tra scalinate, passaggi pedonali, colonne romane, mura medioevali e chiese rinascimentali lo rendono un piccolo gioiello dell’entroterra pugliese, ricco di mistero e fascino. Siamo giunti a Piazza Manfredi, punto nevralgico della città, dove oggi come in passato la gente è solita incontrarsi e scambiare due chiacchiere. La piazza si presenta come un corridoio che si allarga in corrispondenza del palazzo del Sedile, dove ci attendeva la Pro Loco.

Il tour “Oria Sotterranea” ci ha rivelato un borgo ricco di storia, racchiuso da un alone di mistero.

Siamo nel medioevo e a causa dei ripetuti crolli, il progetto per edificare il castello si arrestava continuamente. Si diffuse la voce che la città fosse stata colpita da una maledizione, così su consiglio di alcuni veggenti, si decise di sacrificare una bambina innocente e di spargere il sangue lungo il perimetro del castello. La madre disperata per la morte della sua bambina lanciò un monito contro la città: “Possa tu fumare Oria, come fuma il mio cuore esasperato“. Da questa leggenda l’appellattivo di “Oria fumosa”.

Dal Palazzo del Sedile raggiungiamo la Chiesa di S. Antonio da Padova, che custodisce alla suo interno la cripta di San Mauro, visibili sulle pareti ancora gli affreschi, centralmente San Mauro, a destra la Madonna del Melograno.

Lungo le pareti sono pesenti vani verticali, probabilmente preposti ad accogliere i defunti.

Rientriamo attraverso una delle porte della città e giungiamo alla Chiesa di S. Maria dell’Assunta, costruita in stile barocco su una precedente struttura romanica. Questa splendida chiesa cattura lo sguardo fin dal primo istante con la sua imponente cupola, le sue mattonelle policrome e il lanternino a bulbo arabo che aggiungono un tocco di eleganza e raffinatezza al profilo architettonico dell’edifico.

Sotto le sue fondamenta, si cela una sorpresa: la Cripta delle Mummie. Unico nel suo genere non solo in terra salentina, ma al mondo. La cripta delle Mummie è il solo caso in cui ad avere l’onore di essere mummificati sono stati dei laici.

La storia inizia quando Otranto viene invasa dai turchi ed Oria corre in soccorso e come onorificenza a chi tornava vivo veniva concessa la mummificazione.

Il progetto aveva lo scopo di dar loro riconoscenza eterna. Tuttavia, nel 1806, Napoleone Bonaparte emise un editto con il quale vietava le sepolture nelle chiese e le imbalsamazioni. Gli studi sulle mummie però hanno rivelato che tra quelle giunte fino ai giorni nostri, soltanto una è antecedente l’editto, mentre le altre sono tutte riconducibili al periodo successivo, fino al 1858. Prova che ad Oria si continuò clandestinamente la pratica della mummificazione. Il salone in cui si trovano le mummie presenta una volta a botte ed il pavimento in terra battuta sul quale sono poste tre botole che permettono l’accesso ai cunicoli sotterranei allestiti per l’inumazione e conducenti fino alla Torre Palomba. Sopra le nicchie contenenti i corpi degli ultimi confratelli mummificati, vi è una struttura sulla quale sono poggiati i teschi di coloro che sono morti da più tempo.

Ultima tappa di questo tour, Palazzo Martini, situato nel cuore del centro storico di Oria. Il palazzo ospita reperti storic che coprono un arco temporale compreso tra l’età arcaica e quella imperiale romana ed offrono la possibilità di cogliere aspetti significativi della realtà socioculturale delle popolazioni messapiche in relazione al culto dei morti e alle usanze funerarie.

Gli scavi archeologici hanno portato alla luce migliaia di reperti, identificati come offerte votive che riconducono al culto di Demetra e Persefone, in una grotta che si trova sul Monte Papalucio, poco distante dalla città. Echi di antichi culti di guarigione – la papagna” e “lu ‘nfascinu”- che echeggiano ancora nella tradizione contadina.

Un borgo da non perdere assolutamente! Noi ci siamo state in primavera, con il naso all’insù tra il blu e le nuvole che correvano veloci.

Massafra terra magica.

Massafra è un gioiello incastonato nella natura, rappresentata qui in modo prorompente da suggestive gravine, che custodiscono antiche storie e preziosi habitat naturali. Questa gravina antropizzata già dal Neolitico, racchiude al suo interno un ambiente naturalistico ricco di grotte, aromi e mistero. Si contano ben 200 nuclei abitativi.

