Roma antica, 2°giorno

Il nostro appartamento si trovava nel quartiere Rione Monti, una posizione davvero strategica e molto tranquilla, a pochi passi dal Colosseo, che con la sua imponente struttura e l’aurea mitica si staglia limpido all’orizzonte.

Abbiamo acquistato i biglietti attraverso una piattaforma specializzata, poiché comprarli direttamente dal sito del parco è stata un impresa pressoché impossibile, anche settimane prima della partenza.

Il Colosseo, originariamente conosciuto come Anfiteatro Flavio, è un monumento iconico di Roma, costruito nel I secolo d.C., durante il governo degli imperatori della dinastia Flavia e poteva ospitare fino a 80.000 spettatori. Era utilizzato per una varietà di eventi pubblici, tra cui giochi gladiatori, battaglie navali simulate, cacce di animali selvatici e rappresentazioni teatrali.

La mattina era dedicata alle “venationes”, ossia la battaglia e la caccia di animali selvatici. Conclusa la caccia, e rimosse le carcasse, l’anfiteatro era pronto per le esecuzioni, gare di atletica e spettacoli comici. Al tramonto arrivava il momento più atteso della giornata, quello dei combattimenti tra gladiatori, che si sfidavano fino alla morte o alla resa di uno dei due.

Fa strano pensare che in questa arena gladiatori e prigionieri si affrontavano in combattimenti all’ultimo sangue per dare spettacolo all’imperatore.

Usciti dal Colosseo siamo entrati nell’area dei Fori Imperiali, un vero labirinto tra resti dei fori costruiti da Cesare, Augusto, Nerva e Traiano.

Fu il brillante intelletto di Cesare a partorire la geniale idea di erigere il primo sito e nel 46 a.C. iniziarono i lavori.

Nel Medioevo i fori subirono un lento ma inesorabile processo di demolizione e molte perle del complesso archeologico sparirono, per lasciare posto ai primitivi complessi urbani di case popolari e edifici religiosi. Per fortuna negli anni 30, prese il via il progetto finalizzato a restituire al mondo questo splendido museo a cielo aperto.

Dopo un piccolo spuntino ci siamo avviati al Pantheon. Costruito nel 27 a.C. da Agrippa e riedificato da Adriano (110-125). Inizialmente era luogo di culto pagano, per divenire poi una chiesa cristiana e mausoleo di uomini illustri (i re d’Italia Vittorio Emanuele II e Umberto I).

La cupola del Pantheon è un vero gioiello di tecnologia che ha retto a 2000 anni di terremoti. Venne costruita seguendo una tecnica d’avanguardia che usava materiali sempre più leggeri mentre ci si spostava verso l’alto. Al culmine c’è una grande apertura detta oculus’, l’occhio dal quale penetra l’unica fonte di luce che ha consentito gli studi di astronomia. Si dice che nel Pantheon non piova mai. In realtà l’apertura crea un “effetto camino” cioè una corrente d’aria ascensionale che porta alla frantumazione delle gocce d’acqua. Così, anche quando la pioggia fuori è battente, la sensazione è che all’interno piova meno. Centralmente, sul pavimento, ci sono poi fori di drenaggio, che impediscono il formarsi di pozzanghere.

Proseguiamo verso la bellissima fontana di Trevi e ci fermiamo per le foto, non dimenticando di effettuare il rituale lancio della monetina. La Fontana di Trevi è un capolavoro barocco di marmo bianco che contrasta con il turchese dell’acqua della vasca. Raffigura il dio marino Oceano su un carro trainato da cavalli guidati da tritoni. E’ una delle location più amate e conosciute di Roma, sempre particolarmente affollata.

Dalla Fontana di Trevi raggiungiamo Piazza di Spagna, la scalinata brulica di gente.

Prima di partire ho l’abitudine di stilare una lista di luoghi particolari da vedere e nell’elenco avevo inserito l’ospedale delle bambole, in via Roma.


Avevo letto che trattasi un’officina storica che produce e ripara bambole, dal 1939. Avevamo immaginato un luogo di pura poesia, con tantissimi occhi di bambole di tutti i colori, ma anche braccia e gambe, i cosidetti pezzi di ricambio. Immaginate la nostra delusione nel vedere un restauratore poco incline, in quel momento, a spiegare perchè non ci fosse un reparto ospedaliero di bambole.

Ma non è stata questa la nostra meta finale.

Eravamo desiderosi di visitare la Basilica di San Pietro. Ed eccoci, dopo quasi 30 minuti a piedi, immersi nella omonima piazza, come piccole formichine. Attorno a noi i due colonnati semicircolari che conducono verso la Basilica posta al centro. La coda per entrare nella Basilica era abbastanza scorrevole e mancava veramente poco alla chiusura dei tornelli.

Superati i dovuti controlli, abbiamo varcato questo scrigno, dove sono conservate opere d’arte dal valore impareggiabile come la Pietà di Michelangelo, la Cupola di Michelangelo e, lungo la navata centrale, il Baldacchino di Bernini. La Basilica di San Pietro è incantevole, immensa e affascinante allo stesso tempo.

Termina così il diario di viaggio del nostro secondo giorno in Roma. Stanchi, affamati e con tanta voglia di riposare, decidiamo di risparmiare le ultime forze, cenando a casa dopo aver acquistato tutto il necessario presso il mercato Rione Monti.

La mia app “contapassi”, a fine serata segnava 14 km, 22.421 passi.

Nel cuore di Roma.

Come ogni anno ci siamo regalati alcuni giorni da vivere insieme e vi assicuro che non è semplice quando qualcuno vive all’estero e magari preferisce tornare a casa per riposare. Ma credo che poi tutto venga ricompensato dal viaggio sentimentale che viviamo.

