Disneyland Paris.

Chi mi conosce lo sa, non amo particolarmente i parchi divertimento, complice anche i miei problemi di vertigine, comparsi in età adulta. Con il primo figlio ho evitato qualsiasi parco esistente ed intanto lui non faceva richieste, accontentandosi delle giostre durante la festa di paese.

Poi non so spiegarvi bene cosa sia successo, probabilmente mi sono fatta influenzare dagli articoli che spopolano su internet, dai racconti di amici e dalla insistenza delle mie figlie, fatto sta che ho organizzato una intera giornata a Disneyland Paris.

Più volte mi sono sentita dire che 24 ore a Disneyland Paris non sono abbastanza. Ora che ci sono stata mi è chiaro il perché. In un giorno solo, ho avuto la sensazione di non aver fatto nulla, seppur abbiamo cercato di sfruttare al massimo l’intera giornata, dall’apertura all’ultimo minuto prima della chiusura, in compagnia del nostro un nuovo amico, Stitch.

Per fortuna siamo partite informate su questo mondo a sé. Avevamo scaricato un’app, fatto una scrematura delle attrazioni da vedere e creato, sempre con l’applicazione, il nostro percorso. Potevamo conoscere, in tempo reale, la fila esistente per ciascuna attrazione ed effettuare cambi di rotta sul momento.

Nonostante questo ci sono stati 20/30 minuti di fila per alcune attrazioni che non è tantissimo dato che eravamo in marzo.

Considerate che poi ci sono le file anche per mangiare, file per andare in bagno e file per fare le foto con i personaggi Disney. Noi, in verità, avevamo preparato le nostre buonissime baguettes, al mattino, su Rue Montorgueil e con i croissant della pasticceria Storner eravamo prontissime.

Ma attenzione, qualcosa è piaciuto anche a me: le attrazioni di Disneyland Paris sono davvero ben fatte, c’è una grande cura del particolare e le scenografia sono davvero suggestive. Gli abiti ed il trucco dei personaggi sono meravigliosi. Ragion per cui salverei: 1. La parata. 2. Il Musical del Re Leone 3. Lo spettacolo finale di luci.

Dire che a che gli adulti possono vivere un sogno e tornare bambini per un giorno è una visione romantica e idealista che non coincide con la realtà. Almeno la mia.

Ammetto di non essere riuscita a lasciarmi andare alla magia di Disneyland Paris.
Comunque voglio tranquillizzarvi, non ho coinvolto le bambine nel mio giudizio, per loro é stata pura magia.

Per me è stato bello vedere la magia nei loro occhi ❤️.

Alle mie bimbe: sappiate che il mio è stato un grande atto di generosità.

Montmartre

Nel nostro viaggio a Parigi abbiamo dedicato il 4° giorno a Montmatre, in un bel itinerario a piedi. Montmartre è effervescente e dinamica, riesce a trasmettere allegria ed entusiasmo, coi suoi colori variopinti e l’atmosfera bohémienne. Ci siamo perse ad assaporare la magia di ogni angolo, tra vicoletti e piazzette artistiche, in uno dei quartieri più affascinanti di Parigi.

Con la metro siamo arrivate in Place des Abbesses, dove abbiamo acquistato alcuni souvenir molto carini. La zona è ricca di Café giovanili e vivaci che si alternano a negozi di moda.

Erano solo le 10 del mattino e non vi era nessuno davanti al cancello verde che custodisce, nascosto dalla vegetazione, il “Muro dei Ti amo”. Baron, l’artista che lo realizzò, chiese ai suoi vicini di scrivergli la romantica parola nella loro lingua. Arrivò a raccogliere fino a 311 “Ti amo” in lingue e dialetti da tutto il mondo. C’era anche il nostro “Ti amo”.

Lasciata Place des Abesses, abbiamo imboccato Rue Lepic. La notevole ripidità di questa strada non lasciava dubbi, stavamo percorrendo la famosa collina di Montmartre. Intravediamo il Moulin de la Galette, un vecchio mulino che sembra dipinto. In realtà si tratta di due mulini che, ad inizio ‘800, la famiglia Debray utilizzava per produrre la farina o pressare il raccolto.

