Calabria da amare: San Nicola Arcella, Praia a mare, Maratea.

In Calabria ci sono tanti piccoli e deliziosi paesi che meritano di essere visitati, proprio come le gemme che si inseriscono con eleganza nella suggestiva Riviera dei Cevri. Il tempo a disposizione non è stato molto, ma ci ha ugualmente permesso di scoprire parte di questo territorio, tra panorami mozzafiato, acque cristalline e un’atmosfera tranquilla.

Abbiamo iniziato la giornata a San Nicola Arcella con la visita alla spiaggia dell’Arco Magno. Ci sono diversi modi per raggiungerla e alcune regole da rispettare: dal 2023 è stato stabilito un biglietto d’ingresso e un tempo massimo di permanenza, individuato in 20 minuti. Questa misura è stata adottata per preservare il luogo, evitando il sovraffollamento durante la stagione estiva.

La prima modalità per arrivare all’arco si snoda attraverso un percorso a piedi, di poco più di 10 minuti. Si parte con una ripida scalinata, scolpita nella roccia, per ammirare la bellissima baia di San Nicola Arcella e il mare dalle mille sfumature di blu.  In lontananza, spicca la torre Crawford e, sul promontorio, si erge il maestoso palazzo dei Principi Lanza.

Arrivati in cima, è imprescindibile fermarsi per ammirare il panorama che abbraccia il Golfo di Policastro, con l’isola Dino che si staglia maestosa di fronte. Si prosegue avvolti dalla macchia mediterranea sino a quando Inaspettatamente la costa si apre con un grande arco roccioso e il mare si stringe creando una baia, dal colore intenso.

L’acqua è limpidissima e in alcuni tratti veramente fredda, per la presenza di una sorgente di acqua dolce nella grotta situata a pochi passi dalla riva. Restiamo per un po’ distesi sulla spiaggia, a godere della tranquillità che questo posto riesce a trasmettere.

E’ arrivato il momento di visitare questo luogo anche da un’altra prospettiva, così prenotiamo una gita in barca. Da qui in avanti la costa di San Nicola si presenta particolarissima per un intervallarsi di rocce a strapiombo e acque che vanno dal blu al turchese.

La barca si avvicina all’arco, sin dove è consentito. Anche dal mare la sua bellezza non cambia.

Riprendiamo la rotta verso l’isola di Dino, la più grande delle due isole calabresi, conosciuta per le sue coste rocciose formatesi per stratificazioni laviche ma soprattutto per la “Grotta Azzurra. La particolarità della grotta nelle ore diurne è il suo colore azzurro acceso che si riflette su tutte le rocce all’interno, regalando uno spettacolo incredibile. La sosta per il bagno non poteva mancare. Il giro prosegue costeggiando il “frontone” dell’isola, per arrivare a far visita al santuario della “Madonna dei pescatori” sul lato nordest, posta qui a protezione dei pescatori e di chi va in mare. Di qui in avanti la costa si alza maestosa con pareti a strapiombo color arancio che si riflettono nel blu indaco dell’acqua. L’isola costituisce una sorta di protezione della costa, cingendola, con un mare calmo dalle correnti esterne.

Verso la metá degli anni ’80 l’isola venne venduta a Gianni Agnelli, oggi sull’isola vengono organizzate escursioni di trekking.

L’antico paese di San Nicola Arcella appare in alto, nascosto dietro il costone di roccia, protetto dai nemici che arrivavano dal mare. Ci avvicianiamo all’antica “Torre Crowford” primo avamposto di difesa e costruita per l’avvistamento dei Saraceni, divenuta nel 1800 dimora estiva dello scrittore Francis Marion Crowford, colui che ha ideato il genere horror.

Prossima tappa di questa giornata il Cristo Redentore di Maratea. La strada che da Sapri porta a Maratea si snoda come un anaconda. Non sono alla guida, ma non riesco comunque a godermi lo spettacolo che mi dona il mare, a causa dei miei problemi di vertigine.

Nonostante ci sia sulla cima un parcheggio, decidiamo di lasciare la macchina lungo la strada, percorrendo un tratto del cammino di San Biagio, il santo che dà il nome al monte. La leggenda vuole che nel 732 d.C. una nave, che trasportava le reliquie di San Biagio fu costretta ad attraccare nell’isolotto di Santojanni a causa di una tempesta. Una volta passata la burrasca, non ci fu modo però di riprendere il largo e i devoti elaborarono il fatto come un segnale di dover custodire proprio in quel luogo i resti del santo.

Ci limitiamo alle ultime tappe ma è ugualmente suggestivo, con panorami incantevoli, sospesi nell’aria.

Nella fase finale della salita percorriamo i ruderi della città antica medioevale, distrutta, dopo un lungo assedio, dall’esercito napoleonico nel 1806. Il borgo si avvale del nome “castello”, per le fortificazioni, torri e bastioni da cui era caratterizzato, mentre la Maratea che conosciamo si avvale del nome di “borgo”.

