Vito ballava con le streghe. Pietrapertosa

Inizia così il nostro viaggio a Pietrapertosa con l’associazione Murex ed il racconto di Mimmo Sammartino, che fissa sulla carta i racconti popolari, quelle storie che un po’ tutti noi abbiamo ascoltato, perché non si perdano nel tempo.

Sono storie di “masciare”, donne che conoscevano l’arte della magia e della fascinazione, del mistero delle parole e dei segni, che si ungevano con l’olio fatato raccolto dalla cavità di un albero d’ulivo e lo custodivano in una pignatta di terracotta e poi attraversavano in volo la notte. Una favola, che racchiude il rigore antropologico, l’amore per le proprie radici, l’emozione poetica, ma anche il viaggio alla ricerca di sé.

Il percorso delle 7 pietre è un progetto che recupera un antico sentiero contadino di circa 2 km, che collega i Comuni di Pietrapertosa e Castelmezzano e si sviluppa su quote variabili. Il percorso trae ispirazione dal racconto di Mimmo e prevede alcune installazioni multimediali, non tutte funzionanti al nostro arrivo, purtroppo.

Da Pietrapertosa scendiamo lungo il percorso delle 7 pietre, con piccole pause dedite all’ascolto della storia, ai profumi, alla natura, ma anche ad un buon caffè e un dolce buonissimo con marmellata di limoni, tutto rigorosamente prodotto da Alessia e Nico.

L’arrivo a Castelmezzano è decisamente scenografico, da cartolina. Il paese compare improvvisamente adagiato alla parete rocciosa.

Il borgo medievale di Castelmezzano, che dall’alto guarda la sua gemella Pietrapertosa, fu fondato nel X secolo da un popolo in fuga. Secondo la leggenda, un semplice pastore scoprì tra i pascoli un luogo nascosto, protetto da rocce e ricco di sorgenti d’acqua e si trasferì qui con il suo gregge. Ben presto altri pastori fecero altrettanto, per proteggersi dalle incursioni dei Saraceni e dagli eserciti in guerra tra loro. Fu così che nel X d.c., sorse il nucleo del nuovo paese.

Tra le cose da vedere a Castelmezzano ci sono i resti del fortilizio Normanno-Svevo, con la sua gradinata stretta e ripida scavata nella roccia, che porta nel punto più alto, dove la vedetta della guarnigione militare sorvegliava la sottostante valle del Basento.

All’ombra del castello abbiamo fatto la pausa pranzo, condividendo una pizza rustica fatta con le erbe selvatiche e del vino aglianico, che non poteva mancare.

Il centro storico di Castelmezzano è un susseguirsi di piccole viuzze, palazzi nobiliari, chiesette, panorami mozzafiato e piccoli locali. Qui tutto sembra una bomboniera e per le strade si respira un’aria di festa e di leggerezza. E con la leggerezza riconquistata nella mente e nel corpo abbiamo intrapreso il viaggio di ritorno, più spediti rispetto a prima, ma più consapevoli.

La risalita a Pietrapertosa, il paese più alto della Basilicata, posto a 1.088 metri sul livello del mare, è stata veramente faticosa, ma ampiamente ricompensata. Questo piccolo gioiello ospita poco meno di 1.000 abitanti.

La parte più antica del borgo si trova alle pendici del Castello ed è nota come Arabat, dall’antico nome saraceno. Gli arabi, arrivarono a Pietrapertosa insieme al principe Bomar, si insediarono in queste casette in pietra che erano comunicanti fra loro attraverso aggrovigliati cunicoli, strade e scalini tipici, anch’essi scavati nella roccia. La particolarità di queste abitazioni è che sono costruite in modo da essere un tutt’uno con le pareti di roccia, tanto che spesso si possono notare case le cui pareti sono rappresentate dalla roccia stessa, o viceversa. Tutto è in armonia con la natura che lo circonda.

La roccia, la rupe, gli strapiombi solitari e il castello sono gli elementi dominanti a Pietrapertosa. Il borgo si sviluppa lungo un’unica strada principale dove si possono notare case signorili con portali di pregio, iscrizioni, decori, e simboli, che testimoniano le famiglie nobili di un tempo in città.

ll Castello Normanno-Svevo è un sistema fortificato che risale all’epoca romana e divenne importante all’epoca dei normanni nel IX secolo. È situato sulla cima della roccia su cui si aggrappa la parte alta dell’abitato, il quartiere dell’Arabata. Ma la cosa più bella è proprio il panorama spettacolare che si gode da qui sù. Una vista eccezionale sulla Valle del Basento fatta di boschi verdeggianti, limpidi torrenti, forme strane di roccia disegnate dal vento e dalle piogge.

 Questo è un luogo magico, ed allo stesso tempo colmo di storia e di fascino.

Una ragazza del paese, volontaria del Fai, ci ha deliziato con il racconto di una tradizione popolare vissuta da tutta la comunita: U’ Masc. che si ripete da decenni in occasione dei festeggiamenti dedicati a S. Antonio da Padova.

Una festa che si basa su un antico rito pagano di primavera per festeggiare la fertilità e la fecondità, una specie di cerimonia di nozze simboliche tra due alberi che un corteo di boscaioli va a tagliare nel bosco e poi porta in paese per unirli tra loro ed adornarli. Il matrimonio avviene tra un tronco di cerro e una cima. Qui, i massari attendono le prime luci dell’alba, momento in cui lo sposo e la sposa, trasportati da coppie di animali, si avviano nella lunga marcia, davanti al campanile del Convento di San Francesco. Lo spettacolo si svolge sotto gli occhi della folla che assiste con apprensione alla fase di innalzamento e alla spettacolare scalata dell’albero da parte di un “maggiaiolo”. Durante la festa vengono distribuiti i “biscotti degli sposi” preparati sapientemente a mano dalle donne del paese, durante la notte che precede.

Molti visitatori, arrivano a Pietrapertosa anche per provare l’esperienza adrenalinica del volo dell’angelo. Confesso che mi sono venute le vertigini solamente ad alzare gli occhi al cielo. Ma è spettacolare anche solo osservarlo.

Questo trekking, seppur faticoso(22.200 passi) conferma ciò che penso della Basilicata: terra stupenda, ancestrale, capace di offrire esperienze uniche, dove il tempo sembra essersi fermato, fissando nella pietra ciò che è stato.