Diventa famoso quando, nel 1834, la figlia Debray, decise di aprire una taverna vicino ai mulini che presto si trasforma in sala da ballo frequentata da numerosi artisti.

A poca distanza dal Moulin de la Galette, si incontra un’insolita scultura, “Le passe-mureille”. Si tratta di Monsieur Dutilleul, l’eroe del celebre romanzo di Marcel Aymé. Una sera, l’uomo scoprì di avere il fantastico potere di attraversare i muri. Dopo averlo sfruttato per diventare ricco e trovare l’amore, perse il potere e rimase incastrato nel muro di Rue Norvins, proprio dove si trova oggi.

Proseguiamo verso il Sacro Cuore e il café Consulat cattura gli occhi e il cuore. È uno degli edifici più antichi della collina di Montmartre. Con il suo particolare fascino, ci trasporta negli anni ’30, quando vi potevi ascoltare la voce magnetica di Edith Piaf o quando avevi l’occasione di assistere alle conversazioni animate di artisti come Picasso, Van Gogh e Monet.

Numerosi oggetti in ceramica colorata adornano le mura di un vicoletto in cui si trova la pittoresca “Gallerie d’Art”, dove ho acquistato la mia piastrella da collezione.

Dalla galleria si intravede uno degli scorci più famosi del quartiere: la celebre Maison Rose. È un luogo iconico a Montmartre, un bistrot rosa dalle persiane verdi.

Non si conosce l’anno esatto della sua costruzione, ma sembra che sia lì da prima del 1850. Al tempo, era solo una casa modesta tra le tante del villaggio. Nel 1905, fu acquistata dalla moglie del pittore Ramon Pichot e modella di Pablo Picasso, nonché sua ex amante. Secondo la leggenda, durante un soggiorno in Catalogna, la donna, affascinata dai colori pastello di queste case, ebbe l’idea di dipingere di rosa la sua casetta di Montmarte. Molto attenta all’ambiente, ai prodotti di stagione, la cucina della Maison Rose di oggi si ispira alle ricette della campagna francese, così come un tempo.

Da questo luogo ci troviamo davvero vicini alla Basilica del Sacro Cuore!

La basilica bianca, imponente, maestosa è uno dei simboli non solo del quartiere ma dell’intera città francese.

La costruzione della Basilica non è molto antica, i lavori infatti iniziarono nel 1875.  Non vi è uno stile ben definito nella sua architettura, ma certamente salta agli occhi il travertino bianco. A differenza di quello che si potrebbe immaginare, l’interno è abbastanza spoglio, ad eccezione del mosaico di Cristo che abbraccia i fedeli, molto grande posto dietro l’altare, e dei due organi.

Dopo aver visitato l’interno della Basilica del Sacro Cuore, ci siamo affacciati alla terrazza, restando incantati dallo splendido panorama su tutta Parigi.

Avete notato una casa al contrario che spunta dal prato verdeggiante davanti alla Basilica? No? Nemmeno noi! Infatti dopo aver fatto una ricerca sul campo, abbiamo scoperto che trattasi di illusione ottica, inclinando il telefono durante lo scatto la casa risulterà inclinata.

La più artistica, la più amata, la più viva piazza di Montmartre è Place du Tertre. È qui che a fine ‘800, gli artisti iniziarono a vivere non solo per l’atmosfera che si respirava sulla collina, ma anche per gli affitti più bassi rispetto a Parigi

Una piazzetta frequentata da musicisti, pittori e caricaturisti che eseguono ritratti. E’ sempre piena di vita e ciò la rende molto affascinante. Restiamo attratti dal suono della fisarmonica di un artista che intonava canzoni francesi e dal suo gatto nero, che si districava sullo strumento musicale, ipnotizzato.

A montmatre, il tempo sembra essersi fermato al periodo della Belle Èpoque.

