Barcellona: tappe iconiche

Il cielo di Barcellona sfrutta ogni inezia di luce, così che possiamo affondare gli occhi in un cielo blu intenso, sempre.

Sono ritornata per la seconda volta in questa ammaliante città, questa volta in compagnia dei miei figli.

Siamo arrivati alle 17, il tempo di lasciare le valigie e siamo scivolati all’interno della città vecchia, verso il parco della Cittaduella, il cui ingresso è caratterizzato dall’Arco di Trionfo, costruito in occasione dell’Esposizione Universale del 1888 come simbolo di benvenuto. Tra l’arco ed il parco la gente passeggia, ma soprattutto si ferma ad osservare gli artisti che si esibiscono in tutta la loro creativita’.

Con largo anticipo avevamo programmato alcuni ingressi a monumenti storici della città, i cui biglietti spesso vanno sold out. Così il giorno dopo siamo entrati all’interno della straordinaria ed iconica Sagrada Família, il capolavoro incompiuto dell’architetto Antonio Gaudí. Questa basilica unica nel suo genere è uno dei simboli più riconoscibili di Barcellona e rappresenta un esempio straordinario dell’architettura modernista catalana.

L’architettura è intrisa di simbolismo religioso e naturale, con riferimenti alla natura, alla geometria e alla spiritualità. I lavori di completamento continuano ancor oggi, mantenendo viva la visione di Gaudí e rendendo questo monumento una continua evoluzione dell’arte e della creatività umana.

Il percorso della visita alla basilica incomincia ovviamente dalla Facciata della Natività. Una facciata barocca, ricchissima di sculture e simbologie: qui l’elemento dominante è la vitalità, l’allegria, la bellezza.

A differenza delle facciate, traboccanti di storia, l’interno, pur sempre simbolico, è essenziale. La protagonista assoluta è la luce, che filtra tra le colonne, leggermente inclinate, come in un bosco incantato, poiché esse hanno la forma di alberi i cui rami, in alto, come delle possenti mani, sostengono l’intera struttura.

La tonalità dei colori cambia in continuazione, in base alla posizione del sole, dai colori più freddi alla mattina, ai colori accessi, giallo e rosso, alla sera, quando il sole si sposta ad occidente.

Ad occidente si trova la facciata della Passione, a conclusione della vita terrena di Gesù. Le sculture sono volutamente scarne e spigolose e trasmettono una grande sofferenza e tristezza. Non c’è spazio in questa facciata per gli abbellimenti barocchi, per l’allegria.

Subito dopo la Sagrata Familia ci siamo avviati al Palau de la Música Catalana, un gioiello architettonico e culturale situato nel cuore di Barcellona. Questo meraviglioso edificio rappresenta uno dei capolavori dell’architettura modernista catalana e offre una esperienza unica per gli amanti della musica, dell’arte e della bellezza architettonica.

Costruito tra il 1905 e il 1908, il Palau de la Música Catalana è un omaggio all’arte e alla cultura catalana. È stato progettato da Lluís Domènech i Montaner, uno dei principali architetti modernisti della città. Una delle caratteristiche più spettacolari del palazzo è la sua sala da concerto principale. All’interno, un’esplosione di colori e forme, grazie all’uso creativo di vetrate colorate, mosaici e sculture decorative. Il soffitto vetrato a forma di cupola rappresenta un sole splendente, che irradia luce e calore su tutto l’auditorium.

Nel pomeriggio avevamo programmato la visita a Casa Batlló. E’ un vero e proprio viaggio nella mente del visionario architetto catalano che ha disegnato la silhouette di questa città rendendola così unica e sensuale. Non vi aspettate una classica visita, piuttosto un invito ad esplorare l’universo attraverso la luce e il  colore, i protagonisti assoluti di Gaudí.

Spettacolare e senza precedenti la sintesi digitale realizzata dall’artista Refik Anadol per illustrare come il mondo interiore di fantasia e tumulto si sia trasformato in architettura moozzafiato.

E’ impossibile non restare affascinati da questa città dal blu intenso, che avvolge ogni cosa.

E se capiteranno, talvolta, giorni dell’inquietudine, riguarderò queste foto straripanti di blu, riavvolgerò all’infinito i video girati, mi ricorderò dei vostri baci e abbracci.