A presto 🙂

Un frammento di Gargano

Terra meravigliosa dominata dal verde della natura rigogliosa e dall’azzurro del mare, il Gargano è indubbiamente una delle mie zone preferite.
Una terra che forse inizialmente può sembrare ostile per le strade impervie, i tornanti e la difficoltà nell’accedere ad alcune baie, ma che pian piano ti conquista. E forse è proprio questo il segreto del suo fascino.

Complice una serata organizzata al Castello di Monte Sant’angelo, dall’associazione Ais, Bollicine di Puglia, l’indomani abbiamo visitato Monte Sant’Angelo e Vieste, passando attraverso la Foresta Umbra.

Il Santuario di Monte Sant’Angelo e’ unico e suggestivo, non lascia indifferenti anche coloro che non sono credenti. All’interno questa grotta, un uomo ( dipendente del luogo) vi portera’ per mano attraverso la storia, i libri sacri e citazioni classiche e nel suo volo pindarico, vi raccontera’ l’amore per San Michele. Purtroppo non ricordo il suo nome ma posso assicurarvi che ascoltarlo e’ stato un dono.

Non si può visitare il Gargano senza conoscere la sua duplice natura, senza conoscere quello che c’e’ oltre il mare.

Dopo questa breve sosta ci siamo allungati su Vieste.  Un piccolo paesino sul mare, che con le sue case bianche si trova sulla punta più a est del Gargano. Simbolo di questo territorio è, senza dubbio, il Pizzomunno, la grande roccia che si erge con tutta la sua maestosità, a controllare e proteggere la città. La leggenda narra che ai tempi in cui Vieste era ancora un villaggio, Pizzomunno era un bellissimo pescatore del posto.

Ogni giorno andava in mare con la sua barca e lì trovava le sirene che provavano ad incantarlo, promettendogli l’immortalità. Il giovane, innamorato follemente di Cristalda, non cedeva. Fu così che una sera, mentre i due innamorati stavano sulla spiaggia, le sirene gelose portarono via Cristalda. Pizzomunno tentò invano di salvare l’amata. Il giorno dopo, alcuni pescatori ritrovarono il ragazzo pietrificato dal dolore nello scoglio che oggi tutti possiamo ammirare. 

I due innamorati si rincontrano ogni cento anni. Questa leggenda mi ricorda un’altra: la notte di Tanabata. Una leggenda giapponese in cui la principessa celeste Orihime e il pastore Hikoboshi si incontrano attraversando la Via Lattea, per poi doversi separare nuovamente per un anno. Entrambe le leggende raccontano l’amore, che né il mare né il tempo possono spezzare.

Vieste è anche un luogo ricco di storia, popolata sin dal Paleolitico, come testimoniano i molti siti archeologici e i reperti ritrovati. 

Il centro storico è pieno di vicoletti e viste mozzafiato. Da vedere:

-la Cattedrale di Santa Maria Assunta, risalente alla seconda metà del XI sec., in stile romanico-pugliese, ad eccezione del campanile ricostruito in stile barocco in seguito a un crollo nel 1772;
– il castello, che sorge al margine del centro, su una rupe a strapiombo sul mare. Purtroppo non sempre è visitabile perché divenuta sede militare.                   Da non perdere il suggestivo panorama che si può osservare dalla balconata.

Se state facendo un giro nel centro storico non potete perdere la scalinata degli innamorati. Ebbene sì, sembra che l’amore sia il filo conduttore di questa città e se non siete romantici, potrebbe essere la vostra occasione per esserlo, almeno per un giorno!

Merita una sosta, fuori città, Torre San Felice, una torre di difesa, osservazione e segnalazione costiera.

Le torri costiere sin dall’antichità sono rimaste il miglior mezzo di protezione contro gli invasori indesiderati dal mare. Ad oggi è cambiato solo il modo di ascoltare e osservare, ma non lo scopo. La torre fu costruita nel 1540, durante il regno del Regno di Napoli.

Grazie alla sua posizione, Torre San Felice è il miglior punto panoramico sulla famosa e bellissima formazione rocciosa Arco di San Felice.

L’Arco  è una creazione mozzafiato della natura, un’imponente struttura rocciosa che emerge dalle acque cristalline del mare Adriatico. Questo arco naturale è il risultato di millenni di erosione, scolpito dal vento e dal mare, ed è un esempio straordinario di bellezza naturale. La sua vista è particolarmente affascinante al tramonto, quando le sfumature del sole che cala dipingono la roccia di colori caldi e avvolgenti. Poco distante dall’arco, si apre la baia, come un abbraccio accogliente verso il mare. Con le sue acque turchesi e la sabbia finissima, è una delle spiagge più incantevoli del Gargano.  Questo luogo è nuovamente appuntato in agenda, sarà il punto di partenza per un’escursioni in barca, per esplorare l’arco da una prospettiva unica e tutto questo tratto di costa meraviglioso.

Grazie ai miei compagni di viaggio, senza il loro coinvolgimento non avrei mai pensato di andare nuovamente sul Gargano, per 24 ore.

Non poteva mancare una sosta aperitivo Molfetta presso @lachiazzod, prima del rientro a casa.

Ruffano, un piccolo gioiello salentino

Nella terra Salentina nasce uno splendido borgo dalle origini molto antiche, Ruffano. Una piccola cittadina che si colloca tra due mari, quasi a pari distanza dallo Jonio e dall’Adriatico, ricco di storia e di tradizioni locali.

I portali barocchi, le case a corte, i portoncini colorati, il museo della Civiltà Contadina, i numerosi palazzi settecenteschi, la chiesa dell’Annunziata e il Castello Brancaccio: tutto merita di essere visitato.

Il Castello è in realtà un palazzo nobiliare, impreziosito da sculture e bassorilievi nella loggia interna e collegato alla Chiesa matrice tramite una loggia esterna (la cosiddetta “Loggia Brancaccio”), grazie alla quale i suoi occupanti potevano godere della possibilità di assistere alle funzioni religiose dall’alto di due finestrelle che si affacciavano direttamente all’interno dell’edificio sacro.