Abbiamo deciso di tornare a Roma dopo quasi 15 anni, con occhi diversi per noi adulti, con una luce tutta nuova per Nicole e Giada che non sono mai state nella città eterea.

Siamo arrivati comodamente con il treno, ore 13 del 26 dicembre, alla Stazione Termini e abbiamo raggiunto l’appartamento dove il nostro premuroso host Alessandro ci stava attendendo. Abbiamo sistemato i bagagli e ci siamo diretti, senza esitare, verso Trastevere.

Ogni città ha al suo interno un vero e proprio scrigno, basta allontanarsi dalle solite rotte turistiche e perdersi tra i vicoli.

Con largo anticipo abbiamo prenotato una visita in uno dei luoghi più segreti e nascosti della città: la farmacia più antica, la spezieria di Santa Maria della Scala.

Eravamo in anticipo e nell’attesa siamo entrati nella Chiesa omonima che si trova accanto. Costruita nel periodo 1593-1610 per ospitare l’icona della Madonna della Scala che, nella tradizione, avrebbe miracolosamente guarito un bambino deforme dopo le preghiere della madre. L’edificio ospitava anche un’opera di Caravaggio, Morte della Vergine. Ma poiché il Caravaggio fu sospettato di aver utilizzato, come modella, una prostituta annegata nel Tevere, l’opera fu confinata altrove e sostituita da un’altra con titolo omonimo.

La farmacia si trova al primo piano del convento dei Carmelitani Scalzi, accanto alla Chiesa. Già mentre salivamo ci sentivamo avvolti da un’atmosfera magica. Dietro una porta maestosa si celava un passato fatto di composti-medicinali, un antico microscopio, vasi, bilance, erbe, mortai, un antico erbario e stampi per ricette. Ascoltavamo il frate, affascinati e avvolti dalle sue parole e da quella atmosfera di un lontano tempo passato.

La farmacia nacque nella prima metà del Seicento a cura dei Carmelitani, che, studiosi di chimica e ricercatori scientifici, si occupavano della coltivazione di piante e medicinali necessari alla loro salute e a quella di principi, cardinali e Papi. A fine Seicento, la Spezieria venne messa a disposizione di tutti, per curare il paese afflitto dalla peste.

I frati furono celebri inventori di due rimedi: l’acqua pestilenziale, ritenuta efficace contro la trasmissione e contagio della peste, e l’acqua di melissa, definita come calmante per disturbi isterici. I segreti di questi preparati, e non solo, sono custoditi in un rarissimo e preziosissimo erbario.

Il primo ambiente in cui si entra è la stanza delle vendite. Qui si resta incantati dagli alti scaffali lignei e, soprattutto, da un grande vaso, quello della teriarca, un farmaco composto di 57 sostanze diverse fra cui carne di vipera femmina non gravida, considerata un infallibile antidoto contro i veleni.

Nella sala a fianco, ci sono ancora le scatole in legno di sandalo, che custodivano le sostanze per la produzione dei medicamenti. Sulle ante degli armadi sono dipinti alcuni medici famosi dell’antichità tra cui Ippocrate, Galeno e Avicenna, Mitridate e Andromaco.

Segue un piccolo laboratorio dove venivano preparati i distillati medicamentosi e liquori ed una piccola stanzetta in cui si ritrova ancora una pilloliera che trasformava gli impasti in pillole. La spezieria della Scala è inattiva dal 1954, ma fino ad allora ha distribuito medicinali a prezzi moderati tenendo aperto al pubblico un ambulatorio gratuito. Oggi resta l‘alchimia del passato a guidare il visitatore, insieme ai suoi segreti.

Altra tappa fondamentale se sei a Trastevere è una passeggiata al giardino botanico, che nel periodo natalizio ti regala un ambiente fiabesco, tra installazioni luminose, giochi di luce e proiezioni.

Il percorso si snoda lungo un sentiero facilmente percorribile, dove le installazioni catturano gli sguardi dei bimbi e degli adulti, tutti con il naso all’insù alla ricerca di elementi fantastici. Ed è così che Giada vede delle fatine scendere lungo i raggi di luce proiettati nella Foresta di Bamboo.

Si prosegue tra origami che si colorano a suon di musica in un gioco di luce e controluce e l’installazione Carillon di Luci, interattiva, giocosa e divertente.

Trastevere è uno dei quartieri storici di Roma, portatore e custode dell’anima di una grande città. Camminare fra quei palazzi storici, alzare gli occhi al cielo e visitare almeno qualcuna delle numerose chiese è una tappa obbligatoria se si visita la capitale.

Un’atmosfera a volte intima, a volte frettolosa.

Per cena siamo rimasti in zona, in una trattoria, degustando un’ottima selezione di carni, in un’atmosfera  calda e familiare.

A conclusione del pasto un tiramisù con tanto di candelina da spegnere. Auguri Mamma! Credo che sarà un compleanno da ricordare.

Massafra terra magica.

Massafra è un gioiello incastonato nella natura, rappresentata qui in modo prorompente da suggestive gravine, che custodiscono antiche storie e preziosi habitat naturali. Questa gravina antropizzata già dal Neolitico, racchiude al suo interno un ambiente naturalistico ricco di grotte, aromi e mistero. Si contano ben 200 nuclei abitativi.

Il nostro trekking è iniziato con una vista mozzafiato sulla Gravina e sul santuario della Madonna Della Scala, che con i 125 gradini consente l’accesso sul fianco orientale della Gravina di Massafra. Il santuario è incastonato nella roccia ed è intitolato alla santa protettrice della città dal 1776. La storia del santuario trae origine dalla leggenda del “miracolo delle cerve” secondo cui, intorno al Trecento, due cerve braccate dai cacciatori s’inginocchiarono nel punto in cui vi era un affresco bizantino della Vergine. In memoria dell’evento, nel luogo del miracolo fu eretta una piccola cappella. L’affresco è ancora oggi il cuore del santuario.