Il nostro trekking è iniziato con una vista mozzafiato sulla Gravina e sul santuario della Madonna Della Scala, che con i 125 gradini consente l’accesso sul fianco orientale della Gravina di Massafra. Il santuario è incastonato nella roccia ed è intitolato alla santa protettrice della città dal 1776. La storia del santuario trae origine dalla leggenda del “miracolo delle cerve” secondo cui, intorno al Trecento, due cerve braccate dai cacciatori s’inginocchiarono nel punto in cui vi era un affresco bizantino della Vergine. In memoria dell’evento, nel luogo del miracolo fu eretta una piccola cappella. L’affresco è ancora oggi il cuore del santuario.

Accanto alla chiesa c’è una cripta, al cui interno sono conservati un affresco del XIII secolo con la Madonna della Buona Nuova ed una bellissima S. Caterina d’Alessandria, riconoscibile dalla corona di regina e dalla ruota dentata del martirio.


Attraverso una porticina accanto alla chiesa e superando un ipnotico corridoio nella roccia, ci siamo ritrovati immersi in una lussureggiante vegetazione, nota come Valle delle Rose.

Lungo il percorso abbiamo visitato le grotte utilizzate come abitazioni, articolate in due o tre vani destinati a camera da letto, soggiorno e cucina, arredate da nicchie sulle pareti per gli oggetti e l’illuminazione, da pozzetti per lo stivaggio dei cereali e dei legumi, dalla cisterna esterna per la raccolta dell’acqua.

Vi sono anche altre cavità destinate agli animali domestici, alla vinificazione, alla spremitura delle olive e alla panificazione. L’espansione urbanistica del villaggio è avvenuta dal basso verso l’alto e in alcuni punti si scorgono i diversi livelli sovrapposti di abitazioni, collegati da scale e cenge aeree.

La magia ha sempre suscitato un certo fascino sull’essere umano. Egli la teme, ma allo stesso tempo ne è attirato. Vi è mai capitato di imbattervi in quello che viene chiamato “affascino”? O nella tagliatrice di Vermi? Sono racconti della tradizione popolare che un pò tutti abbiamo ascoltato. Chissà se qualcuno di voi è anche testimone di queste antiche pratiche. Potrebbe essere argomento di un prossimo racconto.

Massafra, per esempio, si è costruita una fama su questa tradizione popolare, non a caso viene chiamata la “terra dei masciari”.

Legata a questa credenza è la figura di un alchimista, che intorno all’anno 1000 viveva con la figlia nella Gravina delle Rose, dedicando le proprie giornate al trattamento di piante officinali per ricavarne unguenti curativi, attività che aveva portato la gente di Massafra a pensare che praticassero la stregoneria. Parliamo del mago Greguro e di Margheritella.

La giovane raccoglieva le erbe durante la notte, alimentando ancor di più le maldicenze. Si racconta che la fanciulla fosse anche molto bella e che tutti gli uomini del paese la corteggiavano, sedotti da filtri e sortilegi. Venne processata e messa al rogo, per fortuna venne salvata.

L’ingresso della farmacia è una voragine nella roccia verticale e si accede all’interno tramite due scale a pioli. Suggerisco di armarsi di coraggio e salire. Io mi sono inerpicata sulle scale, nonostante le vertigini. Ormai ci sto facendo l’abitudine.

La salita viene subito ripagata da uno scenario emozionante.

La farmacia è suddivisa in diversi ambienti comunicanti tra loro: il primo è composto da spaziose camere mentre il secondo è più piccolo e si accede attraverso un cunicolo basso e stretto.

Intagliato nella roccia una sorta di scaffale con piccole nicchie, in cui è facile riconoscervi la tradizionale colombaia per l’allevamento dei piccioni. Ma trovo più intrigante interpretarla come la gigantesca scaffalatura della farmacia nella quale il mago e sua figlia riponevano le erbe medicinali.

In una terra magica non poteva mancare anche la scoperta di un locale in cui mangiare del buon cibo e la foto che segue racconta tutto.

A casa ci siamo portate nuove bellissime amicizie e la consapovolezza che la sinergia esiste laddove si condivide la qualità del tempo. E così ci siamo promessi un trekking insieme, ma al momento non vi svelo nulla.

Rosanna

La gravina di Ginosa

Situata a pochi chilometri dal confine con la Basilicata, Ginosa è un borgo di particolare bellezza, che sin ad oggi non avevamo preso in considerazione.

Si tratta di un borgo incantato, sospeso nel tempo, dal fascino antico e magico. Con le sue “case-grotta” e le chiese rupestri scavate nella roccia – risalenti a migliaia di anni fa – rappresenta uno degli spettacoli naturali italiani più sorprendenti, insieme alla “sua gemella” Matera.