Questo era definito “privilegio della grata ed è un simbolo del rapporto tra Chiesa e aristocrazia, accordato nel 1657 direttamente dal papa Alessandro VII allora principe di Ruffano, Carlo Brancaccio. 
Fu proprio la casata napoletana dei Brancaccio, a rendere grandi e nobili, nel corso del 1600, il palazzo e il relativo feudo. Dopo varie conquiste che smembrarono il feudo la proprietà passò alla nobile famiglia Leuzzi di Latiano.
Il matrimonio fra una Leuzzi e un Pizzolante, diede origine al doppio cognome Pizzolante-Leuzzi, famiglia che ancora adesso occupa l’antico palazzo nobiliare con l’ultimo discendente.

Lasciandoci alle spalle la piazza dominata dalla torre dell’orologio, entriamo nel castello tramite il portone principale, sormontato dallo stemma dei marchesi Ferrante, e ci inoltriamo nello splendido atrio, dominato dalla statua del principe Brancaccio.

La Chiesa matrice custodisce al suo suo interno altari finemente intagliati nella duttile pietra leccese e le grandi tele del pittore ruffanese Saverio Lillo, impossibile non notare l’enorme tela in cui Gesù Caccia i mercanti dal tempio.

La passeggiata nel centro storico prosegue con la scoperta dell’ipogeo e degli artisti locali che espongono le loro opere, tra materiali in legno, di corda e ceramica. La ceramica è una delle peculiarità del territorio di Ruffano, un paese in cui in passato gran parte dell’economia si basava sull’arte dei pignatari e si contava la presenza di numerose fornaci.

Poco distante dal centro urbano, due artisti, hanno dipinto a mano una scalinata urbana, rendendola una sorta di coloratissimo tappeto volante. “Volante” perché attraverso decori che si ispirano alla tradizionale produzione di tappeti del Mediterraneo e a simboli e scene della vita del paese, crea l’impressione di essere proiettati in altri luoghi e culture.

Insomma, di certo non c’è da annoiarsi se decidete di andare a Ruffano. Ancor più se decidete di farlo quando è in programma Cortili aperti, così come abbiamo fatto noi.

Come tappa finale della nostra uscita fuori porta, al confine con il comune di Casarano, abbiamo raggiunto un importante sito naturale. Si tratta di una grotta trasformata in luogo di culto cristiano dai Basiliani nel XI secolo. Al suo interno convivono graffiti di epoca paleolitica, neolitica e affreschi bizantini.

Il Salento ci riserva sempre belle sorprese 🙂

Oria, tra fascino e mistero

Il borgo di Oria è un insieme di stradine tortuose che tra scalinate, passaggi pedonali, colonne romane, mura medioevali e chiese rinascimentali lo rendono un piccolo gioiello dell’entroterra pugliese, ricco di mistero e fascino. Siamo giunti a Piazza Manfredi, punto nevralgico della città, dove oggi come in passato la gente è solita incontrarsi e scambiare due chiacchiere. La piazza si presenta come un corridoio che si allarga in corrispondenza del palazzo del Sedile, dove ci attendeva la Pro Loco.

Il tour “Oria Sotterranea” ci ha rivelato un borgo ricco di storia, racchiuso da un alone di mistero.

Siamo nel medioevo e a causa dei ripetuti crolli, il progetto per edificare il castello si arrestava continuamente. Si diffuse la voce che la città fosse stata colpita da una maledizione, così su consiglio di alcuni veggenti, si decise di sacrificare una bambina innocente e di spargere il sangue lungo il perimetro del castello. La madre disperata per la morte della sua bambina lanciò un monito contro la città: “Possa tu fumare Oria, come fuma il mio cuore esasperato“. Da questa leggenda l’appellattivo di “Oria fumosa”.

Dal Palazzo del Sedile raggiungiamo la Chiesa di S. Antonio da Padova, che custodisce alla suo interno la cripta di San Mauro, visibili sulle pareti ancora gli affreschi, centralmente San Mauro, a destra la Madonna del Melograno.

Lungo le pareti sono pesenti vani verticali, probabilmente preposti ad accogliere i defunti.

Rientriamo attraverso una delle porte della città e giungiamo alla Chiesa di S. Maria dell’Assunta, costruita in stile barocco su una precedente struttura romanica. Questa splendida chiesa cattura lo sguardo fin dal primo istante con la sua imponente cupola, le sue mattonelle policrome e il lanternino a bulbo arabo che aggiungono un tocco di eleganza e raffinatezza al profilo architettonico dell’edifico.

Sotto le sue fondamenta, si cela una sorpresa: la Cripta delle Mummie. Unico nel suo genere non solo in terra salentina, ma al mondo. La cripta delle Mummie è il solo caso in cui ad avere l’onore di essere mummificati sono stati dei laici.

La storia inizia quando Otranto viene invasa dai turchi ed Oria corre in soccorso e come onorificenza a chi tornava vivo veniva concessa la mummificazione.

Il progetto aveva lo scopo di dar loro riconoscenza eterna. Tuttavia, nel 1806, Napoleone Bonaparte emise un editto con il quale vietava le sepolture nelle chiese e le imbalsamazioni. Gli studi sulle mummie però hanno rivelato che tra quelle giunte fino ai giorni nostri, soltanto una è antecedente l’editto, mentre le altre sono tutte riconducibili al periodo successivo, fino al 1858. Prova che ad Oria si continuò clandestinamente la pratica della mummificazione. Il salone in cui si trovano le mummie presenta una volta a botte ed il pavimento in terra battuta sul quale sono poste tre botole che permettono l’accesso ai cunicoli sotterranei allestiti per l’inumazione e conducenti fino alla Torre Palomba. Sopra le nicchie contenenti i corpi degli ultimi confratelli mummificati, vi è una struttura sulla quale sono poggiati i teschi di coloro che sono morti da più tempo.

Ultima tappa di questo tour, Palazzo Martini, situato nel cuore del centro storico di Oria. Il palazzo ospita reperti storic che coprono un arco temporale compreso tra l’età arcaica e quella imperiale romana ed offrono la possibilità di cogliere aspetti significativi della realtà socioculturale delle popolazioni messapiche in relazione al culto dei morti e alle usanze funerarie.

Gli scavi archeologici hanno portato alla luce migliaia di reperti, identificati come offerte votive che riconducono al culto di Demetra e Persefone, in una grotta che si trova sul Monte Papalucio, poco distante dalla città. Echi di antichi culti di guarigione – la papagna” e “lu ‘nfascinu”- che echeggiano ancora nella tradizione contadina.