Accanto alla chiesa c’è una cripta, al cui interno sono conservati un affresco del XIII secolo con la Madonna della Buona Nuova ed una bellissima S. Caterina d’Alessandria, riconoscibile dalla corona di regina e dalla ruota dentata del martirio.


Attraverso una porticina accanto alla chiesa e superando un ipnotico corridoio nella roccia, ci siamo ritrovati immersi in una lussureggiante vegetazione, nota come Valle delle Rose.

Lungo il percorso abbiamo visitato le grotte utilizzate come abitazioni, articolate in due o tre vani destinati a camera da letto, soggiorno e cucina, arredate da nicchie sulle pareti per gli oggetti e l’illuminazione, da pozzetti per lo stivaggio dei cereali e dei legumi, dalla cisterna esterna per la raccolta dell’acqua.

Vi sono anche altre cavità destinate agli animali domestici, alla vinificazione, alla spremitura delle olive e alla panificazione. L’espansione urbanistica del villaggio è avvenuta dal basso verso l’alto e in alcuni punti si scorgono i diversi livelli sovrapposti di abitazioni, collegati da scale e cenge aeree.

La magia ha sempre suscitato un certo fascino sull’essere umano. Egli la teme, ma allo stesso tempo ne è attirato. Vi è mai capitato di imbattervi in quello che viene chiamato “affascino”? O nella tagliatrice di Vermi? Sono racconti della tradizione popolare che un pò tutti abbiamo ascoltato. Chissà se qualcuno di voi è anche testimone di queste antiche pratiche. Potrebbe essere argomento di un prossimo racconto.

Massafra, per esempio, si è costruita una fama su questa tradizione popolare, non a caso viene chiamata la “terra dei masciari”.

Legata a questa credenza è la figura di un alchimista, che intorno all’anno 1000 viveva con la figlia nella Gravina delle Rose, dedicando le proprie giornate al trattamento di piante officinali per ricavarne unguenti curativi, attività che aveva portato la gente di Massafra a pensare che praticassero la stregoneria. Parliamo del mago Greguro e di Margheritella.

La giovane raccoglieva le erbe durante la notte, alimentando ancor di più le maldicenze. Si racconta che la fanciulla fosse anche molto bella e che tutti gli uomini del paese la corteggiavano, sedotti da filtri e sortilegi. Venne processata e messa al rogo, per fortuna venne salvata.

L’ingresso della farmacia è una voragine nella roccia verticale e si accede all’interno tramite due scale a pioli. Suggerisco di armarsi di coraggio e salire. Io mi sono inerpicata sulle scale, nonostante le vertigini. Ormai ci sto facendo l’abitudine.

La salita viene subito ripagata da uno scenario emozionante.

La farmacia è suddivisa in diversi ambienti comunicanti tra loro: il primo è composto da spaziose camere mentre il secondo è più piccolo e si accede attraverso un cunicolo basso e stretto.

Intagliato nella roccia una sorta di scaffale con piccole nicchie, in cui è facile riconoscervi la tradizionale colombaia per l’allevamento dei piccioni. Ma trovo più intrigante interpretarla come la gigantesca scaffalatura della farmacia nella quale il mago e sua figlia riponevano le erbe medicinali.

In una terra magica non poteva mancare anche la scoperta di un locale in cui mangiare del buon cibo e la foto che segue racconta tutto.

A casa ci siamo portate nuove bellissime amicizie e la consapovolezza che la sinergia esiste laddove si condivide la qualità del tempo. E così ci siamo promessi un trekking insieme, ma al momento non vi svelo nulla.

Rosanna

Quel ramo del lago di Como.

Il lago di Como con i suoi panorami, i monti che si tuffano nel lago, le ville eleganti, i piccoli borghi storici, ha incantato e incanta ancora artisti e scrittori, da Flaubert a Mary Shelley e a Verdi.

Ci vorrebbe un intera settimana per esplorarlo tutto, ma in questo articolo troverete solo dei consigli per trascorrere una giornata al lago, alla scoperta di un piccolo e pittoresco borgo, lungo la strada tra Como e Bellaggio, che reputo imperdibile: Nesso.

Si presenta come un borgo quasi nascosto, appoggiato sulla riva del lago. La gente del posto lo chiama Ness ed ospita una suggestiva gola chiamata Orrido di Nesso”.

L’Orrido di Nesso è una stretta e profonda gola naturale, modellata nei secoli dallo scorrere incessante dell’acqua. All’inizio della gola si trova una bellissima e spumeggiante cascata creata dalle acque dei fiumi Tuf e Nosée. Dalla sua cima fino alla base, la cascata crea un bellissimo salto d’acqua con un dislivello di 200 metri.

Prima di scendere verso il lago, in Piazza Castello, troverete un belvedere che vi regalerà una splendida vista dall’alto sull’orrido, sull’antico ponte e sul Lago di Como.

La vista più bella si ha però dall’antico Ponte della Civera, di origine romana. Per raggiungerlo dovete lasciare l’auto lungo la strada e scendere a piedi attraverso l’antica gradinata (oltre 340 gradini) che arriva direttamente al lago, dove dolcemente si inabissa. Prendetevi qualche minuto, sedetevi sui gradini e osservate il lago godendovi il silenzio di quel luogo cullati dal suono dell’acqua.

Passando sotto un piccolo portico in pietra si raggiunge il ponte dal quale si apre una panoramica sulla gola. Il panorama è mozzafiato, è qui che i torrenti Tuf e Nosè si uniscono e formano una cascata che precipita nella suggestiva gola.

E’ tempo di risalire la scalinata e perdersi per quei vicoli stretti che caratterizzano Nesso. Ma con molta calma, ricordate che ci sono 340 scalini.