Quasi un piccolo mondo a sé che, anche se negli anni è diventato un cliché assediato da masse di turisti e ha perso molta della sua autenticità, conserva ancora il fascino del suo periodo aureo: rifugio di poeti maledetti e artisti di strada, misterioso, eccletico ed affascinante.

La magia dei passages de Paris!

La loro storia inizia tra la fine del XIX e il primo trentennio del XX secolo. A quei tempi Parigi era ancora una città dall’urbanistica spontanea e confusa, stradine di ogni tipo si intersecavano tra loro, sfociando a volte in piccole piazze, a volte finevano dritte sugli argini della Senna. Nessuna pavimentazione, polvere e fango dappertutto. I locali al piano terra erano adibiti a stalle per cavalli o a depositi, non curati e maleodoranti.
Così a qualcuno venne in mente di coprire la stradina di propria pertinenza con leggere strutture metalliche e lastre di vetro all’altezza dei tetti, per far passare la luce del giorno e per bloccare la pioggia. Et voilà il passage era fatto. In quella strada ora si poteva passeggiare anche in giornate di pioggia e vento, senza il rischio di bagnarsi e di infangarsi le scarpe ed in breve nacquero botteghe, negozi, cafés e piccoli bistrots.

Il successo fu travolgente e presto la moda dei passages coperti si diffuse in tutto il centro cittadino. A favorire l’operazione fu soprattutto la rivoluzione urbanistica sotto Napoleone III che stravolse completamente l’assetto della città. Demolite le costruzioni fatiscenti, risanate le zone centrali, preservate soltanto strade e case di una certa fattura, i passages acquistarono una loro specifica fisionomia, diventando luoghi di ritrovo ricercati ed eleganti. Al massimo del loro splendore, a Parigi se ne contavano circa 150, con negozi che offrivano mercanzie di vario tipo, come le preziose stoffe indiane importate, le ricercate porcellane e cristallerie delle migliori manifatture d’Europa.

Entrare in uno dei passages couverts di Parigi equivale a fermare il tempo, lontano dal clamore della città, in un’atmosfera dal sapore nostalgico.

Vi raccontiamo alcuni dei passage che abbiamo incontrato.

Passage du Grand Cerf. Un passage un po’ diverso, forse meno luccicante o fiabesco rispetto ad altri, ma ugualmente bello. La prima cosa che vi colpirà sarà l’altezza del soffitto vetrato, da cui la luce naturale scende copiosa ad inondare la galleria. Fino al 1825 al suo posto sorgeva il terminal delle diligenze, un’efficace rete di trasporto passeggeri e merci in attività fin dai tempi del re Sole, e la “maison du roulage du Grand Cerf”. Demolito il terminal, si cominciò a costruire la galleria che confermò il nome della maison. Le insegne sono tutte molto originali. Ci sono negozi di antiquariato e modernariato, un orafo che crea deliziosi gioielli, lampade sciccose e gomitoli di lana declinati in mille colori, tessuti ed incensi.

Passage Jouffroy. Risale ai tempi di Luigi-Filippo, si caratterizza per le numerose insegne e decorazioni d’epoca. E’ il primo passaggio parigino interamente costruito in metallo e vetro, che lascia al legno solo gli elementi decorativi. Protagoniste sono le antiche botteghe di francobolli e monete, le decorazioni d’epoca e le insegne eclettiche.

Passage des Panoramas. Questo passaggio coperto è uno dei più antichi di Parigi e d’Europa, edificato nel 1799. Venne chiamato così perché all’interno si potevano ammirare delle pitture a 360 gradi dipinte sui muri, denominate i “panorama”.

Ogni bottega è unica nel suo genere, da “Maison Gilbert”, il negozio di giocattoli orgogliosamente fondato nel 1848, alle librerie storiche che espongono con fierezza le prime edizioni degli autori più celebri della letteratura francese.

Ma la bottega che più mi ha colpita è “La maison du Roy”, chiamata anche “la boutique preferita di Maria Antonietta”: gioielli lussuosi, arredi eccentrici e creazioni pompose affollano questa particolare boutique.