Un borgo da non perdere assolutamente! Noi ci siamo state in primavera, con il naso all’insù tra il blu e le nuvole che correvano veloci.

Nel Gotico a due passi dal cielo e dal mare.

L’ultimo giorno a Barcellona ci lasciamo scivolare dolcemente tra le strade del Gotico. I ricordi sono tantissimi, ogni angolo, ogni albero del quartiere avrebbe da raccontare la propria storia.

Iniziamo dalla Rambla. Un’ampia via pedonale costellata di negozi, di bancarelle di fiori colorati e artisti di strada.  Uno dei punti focali di questa strada è il Mercato de La Boqueria, un mercato alimentare coperto che offre una vasta gamma di prelibatezze, corridoi colorati, profumi irresistibili di frutta, verdura, carne, pesce e dolci tradizionali.

Dalla Rambla ci siamo addentrati nel quartiere Gótico, un luogo intriso di storia e fascino, caratterizzato da strade lastricate strette e tortuose, edifici medievali imponenti e angoli pittoreschi che ti trasportano indietro nel tempo.

Passando per la necropoli romana e attraversando la via del cioccolato, siamo arrivati in Plaça del Pi, dove si trova la Basilica di Santa Maria del Pi, costruita in stile gotico-catalano.                         Secondo la tradizione, il nome della basilica deriva dal ritrovamento dell’immagine della Vergine dentro un tronco di pino e sempre per lo stesso motivo venne piantato un albero di pino proprio davanti la porta della chiesa.

Nella chiesa del PI si trovano El Gegantes, giganti della tradizione, ancora utilizzati negli eventi religiosi, seppur in una versione più leggera da sostenere durante la processione.

Proseguendo la nostra passeggiata ci siamo recati alla Cattedrale di Barcellona, dedicata a Santa Eulalia, patrona della citta’.               Durante il dominio romano, l’imperatore Diocleziano ordinò la persecuzione di tutti i cristiani, la piccola Eulalia osò sfidare il console romano e venne condannata a subire 13 torture, tante quanti gli anni che aveva.  

La cattedrale è di stile gotico, costruita a sua volta sopra un’antica chiesa di stile romanico. Ma la facciata è posteriore e risale addirittura al diciannovesimo secolo, quando fu indetto un concorso per la sua realizzazione, al quale parteciparono vari architetti.

L’edificio è famoso per il suo chiostro risalente al ‘300, in cui vivono tredici oche, ognuna rappresenta un anno di vita della martire Santa Eulalia.

Dinanzi alla Cattedrale, la scritta Barcino  e le due torri romane, ci ricordano il passato romano della città e lungo un lato della Cattedrale si trova “uno dei luoghi più fotografati” del Barrio Gotico: il Pont del Bisbe.

Il ponte in realtà non e’ antico,  risale al 1928, il suo stile è ispirato al gotico fiammingo e veniva utilizzato dalle personalità della politica per passare da un edificio all’altro. Una leggenda narra che basta camminare in senso contrario ed esprimere un desiderio guardando negli occhi il teschio presente sotto il ponte per farlo avverare.

A poca distanza dalla cattedrale un’altro luogo ormai iconico della citta’: il murales del bacio. Si tratta di un grande fotomosaico realizzato nel 2014 per commemorare la caduta della città durante la guerra di seccessione spagnola. Il giornale spagnolo chiese ai propri lettori di inviare fotografie che ricordassero momenti di libertà. Da lontano si vedono due labbra che si baciano, ma avvicinandosi si scopre che ci sono 4.000 piastrelle, ognuna di esse immortala la felicità fatta di momenti quotidiani.

Ci siamo diretti verso Casa de l’Ardiaca, un edificio gotico vicino alla Cattedrale dove vivevano gli arcidiaconi, un’ordine ecclesiastico ora scomparso. Negli anni l’edificio ha avuto molteplici usi e nel 1902 un architetto fu incaricato di abbellire l’edificio. Ogni elemento decorativo ha un suo significato particolare: lo scudo, le rondini, latartaruga e l’edera. Una curiosa allegoria della giustizia: la giustizia cerca di volare alto come le rondini ma gli impedimenti burocratici (l’edera) la rendono lenta come una tartaruga.

Una delle ultime tappe nel quartiere è stata la piazza che ospita la Chiesa di San Filippo Neri. E’ una piazza veramente speciale, per la tranquillità che si respira e per la storia che nasconde.

Una fontana al centro, una chiesa sullo sfondo, due case e un bar sono tutti gli elementi che la compongono. Sulla facciata della Chiesa, che da’ il nome alla Piazza, sono ancora visibili i segni del bombardamento aereo del 30 gennaio del 1938 da parte dell’aviazione italiana fascista, alleata di Franco.

La figura di Gaudì è strettamente legata a questa Chiesa. L’architetto si recava tutti i pomeriggi per pregare e fu proprio in quel frangente che, il 7 giugno 1926, venne investito e morì. I passanti lo scambiarono per un barbone e non lo soccorsero. All’interno della chiesa ci sono due dipinti realizzati da un pittore, grande amico di Gaudì. L’artista dovendo dipingere la faccia del santo Filippo Neri chiese al suo amico di posare per lui.

Prima di andar via sono andata a caccia di una terrazza per vedere la città dall’alto. Ormai in molte città gli hotel mettono a disposizione le loro terrazze e noi siamo stati nel quartiere El Raval. Questo quartiere è caratterizzato da una mescolanza di culture e ha subito una trasformaione significativa in questi anni. Qui potrete scoprire una vivace scena artistica e culturale, con gallerie d’arte, negozi vintage, mercati locali e una varietà di ristoranti etnici ed una delle viste panoramiche più speciali della città. Grazie alla forma cilindrica dell’hotel, questa terrazza offre una vista di 360 gradi su tutta la città. L’ingresso è gratuito e non vi obbligo di consumazione.

Il richiamo del mare è come sempre assordante ed è bastato guardarlo dalla terrazza per decidere di andargli incontro. Port Vell è stata una piacevole pausa pranzo e poi abbiamo raggiunto la spiaggia di Barceloneta, famosa per la sabbia dorata e le acque blu cristalline.