Il borgo di Nesso è attraversato dall’antica Strada Regia, un sistema di sentieri e di mulattiere un tempo utilizzati da pastori e abitanti per spostarsi tra i borghi posti alle pendici del Triangolo Lariano. Oggi questa antica strada è diventata un percorso pedonale e ciclabile, lungo più di 30 chilometri.

Risaliti in macchina, costeggiamo il lago sino a giungere a Bellaggio. La sua posizione, sulla punta del lago da cui si dividono i due rami, quello di Lecco e quello di Como, ne ha disegnato la storia.

Quello che ho più amato del centro storico è la sua rete di vicoletti che si arrampicano a gradoni su per il promontorio, fra passaggi e portici. Sono pieni di negozietti, pizzerie e ristoranti. Ora la maggior parte delle attività è chiusa, la vita turistica riprende a marzo e il borgo è in stand by. Questo non ha tolto nulla alla nostra visita.

La passeggiata sul lungolago è rigenerante.

Nel 1700 il turismo ci ha regalato splendide ville immerse in parchi da favola, dove l’aristocrazia lombarda trascorreva le sue vacanze. Queste antiche ville, con i loro bellissimi parchi sono chiuse purtroppo. E’ lo scotto da pagare quando si viaggia in bassa stagione.

Abbiamo, allora, deciso di solcare le acque del lago di Como e di raggiungere velocemente una delle tante celebri destinazioni che si affacciano sul Lario: Menaggio. Una bellisssima cittadina, non troppo affollata, con un bel centro storico direttamente appoggiato sulla sponda del lago.

Il centro storico è veramente piccolo e concentrato in una manciata di vie intorno a piazza Garibaldi. Vale però la pena vedere tutto ciò che lo circonda, partendo dal lungolago.

Sarà che l’immagine romanzata del lago di Como è impressa nei miei ricordi di studentessa e che la descrizione di Manzoni: “Quel ramo del lago di Como” riecheggia spesso che tornare qui è sempre magico, anche solo per una giornata.

La gravina di Ginosa

Situata a pochi chilometri dal confine con la Basilicata, Ginosa è un borgo di particolare bellezza, che sin ad oggi non avevamo preso in considerazione.

Si tratta di un borgo incantato, sospeso nel tempo, dal fascino antico e magico. Con le sue “case-grotta” e le chiese rupestri scavate nella roccia – risalenti a migliaia di anni fa – rappresenta uno degli spettacoli naturali italiani più sorprendenti, insieme alla “sua gemella” Matera.

La guida ci attendeva in Piazza dell’Orologio, un edificio del XIX secolo che ha sostituito il Palazzo del Sedile, sede del Comune, del carcere e dell’ufficio delle tasse. I palazzi che si ammirano ancora oggi, sono costruzioni maestose, eleganti ed armoniose, arricchite da archi, statue e fregi. Nel 1819 le famiglie nobili che abitavano la Piazza furono autorizzate a demolire il Sedile, a causa dei lamenti, delle imprecazioni del reo e degli schiamazzi del popolo che si diffondevano a tutte le ore, determinando una situazione snervante, degradante e malsana, ed a costruire a loro spese la piramide per collocarvi il nuovo edificio.

Il cuore della visita a Ginosa è la sua gravina, che si estende per circa 10 km tutt’intorno al centro storico, come un ferro di cavallo. La gravina è un canyon scavato dall’acqua sulle cui pendici, per secoli, gli uomini hanno scavato case grotta e le hanno abitate. Nella Gravina di Ginosa troviamo ben due villaggi rupestri: Rivolta (il più antico, con resti presitorici) e Casale.

Fra i due rioni, su uno sperone di roccia, si erge il Palazzo Baronale che sembra per buona parte quasi sospeso nel vuoto. Fu costruito per esigenze difensive nell’XI secolo, poi in età rinascimentale è diventato un palazzo signorile, purtroppo non è visitabile.

Nel villaggio di Rivolta le grotte sono disposte su 5 livelli collegati tra loro: la fila di grotte sottostante ospita le cisterne, i cortili e gli orti delle grotte soprastanti, mentre i piani terrazzati sono divisi da muretti di pietre a secco e collegati da ripide stradine e scalinate. Le case-grotta sono visitabili e mostrano le tracce della vita che vi si trascorreva.

L’ingresso delle case è rivolto a Sud in modo da incamerare quanta più luce e calore durante l’inverno e si realizzavano con architettura di sottrazione: si scavava nella tenera calcarenite e si utilizzava il materiale ottenuto per creare gli ingressi e le porte.

Quando entri ti chiedi come fosse vivere qui tanti anni fa, con gli animali in fondo alla stanza ed il camino all’entrata. Non c’erano le fognature, ma tutto era ben organizzato e tutto veniva riutilizzato come concime per i campi.

Attraverso il tratturo ci siamo dirette prima alla chiesetta di Santa Sofia, protetta da una delicatissima cancellata. La Chiesa conserva sul fondo ancora l’altare, sormontato da un dipinto della Crocifissione, ed i sedili di pietra destinati ai fedeli. Ci siamo poi dirette, attraverso un ripido sentiero all’isolata chiesetta rupestre di Santa Barbara, non visitabile a causa delle sue precarie cindizioni, ma al cui interno sono ancora visibili zone affrescate.

Ovunque eravamo avvolte dal profumo di rucola, mentuccia e timo.

Il rione Casale è un altro villaggio rupestre che si incontra scendendo nella conca del torrente, malinconico, abbandonato, ma allo stesso tempo potente.
Qui le case-grotta si mescolano a case che uniscono una parte scavata nella grotta ad una costruita su un altro livello. Il villaggio porta i segni delle alluvioni avvenute nel 1857 e, recentemente, nel 2013 che hanno danneggiato le chiese rupestri dei Santi Medici e di San Domenico.