All’interno del Passage Jouffroy si trova anche un luogo inedito, l’Hotel Chopin (tipicamente parigino) e il museo delle cere, Musee Grevin.

Nei Passage il silenzio avvolge tutto e tutti, così rallentiamo il passo e godiamo di questo rallentatore. Si ha l’impressione di essere in una sorta di giardino d’inverno, protetti dal freddo e dall’incessante fermento che agita Parigi.

Ogni passage ha una sua anima.

Entrate senza fretta.

Matera e dintorni

Ci sono stata decine di volte, eppure la sua bellezza non stanca mai. Matera è meraviglia pura, una bellezza unica al mondo.

Per capire meglio la storia di Matera ed emozionarvi vi consiglio di farvi accompagnare da una persona del posto. La nostra guida è stata Giusi, una donna che ama profondamente la sua terra.

La storia ci narra che i  Sassi, fino agli anni ’50, sono stati il simbolo del degrado sociale, un cratere in cui uomini e donne vivevano all’interno di grotte insieme agli animalI, in una situazione di totale assenza di salubrità. Carlo Levi fu tra i primi ad accendere i riflettori sulla città e a scuotere le coscienze.

Con la sua celebre opera, “Cristo si è fermato ad Eboli”, denunciò le condizioni in cui viveva la popolazione materana e diede inizio ad un inaspettato e incredibile processo di rivalutazione.

Nel maggio 1952 venne promulgata la Legge per lo sfollamento dei Sassi, che prevedeva la costruzione di nuovi quartieri popolari, distanti dal centro storico, dove gli abitanti furono costretti a trasferirsi. Nel 1993 iniziò con vigore il riscatto sociale ed architettonico della città, riscattando l’immagine c ad essere una delle mete turistiche più apprezzate nel Mondo.

I Sassi di Matera sono un insediamento rupestre abitato sin dal paleolitico, che rappresenta un esempio emblematico di abitazione concepita in perfetta armonia con il paesaggio. Originariamente gli uomini utilizzarono le grotte naturali e successivamente impararono a trasformarle in base alle proprie esigenze, sino ad arrivare a creare dei veri e propri vicinati.

La piazza su cui si affacciavano queste case, scavate nella collina, su più livelli, era il luogo della condisione della cura dei bambini e degli anziani, il luogo in cui si mettevano in comune le conoscenze e le abilità.La casa aveva una camera multifunzione, adibita allo stesso tempo a luogo di soggiorno, cucina, camera da letto mentre sul fondo spesso vi era spazio per il magazzino e gli animali. Il livello di igiene era davvero scarso e le conduttore di scarico erano a cielo aperto.

Nel nostro tour lungo il sasso Barisano, ci siamo fermati alla Chiesa rupestre di sant’Antonio Abate, dove siamo stati accolti da Eustachio, un signore ottantenne, con il cuore e la mente carichi di un passato che non vuole dimenticare. Ha suonato per noi la Cupa Cupa, strumento musicale che suona da più di 60 anni, intonando una canzone legata alla tradizionale uccisone del maiale. Seppur per pochi attimi queste canzoni aiutavano a nascondere i problemi legati alle dure condizioni di vita.

Ed era festa per tutti.

A pochi km da Matera siamo riusciti ad ammirare un gioello, nascosto in una grotta: La Cripta del Peccato Originale.

Il nome è dovuto al ciclo di affreschi dipinti tra l’VIII e il IX secolo che culminano con episodi della creazione. Incredibilmente vivida è l’immagine di Eva generata dalla costola di Adamo.

Gli affreschi sono caratterizzati da un prato di fiori rossi eleganti e raffinati, i cisti, fiori tipici dell’altopiano murgiano che hanno dato al luogo un secondo nome: la Cripta del Pittore dei Fiori di Matera.