Questa spiaggia (e tutte quelle di Barcellona in generale), non esisteva prima del 1992, quando in occasione delle Olimpiadi tantissimi quartieri di Barcellona vennero completamente trasformati. La Barceloneta è uno degli esempi più lampanti di tale trasformazione

Ma nonostante questo aspetto “artificiale” qusto luogo è divenuto un vero simbolo della città, un punto di incontro per i residenti e visitatori di tutto il mondo.

Prima di andar via, non poteva mancare un ballo improvvisato di Nicole, che tratteggia le linee dell’hotel W (hotel Vela), sfondo iconico di questo tratto di spiaggia.

Finisce qui il nostro racconto di questa magnifica città. E’ stato veramente arduo sintetizzare questa città unica nel suo genere e spero di esserci riuscita.

Barcellona: tappe iconiche

Il cielo di Barcellona sfrutta ogni inezia di luce, così che possiamo affondare gli occhi in un cielo blu intenso, sempre.

Sono ritornata per la seconda volta in questa ammaliante città, questa volta in compagnia dei miei figli.

Siamo arrivati alle 17, il tempo di lasciare le valigie e siamo scivolati all’interno della città vecchia, verso il parco della Cittaduella, il cui ingresso è caratterizzato dall’Arco di Trionfo, costruito in occasione dell’Esposizione Universale del 1888 come simbolo di benvenuto. Tra l’arco ed il parco la gente passeggia, ma soprattutto si ferma ad osservare gli artisti che si esibiscono in tutta la loro creativita’.

Con largo anticipo avevamo programmato alcuni ingressi a monumenti storici della città, i cui biglietti spesso vanno sold out. Così il giorno dopo siamo entrati all’interno della straordinaria ed iconica Sagrada Família, il capolavoro incompiuto dell’architetto Antonio Gaudí. Questa basilica unica nel suo genere è uno dei simboli più riconoscibili di Barcellona e rappresenta un esempio straordinario dell’architettura modernista catalana.

L’architettura è intrisa di simbolismo religioso e naturale, con riferimenti alla natura, alla geometria e alla spiritualità. I lavori di completamento continuano ancor oggi, mantenendo viva la visione di Gaudí e rendendo questo monumento una continua evoluzione dell’arte e della creatività umana.

Il percorso della visita alla basilica incomincia ovviamente dalla Facciata della Natività. Una facciata barocca, ricchissima di sculture e simbologie: qui l’elemento dominante è la vitalità, l’allegria, la bellezza.

A differenza delle facciate, traboccanti di storia, l’interno, pur sempre simbolico, è essenziale. La protagonista assoluta è la luce, che filtra tra le colonne, leggermente inclinate, come in un bosco incantato, poiché esse hanno la forma di alberi i cui rami, in alto, come delle possenti mani, sostengono l’intera struttura.

La tonalità dei colori cambia in continuazione, in base alla posizione del sole, dai colori più freddi alla mattina, ai colori accessi, giallo e rosso, alla sera, quando il sole si sposta ad occidente.

Ad occidente si trova la facciata della Passione, a conclusione della vita terrena di Gesù. Le sculture sono volutamente scarne e spigolose e trasmettono una grande sofferenza e tristezza. Non c’è spazio in questa facciata per gli abbellimenti barocchi, per l’allegria.

Subito dopo la Sagrata Familia ci siamo avviati al Palau de la Música Catalana, un gioiello architettonico e culturale situato nel cuore di Barcellona. Questo meraviglioso edificio rappresenta uno dei capolavori dell’architettura modernista catalana e offre una esperienza unica per gli amanti della musica, dell’arte e della bellezza architettonica.

Costruito tra il 1905 e il 1908, il Palau de la Música Catalana è un omaggio all’arte e alla cultura catalana. È stato progettato da Lluís Domènech i Montaner, uno dei principali architetti modernisti della città. Una delle caratteristiche più spettacolari del palazzo è la sua sala da concerto principale. All’interno, un’esplosione di colori e forme, grazie all’uso creativo di vetrate colorate, mosaici e sculture decorative. Il soffitto vetrato a forma di cupola rappresenta un sole splendente, che irradia luce e calore su tutto l’auditorium.

Nel pomeriggio avevamo programmato la visita a Casa Batlló. E’ un vero e proprio viaggio nella mente del visionario architetto catalano che ha disegnato la silhouette di questa città rendendola così unica e sensuale. Non vi aspettate una classica visita, piuttosto un invito ad esplorare l’universo attraverso la luce e il  colore, i protagonisti assoluti di Gaudí.

Spettacolare e senza precedenti la sintesi digitale realizzata dall’artista Refik Anadol per illustrare come il mondo interiore di fantasia e tumulto si sia trasformato in architettura moozzafiato.

E’ impossibile non restare affascinati da questa città dal blu intenso, che avvolge ogni cosa.

E se capiteranno, talvolta, giorni dell’inquietudine, riguarderò queste foto straripanti di blu, riavvolgerò all’infinito i video girati, mi ricorderò dei vostri baci e abbracci.

Con amore mamma.

Il Monastero di Montserrat

Se siete appassionati dei nostri racconti, saprete che amiamo viaggiare nel periodo autunnale o in primavera, dove l’affluenza turistica è minore e si riesce a godere meglio delle bellezze del territorio. Ma ora che le ragazze stanno diventando più grandi, una settimana di assenza durante la scuola media ha un peso diverso e diventa sempre più difficile conciliare i nostri viaggi con la danza ( passione di entrambe le ragazze) ed il recupero delle lezioni scolastiche. Per tale ragione quest’anno abbiamo deciso di conciliare la chiusura scolastica di Pasqua con il viaggio a Barcellona.

Devo ammettere che non siamo stati delusi dalla nostra scelta, Barcellona ci ha accolti con la sua forte presente e personalità. La Pasqua qui è molto sentita e si festeggiata per le strade, avvolti da un’atmosfera carica di emozioni.

Abbiamo dedicato un’intera giornata alla visita del Monastero di Montserrat, un importantissimo sito di pellegrinaggio della Catalogna, incastonato sul fianco di una montagna a circa 700 metri sul livello del mare. Il monastero è circondato da una catena di montagne davvero uniche dalle forme più disparate che sembrano proteggerlo dall’alto.