Giungiamo nel silenzio ai piedi della Chiesa Matrice, costruita in tufo locale. Si gode di un panorama incantato. Il signor Carmelo, nato 72 anni fa in una casa grotta, è il custode della Chiesa Matrice e ha aperto per noi le porte di un luogo che sembra sospeso nel tempo.

Ginosa è stata inaspettatamente suggestiva. Vanta un paesaggio tormentato e grandioso, di grande impatto visivo come a Matera, ma al momento meno manipolato dalle esigenze del turismo di massa. La consigliamo vivamente.

La nostra visita è terminata all’interno dell’info Point di @visitginosa, un’associazione turistica e culturale, nata con l’intento di promuovere il territorio, le eccellenze culinarie e artigianali. Organizzano molte esperienze e noi abbiamo già trovato alcune interessanti che di certo proveremo e vi racconteremo.

Non potevamo andar via da Ginosa senza cenare in un tipico ristorante: salumi e formaggi dal profumo inconfondibile, pasta con cicerchie e pancetta, agnello, zampini e “gnummerjìdd”. Per il dolce non c’era più spazio 🙂

Viaggio nel tempo, nel borgo delle grotticcelle

Grottole è un borgo a 30 km da Matera, sopravvissuto a terremoti e crolli.

Il nome evoca le “grotticelle”, locali ancora visibili lungo le pendici del paese ed utilizzati dagli artigiani per plasmare dall’argilla vasi e brocche.

Tante salite, tante discese. Su e giù per vicoli e stradine.
Ogni tanto uno spiazzo e uno sguardo giù nella vallata.

Una porta accanto all’altra.

Qui si conoscono proprio tutti. 
Straordinarie abitudini di vita ormai perse nella nostra corsa folle contro il tempo.

Simbolo di Grottole, la Chiesa Diruta, senza dubbio uno dei monumenti più spettacolari di questa magnifica regione.

Questa magnifica opera si presenta scoperta verso il cielo e le stelle, perché priva di cupola, fragile nella sua incompiutezza, ma nel contempo altera nella sua mole. Resta un gioiello ignoto.

Da alcuni punti del paese e scendendo lungo i suoi pendii è possibile ammirare tutt’intorno l’intera valle ed il lago di San Giuliano, un lago artificiale costruito alla fine degli anni ’50 con lo sbarramento del fiume Bradano, al fine di utilizzare le sue acque in agricoltura.

Il lago che si è venuto a formare è lungo circa 10 chilometri e presenta insenature suggestive
Il panorama è spettacolare: una lingua azzurra che si estende nella verde valle. 

Ci sono posti che non si dimenticano e dove il tempo scorre lento. 

Possono essere posti romantici e suggestivi, caotici e disordinati, solitari e silenziosi.

La Basilicata per me era una terra sconosciuta. Ma poi sono arrivati i racconti di una persona cara e ho scoperto uno di quelli che ora definisco luoghi del cuore.


Milano vista da Nicole.

Settimana scorsa sono stata a Milano, per uno stage al Kataklo Teatre Accademy. Ero impegnata dalle 9 del mattino alle 17, ma non volevo tornare a casa senza vedere qualcosa di Milano. Così mia madre ha organizzato minuziosamente le nostre giornate dividendole in due parti: la mattina dedicata a Giada e la serata dedicata a me, Giada e la nonna.

Per tale ragione non vi parlerò della Chiesa di S. Ambrogio, del Cenacolo di Leonardo da Vinci o del Museo della Scienza e della Tecnica, tutti sicuramente da vedere, ma di luoghi a misura di ragazzo/bambino, freschi e ombreggiati, perfetti per concedersi un momento di pace dal caldo che ha attanagliato e attanaglia ancora d’estate Milano.

Ho scoperto che Milano è una città in fermento costante che riesce a trasferire anche nei più piccoli questo suo entusiasmo per la cultura e la creatività.

Primo giorno.

Mentre io ero in Accademia, Giada e la nonna sono andate al Parco Avventura, a pochi minuti da Piazzale Corvetto. È una zona verde, con alberi alti dove, imbragati, si passa da una pianta all’altra grazie a piattaforme sospese, ponti tibetani, carrucole, corde e scale. Ci sono percorsi divisi per difficoltà che vengono indicati all’ingresso del parco. Per lei è stato puro divertimento, io posso solo raccontarlo attraverso le sue parole.

Il pomeriggio dopo le 17 ci siamo dirette in centro per cercare di entrare al Duomo o al Palazzo Reale, ma l’impresa è stata ardua poiché la biglietteria chiudeva alle 17.45. Per cui decidiamo di provare l’indomani con l’aiuto da casa: la mamma che acquista on line i biglietti salta fila.

Secondo giorno.

La nonna e Giada decidono di andare ai Giardini Idro Montanelli, uno dei polmoni verdi della città e come prima tappa scelgono di Museo Civico di Storia Naturale. Ci sono ben due piani tutti da scoprire: il piano terra è interamente dedicato agli animali preistorici, soprattutto i dinosauri; il secondo si trovano riproduzioni dei principali ambienti naturali della nostra Terra, dagli oceani agli ambienti tropicali, dalla savana ai poli. Non è un museo interattivo, ma un museo “vecchio stampo” con tanti modelli e tante didascalie attraverso cui scoprire dinosauri e animali.

Sempre all’interno dei Giardini Indro Montanelli, c’è il Planetario Hoepli di Milano, pronto a stupire con le osservazioni del cielo stellato e le spiegazioni dei fenomeni astronomici, fornite dalle guide. Giada era un fiume in piena per tutto ciò che ha imparato sul colore delle stelle e sulla loro temperatura.