Continuiamo l’ascesa e così d’improvviso, ad un’altitudine di 620 metri, appare imponente con il suo abbraccio la Statua del Cristo Redentore, di un bianco accecante,in netto contrasto con l’azzurro del cielo e del mare.

La storia della statua è legata al Conte Stefano Rivetti di Val Cervo, venuto da Biella nel 1953, e all’artista fiorentino Bruno Innocenti. Si tratta di un’opera di cemento armato rivestito da un impasto di cemento bianco e marmo di Carrara, alta 21 metri. Tali dimensioni la rendono, nel genere, la più grande d’Europa.

Il Cristo non rivolto verso il mare ma verso l’interno, in un interminabile abbraccio alla Lucania.

Pentedattilo: alla ricerca della felicità.

Capita di scoprire con gli anni che la felicità non è qualcosa che si trova, che non ha niente di dovuto, che è a tutti gli effetti qualcosa che si crea. E’ un concetto semplice che tendiamo a dimenticare perchè non siamo “allenati” a gestirla, a maneggiarla e a contenerla.

Vi raccontiamo il nostro viaggio in Calabria, tre giorni in cui siamo stati travolti da un’immensa fortuna, abbiamo conosciuto i custodi di un tempo, quello lento che governa le giornate, le conversazioni ed elogia la semplicità.

Tutto parte da un video-documentario sulla storia di Rossella, unica abitante di un paese, Pentedattilo, sconosciuto persino ad alcuni calabresi. Inizia la mia ricerca sul borgo, che si trova a pochi km da Reggio Calabria. Ad avvolgerlo un’imponente montagna rocciosa a forma di cinque dita, da cui deriva il suo nome. Le case sono perfettamente incastonate tra le rocce e custodiscono la memoria del borgo e le leggende che vi ruotano attorno.

Per secoli teatro di violente lotte feudali e devastanti terremoti, questo piccolo centro negli anni Settanta fu dichiarato inagibile e i suoi abitanti si trasferirono poco più a valle. Da allora è un “borgo fantasma”, raggiungibile a piedi da una stretta stradina di pietra che si snoda lungo il costone di roccia, tra pale di fichi d’India e cespugli di macchia mediterranea. 

Chi arriva qui, fa una passeggiata veloce, scatta due foto, compra una calamita e poi va via. Ma c’è molto di più, basta semplicemente stare in silenzio e questo vi parlerà.

Entrando nel borgo si incontra subito la bottega artigiana di Giorgio e di sua moglie e mentre ci perdiamo nel loro mondo colorato Giorgio ci racconta storie, leggende del paese ma anche della sua vita, dei suoi ruoli come attore.

A Pentedattilo non ci sono ristoranti, trattorie o cose simili, ma esistono luoghi genuini che profumano e sussurrano.

Abbiamo finalmente incontrato Rossella, e siamo stati suoi ospiti su una terrazza affacciata nel blu. Quello che è successo nelle due ore successive, per noi è stato semplicemente un privilegio: pranzare all’aperto, con una coppia di Cuneo (lei originaria di Reggio Calabria), gustare prodotti genuini, tutto in ascolto delle storie di ognuno, in totale condivisione.

E poi Rossella, la custode più preziosa di Pentedattilo. La sua storia è una di quelle storie raccontate nei documentari, perchè quando negli anni ’80 Rossella ha deciso di lasciare Viterbo e trasferirsi in Calabria, in questo borgo sperduto e disabitato, poteva sembrare davvero da pazzi. Per lei no, per Rossella tutto è avvenuto in modo naturale. E da allora non l’ha più lasciato, restituendo al borgo di Pentedattilo un’anima. Lo ha fatto lei, lo ha fatto chi ha aperto le botteghe artigiane, chi ha iniziato a fare ospitalità diffusa.

Ci racconta che all’inizio erano in tre nel paese e le campagne erano rigogliose e incontaminate. Ogni mattina camminava costeggiando le fiumare in cerca di erbe officinali. Le abbondanti piogge invernali e primaverili consentivano di irrigare i campi e abbeverare gli animali anche d’estate. Si addormentava cullata dal canto della fiumara, mentre l’acqua scorreva incessante. Ma in questi ultimi due anni il territorio si sta desertificando e nella stagione secca il piccolo orto di Rossella va avanti a fatica, pur garantendole la sussistenza.

Dopo il pranzo abbiamo raggiunto Maka, un ragazzo maliano che aiuta Rossella nel lavoro dei campi e nell’accudimento delle sue venti capre. La luce del tramonto è divenuta irresistibile, come tutto il paesaggio circostante.

Rossella nella sua scelta di vita ha trovato la propria “capacità” di creare felicità ed essere stati suoi ospiti è stato veramente un dono, che non dimenticheremo.