Non ci siamo lasciati scappare l’occasione di visitare Craco, il paese fantasma della Basilicata, così suggestivo da togliere il fiato. Silenzio, strade vuote, nuvole che si muovono all’orizzonte e qualche asinello solitario fanno da cornice alle case aggrappate alla collina.

Craco è stata costruita in un territorio fragile, formato da rocce argillose dove l’acqua ha scavato nel tempo grandi fessure. Nel 1963 una frana e pochi anni dopo, un terremoto, portarono gli abitanti ad abbandonare il paese.

Nel 2011 il comune di Craco ha istituito un piano di recupero del borgo vecchio. Infatti accompagnati da una guida è possibile visitare, in sicurezza, la città che, con i suoi resti, ha ancora tanto da raccontare.

Craco si trova a ridosso di un’area selvaggia caratterizzata da alte montagne di argilla, alcune sono più grandi altre più piccole, circondate da una scarsa vegetazione di arbusti e cespugli. È un posto quasi surreale, silenzioso, avvolto da un’atmosfera di immensa tranquillità: sono i Calanchi.

La nostra giornata è terminata con una brevissima sosta a Pisticci e il suo belvedere, in cui si stagliano,  in netto contrasto con le case bianche a valle,  gli archi del rione Terravecchia.

Le case a valle, tutte bianche con i tetti rossi, sono esempio unico nel suo genere di architettura spontanea contadina. In una notte dell’inverno del 1688, una incredibile nevicata provocò una frana che fece sprofondare due interi quartieri di Pisticci.

Al rifiuto degli abitanti di abbandonare i luoghi del disastro si decise che sul terreno della frana si sarebbero ricostruite le nuove abitazioni.

Nel popolo lucano è radicato un forte legame con la sua terra. Legame che abbiamo trovato a Matera con il suo riscatto collettivo, a Craco e Pisticci nella scelta di non abbandonare la terra, seppur fragile.

Questo legame trova la sua espressione anche nella cucina. Non a caso i piatti più rappresentativi della Basilicata nascono da ricette figlie della cultura contadina.

Ogni lembo di questa terra ha un passato da raccontare. Un passato a volte difficile che raccoglie in sé la forza del riscatto, della consapevolezza, dell’amore.

Per te 😍

La Costiera

Nel nostro primo tour del 2023 ci siamo ritrovati a percorrere la strada panoramica più frastagliata al mondo, ricavata alla fine del XIX secolo nella roccia viva, piena di tornanti, curve strette e virgole di strada, una vera insidia per chi come me soffre di vertigini, perchè fa salire un’ansia indicibile :’).

Prima tappa una piccola cittadina, un vero scrigno che nonostante le sue dimensioni ridotte, riesce a catturare l’attenzione, si tratta di Maiori. Impossibile non innamorarsi.

Maiori si divide tra una zona bassa, con la spiaggia più lunga della costiera (di origine vulcanica) ed una parte più alta, situata su una rocca in cui si trova uno dei simboli della città, la Collegiata di Santa Maria al Mare, nata a difesa della città dall’assalto dei Longobardi. Di qui abbiamo intrapreso il Sentiero dei Limoni, un’antica strada che congiunge Maiori e Minori. Una strada che sa di passato, immersa in uno scenario intriso di poesia, con portoncine che lasciano intravedere interni di intimità familiare. Una passeggiata che riserva davvero scorci particolari.

Un altro luogo importante di Maiori è la Torre Normanna: un poderoso bastione difensivo che proteggeva la cittadina dagli attacchi dal mare soprattutto dei pirati saraceni, attualmente trasformata in un ristorante. Attraverso una scalinata è possibile raggiungere la caletta sottostante. Vi consiglio di scendere al tramonto 😊.

Il giorno dopo ci siamo diretti a Ravello, un piccolo ed elegante borgo fatto di vicoli stretti, botteghe di artigianato e ceramiche, tanti scalini e case piene di fiori e decori. Un labirinto che regala affacci stupendi sulle colline e sul golfo.