La sera, invece, decidiamo di passeggiare in Piazza Duomo e andare al caffè Rabbit, un locale totalmente ispirato alle avventure di Alice: cappelli enormi appesi al soffitto con le teiere, tazzine in ceramica, fiori giganti, orologi e la grande scacchiera.
Sul bancone dei dolci una scritta a led rosa suona come un imperativo: «Follow your cake». Beh !!!!!! non è affatto semplice.

Terzo giorno

Giada e la nonna si dirigono al giardino botanico di Brera. E’ un giardino storico, un museo a cielo aperto dove si intersecano aspetti naturalistici, botanici, estetici e storici.

L’Orto Botanico di Brera, fu voluto dall’imperatrice Maria Teresa d’Austria ed in breve tempo divenne un luogo di studio e di scienza.

Ma perché non visitare anche il Museo di Brera, si è chiesta la nonna. Ed il passo è stato breve.

Io adoro i musei, camminare fra le loro sale immaginando di passeggiare dentro un libro, dove ogni scultura, ogni dipinto, racconta una storia. A Brera puoi scoprire che un museo non è solo un contenitore di opere ma anche un luogo in cui ci sono persone che si prendono cura delle opere, infatti esiste un’intera sala dedicata al restauro di quadri, a vista.

La sera avevamo finalmente i biglietti per la mostra di Leandro Erlich, al Palazzo Reale.

Oltre la Soglia è un’importante esposizione che raccoglie in un unico percorso 19 importanti opere dell’artista argentino. Le opere sfruttano oggetti della quotidianità, ma con alcuni dispositivi l’artista riesce a ribaltare le percezioni e la realtà.

In Oltre la Soglia si viene continuamente coinvolti e si diviene parte dell’opera. Leandro Erlich vuole infatti coinvolgere lo spettatore attraverso cambi di prospettiva, illusioni ottiche, manipolazione percettiva e scene inaspettate.

Alcune opere che ci sono piaciute sono:

Le Nuvole. All’interno di una teca sono contenute le nuvole. Speciali formazioni, ben illuminate e soffici così come siamo abituati a vederle in natura.

La stanza del porto. Le tre barche davanti a noi, vuote ed illuminate, sono quasi ferme e galleggiano sull’acqua, dondolando lievemente a causa delle onde. Ma siamo sicuri?? in realtà non c’è acqua.

Lost Garden. Qui è riprodotto un piccolo giardino decisamente particolare. Affacciandoti in una delle sue due finestre per sbirciare l’”esternoti troverai a comparire anche alle altre finestre che danno sul giardino.

 Infinite Staircase. In questa installazione ci siamo ritrovate davanti a una scala a chiocciola a grandezza naturale, che si sviluppa però in orizzontale. Si ha la sensazione di guardare verso il basso anziché verso un lato.

Classroom Si tratta di, una stanza semibuia divisa in due parti da un grande vetro, estremamente malinconica. La stanza a cui puoi accedere è estremamente spoglia, dotata solamente di alcuni sgabelli e tavoli che ti invitano a sederti. Girandoti sulla destra, oltre il vetro, potrai notare un’aula scolastica fatiscente, illuminata da una luce fioca. Ci siamo sedute nella prima sala, ma apparivamo  quasi come fantasmi all’interno dell’altra classe, che sembra essere ferma nel tempo.

Hair Salon Sulle porte ci sono gli orari di apertura del salone da parrucchiere e entrandovi ti troverai in una fedele ricostruzione di un salone, con tanto di spazzole, pettini, spruzzini e phon. Ogni postazione dispone di una sedia e di uno specchio, ma mentre gli specchi sui lati esterni riflettono le immagini delle persone, quelli centrali sono solo delle cornici. Sedendoti in queste postazioni non ti vedrai riflesso, ma dall’altra parte troverai una persona differente che ti guarderà in maniera disorientata.

Palazzo. L’opera più bella per noi. E’composta dalla facciata di un palazzo posizionata in orizzontale su cui si erge un enorme specchio posto obliquamente a 45° sugli spettatori. Lo specchio dà l’impressione che le leggi della gravità siano momentaneamente sospese.

Si tratta di un’opera d’arte interattiva, in cui il pubblico è invitato a salire sulla facciata e ad arrampicarsi, dando vita a una vera e propria performance.

Penso che nessuno venga a Milano senza vedere il Duomo. Cosi la nostra ultima sera siamo salite sulle guglie del Duomo per ammirare le sue sculture e per godere di una vista unica su Milano.

Grazie mamma, anche telefonicamente sei riuscita a guidarci in questa avventura e grazie nonna, ormai entrata a pieno diretto nel gruppo delle Rondinelle in Viaggio.

PARIGI

Vi racconterò di un viaggio voluto e chiesto più volte dalle mie bimbe, di una città che incanta continuamente e di me. Probabilmente aspettavo solo la motivazione giusta per ritornare in un luogo che più di 20 anni fa aveva già rapito gli occhi ed il cuore.                                                                                                               Cercheremo di indicare le tappe di questo nostro breve tour, lasciando alcuni approfondimenti in altri articoli, di cui si sente già il gorgoglio.                                  Parigi è sempre una scoperta, non smette mai di stupire con le sue luci notturne, con l’eleganza dei suoi monumenti, i piccoli bistrot e il profumo delle baguettes appena sfornate.

Abbiamo scelto di immergerci nel mood parigino, soggiornando in Rue Saint Denis, vicino a Rue Montorgueil, la via dedicata agli amanti del cibo. Abbiamo iniziato a tracciare il nostro percorso conoscitivo dalla pasticceria Stohrer, una vera e propria istituzione francese. 