Con amore mamma.

Un tuffo nel passato

E così, senza pensarci due volte, siamo salite a bordo della nostra auto alla volta del Cilento. In questo breve articolo vi raccontiamo il nostro primo giorno, tra Agropoli e Paestum, dove il fascino della cultura e la bellezza dei paesaggi si intrecciano e rendono questa terra un luogo magico.

Agropoli trae il suo nome da Acropolis, “città alta” .

Su un promontorio a picco sul mare, la città conserva tutta la bellezza del suo passato, in perfetto stato sono, sia il centro antico e gran parte delle mura difensive con il portale d’ingresso, sia il maestoso Castello Angioino Aragonese. La visita parte dal cuore più antico della città.

La panchina dell’Amore.

E’ possibile accedere al centro storico di Agropoli attraverso la caratteristica salita degli “scaloni”, per secoli una via d’accesso al borgo e oggi uno dei pochi esempi di salita a gradoni, caratterizzati da gradinate larghe e basse.

Da qui inizia lo spettacolo del Borgo Antico, con le piccole strade di pietra, i vicoli stretti, i negozi di souvenir e antiquariato. Il Castello a pianta triangolare e con tre torri circolari, si erge imponente sul promontorio incastrandosi con il vertice nel borgo antico, la cui struttura originale risale ai bizantini.

A poca distanza dal centro abitato una spiaggia da non perdere: la Baia di San Francesco, che prende il nome dallo scoglio a strapiombo sul mare e dal monastero che la sovrasta. E’ un piccolo paradiso, un angolo incontaminato, un punto di litorale tra la roccia con un fondale misto di sabbia e pietrisco, accessibile attraverso una serie di scalini che partono dalla Chiesa di San Francesco. All’orizzonte si scorge la croce dalla quale secondo la leggenda, il Santo parlò agli uccelli e ai pesci

Da Agropoli in soli 10 minuti si arriva a Paestum, uno di quei posti che dovremmo visitare almeno una volta nella vita e che da secoli conserva tutta la sua autenticità.

Molti di noi hanno la convinzione che Paestum sia nata proprio come polis greca, in realtà Paestum ha origini antichissime, i ritrovamenti hanno datato i suoi primi insediamenti dal Paleolitico all’età del Bronzo.

Già all’ingresso del parco non potrai non notare la maestosità e l’immutabile bellezza protrattasi nel tempo dei due templi, simboli del parco. Si tratta dei templi di Hera e di Nettuno, entrambi risalenti al periodo della polis greca.

Il templio più grande è il templio di Nettuno, datato V secolo a.C., costruito senza l’utilizzo della malta e con grandi massi collegati tra loro con dei tasselli, l’altro è il tempio di Hera, più piccolo ma più antico, datato 560 a.C., chiamato anche Basilica per il suo colonnato.

All’interno dei templi potevano entrare soltanto i sacerdoti, perciò tutti i sacrifici offerti venivano lasciati al di fuori.

La maggior parte delle case visibili, nel parco, sono di epoca romana, riconoscibili perchè tutte con le stesse caratteristiche: una sequenza in asse con tre ambienti principali, l’atrium (ossia il cortile interno), il tablinum (ossia la sala di rappresentanza) ed il peristilium (ossia il giardino). Ai lati dell’atrium si sviluppavano i cubicula, ossia le camere da letto. Al centro dell’atrium invece era spesso collocato l’impluvium, una vasca in marmo per la raccolta delle acque piovane.

Santuario con piscina

Paestum era famosa per le sue rose, dalla doppia fioritura annuale, e qui venivano prodotti i profumi che durante l’epoca romana avevano grande importanza nelle classi sociali.

Dopo la visita nel parco archeologico di Paestum, ci siamo recati al Museo e qui si resta estasiati da quanto l’uomo fosse già alla ricerca della bellezza.

Tutti i reperti ritrovati nel parco son stati portati qui, tra questi, il più importante è la Tomba del Tuffatore: spettacolare dipinto di arte greca ritrovato all’interno di una tomba che rappresenta, secondo alcune teorie, il passaggio dalla vita terrena all’aldilà.