Dalla Piazza principale si accede a Villa Rufolo, la dimora di una potentissima famiglia della Ravello medievale, che costruì una dimora all’altezza del proprio rango sociale e politico. La Villa, mix di architettura e decorazioni arabe, bizantine e locali, cadde poi in rovina e venne acquistata da un britannico, il lord scozzese Sir Francis Nevile Reid, che ristrutturò la villa e trasformò le terrazze nel parco che oggi ammiriamo.

Il giardino regala un meraviglioso belvedere che si affaccia sul Golfo, di una bellezza stupefacente, immagine simbolo della Costiera stessa.

L’altra tappa immancabile a Ravello è villa Cimbrone, meno centrale della prima, che si raggiunge percorrendo gli stretti vicoli, tra tanti gattini che girano liberi per queste viuzze. In realtà si tratta di un hotel, ma il grande parco è accessibile a tutti a pagamento. Lo abbiamo trovato stupendo.
Il nome villa Cimbrone deriva dal Cimbronium, che era la denominazione del promontorio roccioso su cui sorgevano i resti di una villa romana, trasformata poi in casale. Villa Cimbrone era infatti un ampio podere, da cui si ricavava legname per uso navale. I terreni erano molto ambiti per la posizione e per il fatto di poter contare su ampie zone pianeggianti e coltivabili, rarità in un territorio molto scosceso.

Nel tempo la villa finì in uno stato di abbandono, ma fu riscoperta alla fine dell’’800 da un colto viaggiatore inglese, Ernest William Beckett (Lord Grimthorpe), giunto a Ravello su consiglio di amici per curare la depressione causata dalla perdita della moglie. Ernest si innamorò del luogo e lo acquistò per farlo diventare un gioiello.

Subito dopo l’entrata, il Viale dell’Immenso conduce alla Terrazza dell’Infinito, dove lo sguardo si perde davvero nell’infinito del mare e del cielo. Inutile dire che anche da qui il panorama è stupendo.

Nei giardini di Villa Cimbrone c’è molto altro da vedere: bellissimo è il chiostro in stile normanno-arabo-siculo e la Tea Room, un giardinetto all’italiana.

Quando avevo accennato all’idea della costiera come viaggio, tutti mi avevano sollevato il problema dei parcheggi, ma il 2 gennaio quale problema avremmo mai potuto incontrare? Ebbene sì! Ad Amalfi si può impazzire per un posto auto anche a Gennaio.

La visita ad Amalfi parte dal Duomo o Chiesa di San Andrea, il gioiello della città. Fu costruita nel 987 in stile romanico con tre navate e una stupenda facciata in stile neo-moresco con influenze gotiche.

Subito dopo abbiamo iniziato a gironzolare per le viuzze, perché il bello di un posto come questo è proprio questo: attorno alla strada principale, si snoda un intreccio di stradine e piazzette, che rendono Amalfi molto suggestiva.

Mangiare il sorbetto al limone ad Amalfi è una tappa obbligatoria.

Nel nostro viaggio di ritorno abbiamo fatto tappa a Cetara e Vietri sul Mare. La spiaggia di Marina di Cetara è certamente la più conosciuta: le caratteristiche casette che la circondano, come in un abbraccio, e il porto dei pescatori, fanno da cornice ad una delle immagini più iconiche del paese. Una sorta di cartolina d’altri tempi. La città nasce nell’Alto Medioevo e diviene nel tempo un importante punto di attracco per i commerci.

Nonostante gli assalti e i saccheggi, la città seppe resistere, costruendo la Torre Vicereale e conservando nel tempo tradizioni marinare che ancora oggi ne sono la forza portante, sia in campo economico che turistico.

La Torre Vicereale di Cetara si affaccia sulla marina e si trova al termine del lungomare, si staglia tra il blu del mare e l’azzurro del cielo, è uno dei maggiori simboli di Cetara, un tempo una delle 400 torri d’avvistamento e di difesa.