Da Barcellona abbiamo preso il treno per Aeri de Monserrat, dove si sale a bordo della funivia che in soli 5 minuti vi lascerà a pochi metri dal monastero. L’esperienza in funivia è spettacolare, si arriva quasi a sfiorare la roccia delle montagne, passandoci attraverso.
Ad un certo punto ho pensato che la roccia la prendessimo in pieno! E’ un’esperienza adrenalinica che ovviamente mette a dura prova chi come me soffre di vertigini, ma le cabine della funivia sono sicure e stabili.

L’attesa per salire sulla funivia è stata veramente lunga, 2 ore o poco più. Tantissimi spagnoli accanto a noi, che hanno approfittato della festa per raggiungere il santuario. I motivi per venire qui sono veramente i più diversi: pellegrinaggio trekking natura, ricerca di spiritualità o solo per una gita fuori porta.

Una volta scesi dalla funivia ci siamo presi tutto il tempo necessario per ammirare i dintorni dall’alto e scattare qualche foto. Ho immaginato il monastero coperto totalmente dalla nebbia e dal cielo plumbeo durante l’inverno o immerso nell’oscurità della notte. E mentre scrivo chiudo gli occhi nuovamente e mi lascio trasportare dal ricordo di quel luogo, ricco di mistero.

Il complesso comprende fra le altre cose una splendida basilica, che custodisce la statua della Vergine Moreneta di Montserrat. Secondo la leggenda, la statua in legno della madonna fu ritrovata nell’800 da alcuni bambini che pascolavano il gregge. Si tratta di una delle statue della Madonna Nera più famose nel mondo. Il Vescovo della vicina città di Mausera, venuto a sapere del ritrovamento, organizzò il trasporto della statua (alta non più di 90 cm), ma, a sorpresa, essa rimase immobile. Tale prodigio fu interpretato come segno della volontà della Beata Vergine di rimanere nei pressi del luogo e il vescovo ordinò immediatamente la costruzione del Santuario. Da quel momento prese vita il culto della Vergine di Montserrat.

La destinazione montuosa è attraversata da sentieri escursionistici, da cui si può apprezzare il bellissimo paesaggio circostante, e cercare, la veduta del monastero più spettacolare. Noi però a metà percorso siamo tornati indietro, le gambe non ci sostenevano più.

Ci sono posti che bastano da soli a riempire ore e ore, a farne il punto esatto in cui sei pronto a stare. Ma ciò che rende speciale ogni luogo e ogni momento, è la capacità di rendere ogni luogo quello giusto, ogni momento quello esatto per godersi ogni momento della vita.

Nel prossimo racconto, alcune tappe di Barcellona da non perdere  🙂

Borghi più belli d’Italia: Presicce.

Quando si parla del Salento, nella mente proiettiamo immagini legate a spiagge sabbiose e acque cristalline, ma il Salento è anche borghi e paesi dove respirare il vero spirito pugliese, fatto di tradizioni, storie e sapori. Tra i borghi più belli d’Italia c’è Presicce.

Non appena giungi nel centro storico di Presicce, sei accolto da scorci pittoreschi, vicoli e piazzette che ti catapultato in un’atmosfera d’altri tempi che raccontano la doppia anima di questo luogo, una gentilizia e l’altra contadina.

Ci sono molti palazzi ben conservati, ma essendo di proprietà privata, la maggior non è visitabile all’interno, se non in alcune giornate dedicate, come “Presicce in mostra”.

Possiamo però ammirare le facciate dei palazzi, ingentilite da cornici e archi cinquecenteschi, lungo tutto il tragitto che ci porta sino a Casa Turrita, uno degli edifici storici più particolari del borgo. Edificato nel XVI secolo come parte integrante del sistema difensivo dell’abitato, presenta ancora alcuni elementi originali, come le feritoie, e si distingue per la facciata decorata in bugnato a punta di diamante.

Il Palazzo Ducale, nato su un fortilizio normanno del 1500, è viistabile. Nei secoli ha subito diversi interventi, non da ultimo quello del 1630, in cui la principessa D. Maria Cito Moles volle l’aggiunta della loggia, dei giardini pensili e di una nuova cappella palatina.

Attualmente il Palazzo ospita al suo interno il Museo della Civiltà contadina, riunendo gli attrezzi da lavoro utilizzati da contadini, falegnami, ciabattini e muratori presiccesi. Salendo uno scalone del 1700, al primo piano, si trova una ricostruzione della tipica casa contadina con camera da letto, un telaio e la cucina.

Una volta terminata la visita al museo, senza uscire dal palazzo è possibile raggiungere i giardini pensili da cui si gode la vista sulla Chiesa Madre e Palazzo Villani.

Ci sono voluti solo tre anni (1778-1781) per costruire e inaugurare la Chiesa matrice. In stile tardo barocco, decisamente più sobrio rispetto a quello leccese, è stata costruita su una vecchia chiesa del 1500 (di cui rimane l’antica torre campanaria). Come in molte chiese del Salento, anche in questa vi è un altare dedicato a S. Oronzo che ha protetto questa terra dalla peste del 1656.

Davanti all’ingresso della Chiesa Madre si trova la Colonna di S. Andrea, dedicata al patrono e costruita nel ‘600. Le quattro statue ai lati, tre delle quali acefale, rappresentano le quattro virtù cardinali: Prudenza, Giustizia, Fortezza e Temperanza. La statua non è rivolta verso la chiesa, ma verso Santa Maria di Leuca, antica via dei pellegrinaggi, forse come forma di protezione.

La colonna racconta anche una storia d’onore e di sangue. Pare infatti che nel XVII secolo il Signore dell’epoca obbligasse le novella spose a passare con lui la prima notte di nozze, lo Ius Primae Noctis. Ma nel 1655, durante i festeggiamenti del Carnevale, il principe si affacciò alla finestra del Castello per salutare i cittadini e ad attenderlo vi era anche un uomo mascherato che deciso a vendicare l’oltraggio subito dall’amata, gli sparò un colpo, uccidendolo.

Questo sarebbe il motivo per cui gli abitanti di Presicce, sono conosciuti in tutto il Salento con il soprannome di Mascarani.

Il Salento, si sa, è da sempre una delle culle privilegiate dell’olio e Presicce, grazie al suo ottimo extravergine d’oliva, si è aggiudicato il titolo di Città dell’Olio.