La guida ci attendeva in Piazza dell’Orologio, un edificio del XIX secolo che ha sostituito il Palazzo del Sedile, sede del Comune, del carcere e dell’ufficio delle tasse. I palazzi che si ammirano ancora oggi, sono costruzioni maestose, eleganti ed armoniose, arricchite da archi, statue e fregi. Nel 1819 le famiglie nobili che abitavano la Piazza furono autorizzate a demolire il Sedile, a causa dei lamenti, delle imprecazioni del reo e degli schiamazzi del popolo che si diffondevano a tutte le ore, determinando una situazione snervante, degradante e malsana, ed a costruire a loro spese la piramide per collocarvi il nuovo edificio.

Il cuore della visita a Ginosa è la sua gravina, che si estende per circa 10 km tutt’intorno al centro storico, come un ferro di cavallo. La gravina è un canyon scavato dall’acqua sulle cui pendici, per secoli, gli uomini hanno scavato case grotta e le hanno abitate. Nella Gravina di Ginosa troviamo ben due villaggi rupestri: Rivolta (il più antico, con resti presitorici) e Casale.

Fra i due rioni, su uno sperone di roccia, si erge il Palazzo Baronale che sembra per buona parte quasi sospeso nel vuoto. Fu costruito per esigenze difensive nell’XI secolo, poi in età rinascimentale è diventato un palazzo signorile, purtroppo non è visitabile.

Nel villaggio di Rivolta le grotte sono disposte su 5 livelli collegati tra loro: la fila di grotte sottostante ospita le cisterne, i cortili e gli orti delle grotte soprastanti, mentre i piani terrazzati sono divisi da muretti di pietre a secco e collegati da ripide stradine e scalinate. Le case-grotta sono visitabili e mostrano le tracce della vita che vi si trascorreva.

L’ingresso delle case è rivolto a Sud in modo da incamerare quanta più luce e calore durante l’inverno e si realizzavano con architettura di sottrazione: si scavava nella tenera calcarenite e si utilizzava il materiale ottenuto per creare gli ingressi e le porte.

Quando entri ti chiedi come fosse vivere qui tanti anni fa, con gli animali in fondo alla stanza ed il camino all’entrata. Non c’erano le fognature, ma tutto era ben organizzato e tutto veniva riutilizzato come concime per i campi.

Attraverso il tratturo ci siamo dirette prima alla chiesetta di Santa Sofia, protetta da una delicatissima cancellata. La Chiesa conserva sul fondo ancora l’altare, sormontato da un dipinto della Crocifissione, ed i sedili di pietra destinati ai fedeli. Ci siamo poi dirette, attraverso un ripido sentiero all’isolata chiesetta rupestre di Santa Barbara, non visitabile a causa delle sue precarie cindizioni, ma al cui interno sono ancora visibili zone affrescate.

Ovunque eravamo avvolte dal profumo di rucola, mentuccia e timo.

Il rione Casale è un altro villaggio rupestre che si incontra scendendo nella conca del torrente, malinconico, abbandonato, ma allo stesso tempo potente.
Qui le case-grotta si mescolano a case che uniscono una parte scavata nella grotta ad una costruita su un altro livello. Il villaggio porta i segni delle alluvioni avvenute nel 1857 e, recentemente, nel 2013 che hanno danneggiato le chiese rupestri dei Santi Medici e di San Domenico.

Giungiamo nel silenzio ai piedi della Chiesa Matrice, costruita in tufo locale. Si gode di un panorama incantato. Il signor Carmelo, nato 72 anni fa in una casa grotta, è il custode della Chiesa Matrice e ha aperto per noi le porte di un luogo che sembra sospeso nel tempo.

Ginosa è stata inaspettatamente suggestiva. Vanta un paesaggio tormentato e grandioso, di grande impatto visivo come a Matera, ma al momento meno manipolato dalle esigenze del turismo di massa. La consigliamo vivamente.

La nostra visita è terminata all’interno dell’info Point di @visitginosa, un’associazione turistica e culturale, nata con l’intento di promuovere il territorio, le eccellenze culinarie e artigianali. Organizzano molte esperienze e noi abbiamo già trovato alcune interessanti che di certo proveremo e vi racconteremo.

Non potevamo andar via da Ginosa senza cenare in un tipico ristorante: salumi e formaggi dal profumo inconfondibile, pasta con cicerchie e pancetta, agnello, zampini e “gnummerjìdd”. Per il dolce non c’era più spazio 🙂