A Cetara esiste, inoltre, un museo a cielo aperto, sono ben 34 le panchine d’autore, realizzate dai maestri ceramisti locali. Raffigurano scene di vita popolare, dalla pesca delle alici alla coltivazione dei limoni, con un tocco di moderno. Sono sparse per tutto il paese ed è impossibile non notarle!

A Vietri sul Mare abbiamo percorso una lunghissima gradinata, per salire al paese. Per fortuna le mie bimbe sono avvezze a questi percorsi un po’ tortuosi.

Quello che rende unica Vietri è la ceramica. Ceramiche ovunque: dalle fioriere dei balconi, alle facciate esterne dei negozi, dai marciapiedi alle fontane pubbliche.

Un tripudio di colori che regala alla città un aspetto allegro e vivace.

Girovagando tra le viuzze, in via Scialli, abbiamo ritrovato le tracce di una Ruota dei Trovatelli, datata XIX secolo. Si tratta di uno sportello girevole dove potevano essere abbandonati i neonati in modo anonimo e al tempo stesso sicuro per il nascituro.

Così dopo tanto tempo ci siamo ritrovati in un viaggio tutti insieme 🙂

Siete mai stati in questi luoghi?

Nel Blu profondo del Golfo di Taranto.

Scrivo in differita di giorni questa pagina. Avrei bisogno di altro tempo per fermare il tempo, ma le mie due bambine sono un acceleratore continuo, oltre al lavoro, in questo periodo.

Vi raccontiamo una domenica insolita a Taranto, alla ricerca dei delfini liberi in mare.

Abbiamo mollato gli ormeggi e, con l’associazione JDC Jonian Dolphin Conservation, ci siamo diretti nel blu profondo del Golfo di Taranto. L’associazione svolge attività essenzialmente di ricerca, condotta su esseri viventi liberi e selvaggi, nel loro habitat naturale ed in maniera assolutamente non invasiva. Non aspettatevi di nuotare con loro o di toccarli, ma vi assicuro che osservarli nel loro ambiente vi trasmetterà un’emozione che rimarrà impressa per sempre.

Siamo salpati dal molo S. Eligio, navigando nelle tranquille acque del Mar Grande e, mentre i ragazzi ci spiegavano le loro attività, siamo arrivati in mare aperto. La costa non si vedeva più. Le biologhe con i loro binocoli aguzzavano la vista alla ricerca di una pinna. Eravamo ormai rassegnate a non vederli, ma all’improvviso una di loro indicava la rotta al comandante. Aveva visto un balzo!

Il cuore ha accelerato e istintivamente siamo scattate tutti in piedi eccitati, ma le biologhe ci hanno raccomandato voce bassa e pochi rumori per non spaventarli.

Ciò che è accaduto subito dopo è difficile da descrivere.

Non saprei dire quanto tempo abbiamo trascorso a guardarli, incantati, ma quando è giunto il momento di tornare indietro, ci è sembrato davvero troppo presto. Si era fatto tardi ed eravamo troppo lontani dalla costa.

Merita anche di essere raccontato, però, il viaggio di rientro.

A circa due miglia della costa, siamo stati sorpresi da una improvvisa e violenta tromba d’aria che ha messo in serie difficoltà tutto l’equipaggio. Io e mia madre, abbiamo abbracciato le bambine con il telo da mare, cercando di riparlarle dalla pioggia battente, ma sentivamo le gambe martellate dalla grandine. Indescrivibile. Lo staff, prontamente, ci ha fornito i giubbini salvataggio. Eravamo terrorizzati.

Ma fortunatamente è andato tutto per il meglio.

Solamente quando siamo arrivati in porto ed è tornata la connessione internet abbiamo compreso la portata della tromba d’aria attraverso i social. Qualcuno sulla terra ferma ha avuto una crisi di panico, qualcuno piangeva ancora.

Ma dopo dieci minuti eravamo li a parlare della meraviglia della natura e dello spettacolo visto nel blu profondo e tra una chiacchera ed un’altra eravamo già asciutte. Era già lontano il ricordo di quella strana tempesta.

Il fiume Tara ci stava aspettando.