Di fatto il vero tesoro del borgo, quello che lo rende unico nel suo genere, è rappresentato dal sottosuolo dove si sviluppa un sorprendente dedalo di frantoi ipogei – noti anche come trappeti a grotta– che conservano ancora oggi gli antichi torchi e macine con cui, tra il XIII e gli inizi del XX secolo, si produceva l’olio “lampante che dal porto di Gallipoli partiva ad illuminare le strade di mezza Europa.

Dei ventitré frantoi in attività, oggi ne restano diciassette alcuni dei quali sono stati recuperati, come il frantoio di via Gramsci e quelli sotto piazza del Popolo, risalenti al XIV secolo.

Scoprirete che i pozzi di decantazione dell’olio funzionavano grazie al principio dei vasi comunicanti e che la temperatura in inverno all’interno dei frantoi era sempre mite e costante, intorno ai 18-20°, grazie anche alla fermentazione delle olive e al calore prodotto dalle lampade ad olio che funzionavano ininterrottamente e dalla fatica degli uomini e degli animali.

La nostra giornata è proseguita alla scoperta delle casine di campagna. Eleganti edifici a due piani, funzionali all’economia agricola del tempo e utilizzati anche come residenza. Presentano portali e scenografiche scalinate con elementi decorativi di derivazione napoletana o di ispirazione spagnola.

Solo 16 km separano Presicce da Santa Maria Di leuca, così decidiamo di rotolare verso sud, sino ad arrivare nel punto più a sud di tutta la regione, dove il mar Adriatico incontra il mar Ionio e godere di un tramonto pennellato da mille sfumature di rosso. Siamo a punta Ristola.

In questa lingua di terra si apre la Grotta del Diavolo. Una grotta che deve il suo nome alle sue particolari caratteristiche: è buia, l’accesso dal piano di capestio è particolarmente ripido, ma soprattutto al ruggito delle onde che si infrangono.

Il Salento è ricco di tradizioni popolari, enogastronomia, borghi nascosti che invitano a un turismo slow e ha ritrovare il proprio ritmo lento e noi amiamo perderci in questa lingua di terra.

La Napoli che incanta.

Napoli è stata veramente una gita fuori porta, durata pochissimo di cui sentiamo già la mancanza.

Arrivati il sabato di buon’ora, abbiamo percorso il Miglio Sacro, un itinerario chescende” da Capodimonte attraverso le Catacombe di San Gennaro e arriva nel cuore del quartiere Sanità. Questo tour vi consentirà di scoprire luoghi bellissimi e nascosti della città:

  1. Catacombe di San Gennaro.
  2. Basilica di San Gennaro extra moenia.
  3. Basilica di Santa Maria della Sanità.
  4. Cripta delle Catacombe di San Gaudioso (esterno).
  5. Basilica di San Severo fuori le mura e Cappella dei Bianchi con visita esclusiva all’opera “Il figlio velato” di Jago.
  6. Palazzo Sanfelice e dello Spagnuolo.
  7. Porta San Gennaro.

La visita ha inizio dalle Catacombe di S. Gennaro, disposte su due livelli non sovrapposti e caratterizzate da ambienti molto ampi, rispetto a quelli delle catacombe di Roma, poiché scavate nel tufo napoletano, materiale facilmente lavorabile e nello stesso tempo resistente. Scendiamo nel livello Superiore della Catacomba dove si è subito immersi in questa antica città fatta di gallerie, cubicula, arcosoli, loculi a parete o scavati nel suolo.

In un arcosolio del VI sec. è raffigurata una famiglia con una bambina al centro, morta all’età di soli 10 anni. Le vesti preziose ed i gioielli suggeriscono che trattasi di una famiglia agiata, ma la vera particolarità di questo affresco è di essere composto da tre strati sovrapposti, infatti alla morte di ogni componente della famiglia, l’affresco veniva ridipinto

L’espansione della Catacomba Superiore avvenne a cominciare dal V secolo a seguito della traslazione delle reliquie di S.Gennaro in questa catacomba, che da lui poi prese il nome.
La catacomba infatti divenne un luogo di pellegrinaggio e un luogo ambito di sepoltura e da qui la necessità di scavare altre gallerie e cubicula per dar modo di essere seppelliti più vicino possibile al Santo.

Finito il tour sotterraneo siamo riemersi in uno spazio caotico, con una moltitudine di voci difficili da distinguere, motorini sfreccianti e musica ad alto volume proveniente da una palazzina sopra il nostro naso, dove tre bambine ed un cane si affacciavano al balcone in canotta, improvvisando balletti con il piumino della polvere. Napole è un bel caos.

Eravamo nel Rione Sanità e qui la bellezza è ovunque, scritta sui muri, nei vicoli, nel profumo dei panni stesi e in quello irresistibile di fritto.

Ci siamo addentrati nel mercato di vie delle Vergini, in un brulichio di gente che si muoveva da una bancarella all’altra, tutte colorate, colme di ogni tipo di merce in bella vista, con cartelli a volte anche molto bizzarri e fantasiosi.

Ai margini di piazza Cavour, l’ingresso del Palazzo dello Spagnolo, quasi nascosto dall’affollato mercato locale. Si tratta di uno dei più antichi ed affascinanti palazzi nobiliari di Napoli, capolavoro dell’architetto Sanfelice. Oggi il palazzo è divenuto un condominio e la sua proprietà è divisa tra molteplici famiglie.

Sempre lungo via Sanità vi è anche il Palazzo Sanfelice, simbolo del passato nobiliare della città partenopea, di quegli anni d’oro in cui Napoli era una delle capitali europee.

Il Palazzo si presenta grigio, in netto contrasto con il vicino Palazzo dello Spagnolo che appare restaurato e dai colori vivaci. Tuttavia, forse, è proprio questo suo aspetto trascurato a conferirgli l’enorme fascino di cui gode oggi, immortalato anche in tanti film e serie televisive.

Nel Rione Sanità – forse più che in altri luoghi – l’arte di strada (street artist) viene spesso usata per denunciare, per far conoscere, comprendere e per sensibilizzare. Lo fa Banksy e lo segue Jacopo Cardillo, in arte Jago, l’artista di Frosinone di fama internazionale, che ha scolpito, il Figlio Velato. L’opera nata a New York ha trovato la sua collocazione a Napoli e racconta la storia di un bambino, vittima innocente delle scelte degli adulti. È una storia di criminalità, di migrazioni, di stragi e di sacrifici inaccettabili. Un’opera che parla da sola.