La tomba era formata da cinque lastre calcaree che, al momento del ritrovamento, si presentavano accuratamente connesse fra loro, internamente dipinte ad affresco, copertura inclusa.

Proprio la raffigurazione della lastra di copertura, un giovane tuffatore, ha dato il nome all’intera sepoltura: Tomba del tuffatore.

Le lastre che costituivano le pareti della cassa presentano vivaci scene conviviali, mentre sul coperchio è raffigurata l’immagine di un giovane colto nell’atto del tuffarsi. Le quattro scene conviviali, nel loro insieme, ricostruiscono il contesto di un “simposio”, cioè la fase del banchetto greco destinata alla degustazione dei vini, all’ascolto di musiche e canti e alla recitazione di versi. Non è un caso, quindi, che nel corredo funerario della tomba sia stata ritrovata anche una lyra.

L’immagine del tuffo, invece, è da intendersi come la figurazione del passaggio fra la vita e la morte e lo specchio d’acqua rappresenta un’efficace metafora dell’aldilà, ignoto e misterioso traguardo della nostra esistenza.

Abbiamo chiuso gli occhi, cercando di immaginare questo passato così affascinante.

Domani, immersi nella natura incontaminata, vi porteremo presso Camerota, l’oasi del Bussento e le Cascate di Venere.

La Puglia meraviglia anche in inverno.

Nel nostro immaginario  associamo la Puglia al mare, sole, estate, buon cibo e vacanze, ma nel mese di dicembre si mostra sotto altra veste diventando simbolo del Natale romantico e legato alle tradizioni.

Che sia Monopoli, Polignano, Alberobello o Conversano, ci addentreremo nei vicoli del centro storico tra stradine strette e tortuose, dove sui muri delle case ci sono ancora i rami del bouganville e gelsomino in fiore e graziosi ciclamini rossi  fanno capolino dalle piccole finestre che come teche vengono illuminate ad intermittenza da mini lucciole colorate.

Ed è  proprio in questo labirinto di strade strette che gli abitanti addobbano con cura il Natale come se fossero corridoi di appartamenti. La sensazione è proprio questa, camminare non fuori casa, ma dentro casa e sentirne anche il calore e l’accoglienza.

Prima tappa Monopoli.

L’area portuale, di Monopoli, si accende, di un inedito spettacolo di luci e colori, quest’anno ispirata alla favola del Grinch, un folletto dispettoso che detesta l’atmosfera di gioia tipica delle feste natalizia. Cosi decide di sabotare la festa, rubando regali e decorazioni.

Ma non aveva previsto che lo Spirito del Natale regna sovrano nel paese e gli abitanti del villaggio da lui saccheggiato gli dimostrano che la festa non è legata solo alle cose materiali.

Cosi, le immagini proiettate sul porto, da sempre simbolo di apertura e scambio culturale, augurano la condivisione di sentimenti quali la fiducia e la speranza.

Continuando lungo la costa siamo giunti a Polignano a Mare: chi non conosce le sue terrazze a picco sul mare e il ponte che scavalca Lama Monachile col suo meraviglioso panorama?

Immaginateli a Natale!

Le decorazioni, qui, hanno come filo conduttore il mare.

Parlando di Natale, non può mancare Alberobello la capitale dei Trulli e Patrimonio Unesco, dove  le luci di Natale sono proiettate sui coni dei trulli sottoforma di multicolor e poliedrici simboli e decorazioni.
Non mancano addobbi per le strade, la pista di ghiaccio e le installazioni luminoseper il Presepe di Luce.

Infine Bari ed il  Teatro Margherita, un meraviglioso edificio stile liberty, su palafitte,  davvero maestoso e scenografico.

Fa da cornice a barchette in legno colorate ormeggiate nel piccolo porticciolo, dove è possibile, di giorno, trovare i pescatori stravaganti che vendono il pescato del giorno, N’derr’a la lanze”, che tradotto significa “ai piedi delle barche”,  

Ci addentriamo così nel centro storico, dove la presenza delle “signore delle sgagliozze”, prima che con la vista, si percepisce dall’odore di frittura che, quando cala il sole, inizia a prendere il posto di quello di ragù e di bucato.

Natale è un momento magico, ma con voi accanto è stato molto di più.

A voi, con tutto l’amore che ho.