Secondo la leggenda, circa 2000 anni prima della nascita di Cristo, il giovane Taras sarebbe giunto presso il corso d’acqua, che da lui stesso avrebbe preso il nome. Sempre secondo la leggenda, Taras avrebbe edificato una città prima di scomparire nelle acque del fiume e di essere assunto fra gli eroi dal padre Poseidone.

La leggenda collega Taras anche ai delfini. Si racconta infatti che, mentre il giovane si trovava sulle rive italiche dello Ionio, sia apparso improvvisamente un delfino, segno che interpretò di buon auspicio e di incoraggiamento per fondare una città.

Alle acque del Tara la popolazione attribuisce da sempre virtù terapeutiche, considerandole rimedio efficacissimo contro i reumatismi o persino malattie ben più gravi. All’origine di questa frequentazione del fiume vi è una antica leggenda secondo la quale un contadino portò un vecchio asino malato a morire lungo le sue sponde, ma ripassando dopo qualche mese rivide l’animale risanato proprio dalle acque del fiume.

Ancora oggi il 1 settembre di ogni anno si vedono gruppi di persone devote alla Madonna del Tara, immergersi all’alba recitando il rosario tutti insieme per ringraziare Dio della buona salute concessa e propiziarsi un futuro senza malattie.

Dal 1950 le acque del fiume Tara sono utilizzate per l’irrigazione dei campi, per la raccolta dei giunchi che crescono in abbondanza lungo le sue sponde e, dagli abitanti di Massafra, per intrecciare cesti e sporte.

Anche Taranto, ormai, è entrata in punta di piedi nel nostro cuore 🙂

Quando soffia il maestrale

Capita spesso durante l’estate che il maestrale soffi forte e diventa difficile stare in spiaggia, così si siamo allontanate dalla costa e ci siamo rifugiate nella Valle D’Itria, stregate dalle infinite distese di ulivi spesso delimitate da muretti a secco, dalle verdi campagne avvolte dal silenzio e dai trulli che sorgono qua e là.

Prima tappa Alberobello, il villaggio costituito da abitazioni in pietra a secco, senza malta, con i tetti dalle silhouette coniche e fiabeschi. Difatti ai Trulli si associano, ancora oggi, significati esoterici e mistici.

Basti guardare i differenti simbolo che sono disegnati sulle “chiancanelle” del trullo: alcuni sono magici e propiziatori, altri sono simboli pagani o cristiani, altri ancora sono legati all’astrologia.

Annoverato tra i borgo più belli d’Italia, Locorotondo è una delle famose città bianche insieme ad Ostuni, Cisternino e Martina Franca.

L’etimologia del nome richiama proprio la struttura urbana del borgo, su pianta circolare ad anelli concentrici sulla quale si snodano le bianche e strette stradine: locus rotundus.

L’essenza di Locorotondo si racchiude in tre elementi; il bianco, i fiori e le cummerse.

Il bianco è ovunque e viene ravvivato dal colori sgargianti dei fiori. L’intero centro storico, infatti, è un’esplosione di fiori, accompagnati da cartelli numerati che indicano i partecipanti al concorso dei balconi in fiore.

La caratteristica di Locorotondo sono i tetti spioventi, qui chiamati “cummerse”, inconsueti per le nostre parti e che ricordano le abitazioni del nord Europa.

Le cummerse nascevano come residenze ed avere un tetto spiovente era utile per la raccolta delle acque piovane, fortemente utili in un territorio di natura carsica.

Al tramonto ci siamo immerse nella suggestiva atmosfera del vigneto Sirose, con i suoi terrazzamenti che abbracciano il borgo di Locorotondo. Nella “sporta”: pomodorini, bruschette e olio d’oliva e abbiamo cenato nella zona a noi riservata.

La vista sulla valle D’Itria è pazzesca e tutt’intorno rose dai vari colori, dal rosa più pallido al rosso più acceso.

La Puglia è veramente uno stato d’animo e basta poco per essere felici.

@WEAREINPUGLIA