La riconosci dal colore blu scuro delle vetrine, dalle quali si vedono in bella mostra file di Tarte Tatin, Tarte Tropezienne, Torta Saint Honore, Macarons, Éclair, Croissant, Tarte au citron. L’elenco dei dolci francesi potrebbe andare avanti ancora, ma pochi sanno che anche il babà al rum è nato in Francia e l’ideatore lavorava proprio dietro il bancone di questa pasticceria. Si tratta di Nicolas Stohrer, pasticcere presso la corte di Luigi XV, che nel 1730 lascia Versailles per fondare la sua pasticceria, la Maison Stohrer, al 51 di rue Montorgueil.  Un tripudio di colori, sapori e odori che ricorderete anche dopo la vacanza.                               

Siamo a pochi passi da Place René-Cassin, nel cuore del quartiere delle Halles, per ammirare la Chiesa di Saint-Eustache, una delle più antiche e affascinanti di Parigi con il suo aspetto imponente e superbo, splendido esempio di architettura gotica che vanta un passato illustre. Al suo interno venne battezzato Richelieu, sepolto Voltaire e qui Mozart fece celebrare la messa funebre per sua madre. Dinanzi alla Chiesa è posizionata l’Ecoute, un’enorme testa di pietra appoggiata su una gigantesca mano.                           Un’originale scultura che invita all’ascolto.

Raggiungiamo sempre a piedi la Senna.

Le bancarelle verde scuro posizionate lungo il fiume fanno parte della storia e dell’identità parigina, tanto da essere diventate patrimonio dell’UNESCO. Sono circa 250 le bouquinistes di Parigi che espongono quotidianamente un’enorme quantità di pezzi rari e introvabili che richiamano l’interesse di appassionati e collezionisti.

L’origine dei bouquinistes risale al 1607 ed è legata al Pont Neuf.
Fu su questo ponte che i primi mercanti ambulanti di libri si stabilirono per vendere libri giornali, spesso sovversivi e spesso vietati dal Concilio di Trento.

Al di là del fiume, in un angolo silenzioso dove godersi la città, sorge la famosa libreria di Shakespeare che affonda le proprie radici nel 1919.                                                                                       La prima libreria, luogo d’incontro di grandi scrittori dell’epoca come James Joyce ed Ernest Hemingway, chiuse i battenti nel 1941 a causa dell’occupazione tedesca di Parigi. Diaci anni dopo l’americano George Withman, riapre la libreria nel luogo dove si trova attualmente, cercando di non snaturarla dall’idea originaria.

Per scoprire il cuore di una città bisogna tuffarsi nei mercati di quartiere ed i parigini sono particolarmente legati a questa eredità, tanto che non è raro camminando imbattersi in uno di questi. Siamo nel cuore della Ile de la Cité, a 2 passi da Notre-Dame de Paris e stiamo parlando del  Marchè aux fleur: un’esplosione di rose, orchidee, gigli, tulipani, bulbi, gabbie per uccelli e articoli in legno, raccolti con cura in piccoli stand, in attesa di essere collezionati.

Il nostro primo giorno a Parigi, rigorosamente a piedi, termina al grattacielo di Montparnasse.

Con i suoi 56 piani e 299 metri di altezza, questa torre offre la vista più bella di Parigi, ma anche la più suggestiva. Esternamente l’edificio è un classico grattacielo, ma al 56° piano si accede alla terrazza panoramica, che regala una vista mozzafiato su tutta la città. Credo che la vista da qua su sia più bella anche rispetto alla torre Eiffel.

Parigi è molto di più di quello che ricordavo ❤️.

Disneyland Paris.

Chi mi conosce lo sa, non amo particolarmente i parchi divertimento, complice anche i miei problemi di vertigine, comparsi in età adulta. Con il primo figlio ho evitato qualsiasi parco esistente ed intanto lui non faceva richieste, accontentandosi delle giostre durante la festa di paese.

Poi non so spiegarvi bene cosa sia successo, probabilmente mi sono fatta influenzare dagli articoli che spopolano su internet, dai racconti di amici e dalla insistenza delle mie figlie, fatto sta che ho organizzato una intera giornata a Disneyland Paris.

Più volte mi sono sentita dire che 24 ore a Disneyland Paris non sono abbastanza. Ora che ci sono stata mi è chiaro il perché. In un giorno solo, ho avuto la sensazione di non aver fatto nulla, seppur abbiamo cercato di sfruttare al massimo l’intera giornata, dall’apertura all’ultimo minuto prima della chiusura, in compagnia del nostro un nuovo amico, Stitch.

Per fortuna siamo partite informate su questo mondo a sé. Avevamo scaricato un’app, fatto una scrematura delle attrazioni da vedere e creato, sempre con l’applicazione, il nostro percorso. Potevamo conoscere, in tempo reale, la fila esistente per ciascuna attrazione ed effettuare cambi di rotta sul momento.

Nonostante questo ci sono stati 20/30 minuti di fila per alcune attrazioni che non è tantissimo dato che eravamo in marzo.

Considerate che poi ci sono le file anche per mangiare, file per andare in bagno e file per fare le foto con i personaggi Disney. Noi, in verità, avevamo preparato le nostre buonissime baguettes, al mattino, su Rue Montorgueil e con i croissant della pasticceria Storner eravamo prontissime.

Ma attenzione, qualcosa è piaciuto anche a me: le attrazioni di Disneyland Paris sono davvero ben fatte, c’è una grande cura del particolare e le scenografia sono davvero suggestive. Gli abiti ed il trucco dei personaggi sono meravigliosi. Ragion per cui salverei: 1. La parata. 2. Il Musical del Re Leone 3. Lo spettacolo finale di luci.

Dire che a che gli adulti possono vivere un sogno e tornare bambini per un giorno è una visione romantica e idealista che non coincide con la realtà. Almeno la mia.

Ammetto di non essere riuscita a lasciarmi andare alla magia di Disneyland Paris.
Comunque voglio tranquillizzarvi, non ho coinvolto le bambine nel mio giudizio, per loro é stata pura magia.

Per me è stato bello vedere la magia nei loro occhi ❤️.

Alle mie bimbe: sappiate che il mio è stato un grande atto di generosità.

Montmartre

Nel nostro viaggio a Parigi abbiamo dedicato il 4° giorno a Montmatre, in un bel itinerario a piedi. Montmartre è effervescente e dinamica, riesce a trasmettere allegria ed entusiasmo, coi suoi colori variopinti e l’atmosfera bohémienne. Ci siamo perse ad assaporare la magia di ogni angolo, tra vicoletti e piazzette artistiche, in uno dei quartieri più affascinanti di Parigi.

Con la metro siamo arrivate in Place des Abbesses, dove abbiamo acquistato alcuni souvenir molto carini. La zona è ricca di Café giovanili e vivaci che si alternano a negozi di moda.

Erano solo le 10 del mattino e non vi era nessuno davanti al cancello verde che custodisce, nascosto dalla vegetazione, il “Muro dei Ti amo”. Baron, l’artista che lo realizzò, chiese ai suoi vicini di scrivergli la romantica parola nella loro lingua. Arrivò a raccogliere fino a 311 “Ti amo” in lingue e dialetti da tutto il mondo. C’era anche il nostro “Ti amo”.

Lasciata Place des Abesses, abbiamo imboccato Rue Lepic. La notevole ripidità di questa strada non lasciava dubbi, stavamo percorrendo la famosa collina di Montmartre. Intravediamo il Moulin de la Galette, un vecchio mulino che sembra dipinto. In realtà si tratta di due mulini che, ad inizio ‘800, la famiglia Debray utilizzava per produrre la farina o pressare il raccolto.

Diventa famoso quando, nel 1834, la figlia Debray, decise di aprire una taverna vicino ai mulini che presto si trasforma in sala da ballo frequentata da numerosi artisti.

A poca distanza dal Moulin de la Galette, si incontra un’insolita scultura, “Le passe-mureille”. Si tratta di Monsieur Dutilleul, l’eroe del celebre romanzo di Marcel Aymé. Una sera, l’uomo scoprì di avere il fantastico potere di attraversare i muri. Dopo averlo sfruttato per diventare ricco e trovare l’amore, perse il potere e rimase incastrato nel muro di Rue Norvins, proprio dove si trova oggi.

Proseguiamo verso il Sacro Cuore e il café Consulat cattura gli occhi e il cuore. È uno degli edifici più antichi della collina di Montmartre. Con il suo particolare fascino, ci trasporta negli anni ’30, quando vi potevi ascoltare la voce magnetica di Edith Piaf o quando avevi l’occasione di assistere alle conversazioni animate di artisti come Picasso, Van Gogh e Monet.

Numerosi oggetti in ceramica colorata adornano le mura di un vicoletto in cui si trova la pittoresca “Gallerie d’Art”, dove ho acquistato la mia piastrella da collezione.

Dalla galleria si intravede uno degli scorci più famosi del quartiere: la celebre Maison Rose. È un luogo iconico a Montmartre, un bistrot rosa dalle persiane verdi.

Non si conosce l’anno esatto della sua costruzione, ma sembra che sia lì da prima del 1850. Al tempo, era solo una casa modesta tra le tante del villaggio. Nel 1905, fu acquistata dalla moglie del pittore Ramon Pichot e modella di Pablo Picasso, nonché sua ex amante. Secondo la leggenda, durante un soggiorno in Catalogna, la donna, affascinata dai colori pastello di queste case, ebbe l’idea di dipingere di rosa la sua casetta di Montmarte. Molto attenta all’ambiente, ai prodotti di stagione, la cucina della Maison Rose di oggi si ispira alle ricette della campagna francese, così come un tempo.

Da questo luogo ci troviamo davvero vicini alla Basilica del Sacro Cuore!

La basilica bianca, imponente, maestosa è uno dei simboli non solo del quartiere ma dell’intera città francese.

La costruzione della Basilica non è molto antica, i lavori infatti iniziarono nel 1875.  Non vi è uno stile ben definito nella sua architettura, ma certamente salta agli occhi il travertino bianco. A differenza di quello che si potrebbe immaginare, l’interno è abbastanza spoglio, ad eccezione del mosaico di Cristo che abbraccia i fedeli, molto grande posto dietro l’altare, e dei due organi.

Dopo aver visitato l’interno della Basilica del Sacro Cuore, ci siamo affacciati alla terrazza, restando incantati dallo splendido panorama su tutta Parigi.

Avete notato una casa al contrario che spunta dal prato verdeggiante davanti alla Basilica? No? Nemmeno noi! Infatti dopo aver fatto una ricerca sul campo, abbiamo scoperto che trattasi di illusione ottica, inclinando il telefono durante lo scatto la casa risulterà inclinata.

La più artistica, la più amata, la più viva piazza di Montmartre è Place du Tertre. È qui che a fine ‘800, gli artisti iniziarono a vivere non solo per l’atmosfera che si respirava sulla collina, ma anche per gli affitti più bassi rispetto a Parigi

Una piazzetta frequentata da musicisti, pittori e caricaturisti che eseguono ritratti. E’ sempre piena di vita e ciò la rende molto affascinante. Restiamo attratti dal suono della fisarmonica di un artista che intonava canzoni francesi e dal suo gatto nero, che si districava sullo strumento musicale, ipnotizzato.

A montmatre, il tempo sembra essersi fermato al periodo della Belle Èpoque.

Quasi un piccolo mondo a sé che, anche se negli anni è diventato un cliché assediato da masse di turisti e ha perso molta della sua autenticità, conserva ancora il fascino del suo periodo aureo: rifugio di poeti maledetti e artisti di strada, misterioso, eccletico ed affascinante.