Nel pomeriggio ci siamo dirette al Monastero di Santa Chiara, risalente al 1310, voluto dal re Roberto d’Angiò e sua moglie. Probabilmente fu proprio sua moglie che decise di realizzare questa piccola cittadella francescana, forse per rendere omaggio al suo desiderio represso di vita monastica. Tra i pittori che affrescarono la Basilica annessa al Monastero, Roberto D’Angiò chiamò anche Giotto. Purtroppo del passaggio di Giotto a Napoli, in Santa Chiara, restano solo piccoli frammenti.

Molto poetico il chiostro maiolicato delle Clarisse, trasformato nel 1742 da Domenico Antonio Vaccaro con pilastri, intervallati da sedili maiolicati con motivi agresti, marinari e mitologici. Il connubio tra gli accesi colori delle maioliche e il profumo degli agrumi riporta in Andalusia.

Il complesso monumentale di Santa Chiara è sopravvissuto negli anni e al susseguirsi di vicissitudini che lo hanno messo in pericolo, non ultimo il bombardamento aereo del 1943 che sventrò la basilica riducendolo in macerie. Seguirono restauri piuttosto incisivi.

Dal monastero è semplice arrivare in via San Gregorio Armeno, famosa in tutto il mondo per i suoi presepi. Qui la tradizione presepiale ha origine antica e il mestiere di solito viene tramandato di padre in figlio. È difficile descrivere a parole o con immagini la moltitudine di botteghe, negozietti e bancarelle coloratissime, che sono aperte tutto l’anno.

Sempre nel centro storico di Napoli è tornata visitabile la Chiesa di Santa Luciella ai Librai, famosa e conosciuta come la Chiesa del teschio con le orecchie. Dalla Sacrestia poche scale conducono allIpogeo, luogo dedicato alle sepolture e al culto delle anime “pezzentelle”.

Nel 1656, periodo tristemente noto per l’epidemia di peste, chi perdeva la vita veniva seppellito nelle fosse comuni e per questo motivo si perdeva l’identità dei cadaveri che non potevano più essere pregati nei luoghi di memoria. Da qui derivò l’usanza di adottare un teschio, una capuzzella, di cui prendersi cura per offrire conforto alle anime del Purgatorio in cambio di una grazia.

Quando i miracoli chiesti si avveravano, le donne erano solite ricompensare le capuzzelle portando in dono degli ex voto, spesso dalle connotazioni tipiche del miracolo ricevuto. All’interno della Chiesa di Santa Luciella se ne notano infatti di ogni tipo e spesso rappresentanti le parti del corpo che erano guarite proprio per merito della grazia ricevuta.

All’interno dell’Ipogeo è possibile notare una capuzzella davvero molto particolare rispetto alle altre: un teschio che sembra avere le orecchie e per questo motivo considerato speciale rispetto agli altri in quanto più “ricettivo” alle preghiere, da qui “Chiesa del teschio con le orecchie”.

Recenti studi condotti dai paleopatologi hanno in realtà stabilito che si tratta di un fenomeno di distaccamento dalle pareti laterali del cranio. Oggi molti visitatori si uniscono al culto della “capuzzella” lasciando nell’ipogeo bigliettini con preghiere.

Napoli è veramente bella e il Rione Sanita’, che spesso non viene inserito nell’itinerario di viaggio è stato dirompente, energico e bello.

Il giorno dopo dovevo mantenere una promessa fatta a Giada e siamo state al Gran Cono del Vesusio. E’ stato veramente bello ed emozionante.

Lo spettacolo davanti ci offriva una delle più belle vedute sul Golfo di Napoli.

Vedere il Vesuvio da vicino, anzi, avere il cratere principale ad un palmo dal naso, che in alcuni punti sbuffa è straordinario. Ne La Ginestra Leopardi scriveva che, nonostante la sua presunzione, l’uomo può nulla contro la natura, che l’uomo è infinitamente piccolo. Sul camino vulcanico ci si sente veramente piccoli, ma circondati da maestosa bellezza.

Prima di tornare a casa siamo ritornate indietro verso Napoli per scoprire uno dei borghi più belli della zona. Il porticciolo di Posipillo, “Mare Chiaro”.

E’ una domenica di Gennaio che sa di primavera, che corre. Ci sono 17 gradi in questo angolo colorato che profuma di mare.

La Campania sorprende sempre.

Roma, a presto.

Con questi ultimi ricordi si chiude il breve viaggio a Roma.      Nelle gambe abbiamo ancora gran voglia di andare, di vedere, perchè la grande sfida non è solo accumulare ricordi, ma vedere, vivere.

Per quest’ultimo giorno ci siamo rivervati la visita ad un palazzo antico, ingrigito dallo smog della città, ma ancora sontuoso: palazzo Doria Pamphilj, di proprietà della nobile famiglia che ha fatto la storia di Roma. La casata annovera un papa, Innocenzo X, dal quale ebbe origine la collezione ospitata ancora all’interno del palazzo. E’ lo stesso erede Jonathan Doria Pamphilj, ha raccontarci la storia della famiglia attraverso l’audio guida. Il pontefice Innocenzo X nominò nel 1644 suo nipote Camillo cardinale, lui però disattendendo la volontà dello zio, rinunciò alla propria carica cardinalizia per sposare Olimpia Aldobrandini. Olimpia portò in dote il palazzo e una grande collezione di dipinti e sculture, che affluirono in quella che oggi è nota come la collezione Doria Pamphilj.

L’impressione entrando è di grandiosità e magnificenza.         La collezione racconta il raffinato gusto delle famiglie Pamphilj e Aldobrandini, che nei secoli non si fecero mai mancare opere dei più grandi artisti, da Caravaggio a Guido Reni, da Raffaello ad Annibale Carracci, Carlo Saraceni e Velazquez.

Il capolavoro di Velazquez ci attende in una piccolissima sala blu, affiancato al busto realizzato da Gian Lorenzo Bernini. Impossibile non rimanere sopraffatti dell’intensità dello sguardo di Innocenzo X, che sembra ci osservi da dentro il dipinto.

Da Palazzo Doria ci siamo diretti verso Piazza Navona, arredata in questo periodo da bancarelle, luci, pallocini e dall’iconica giostra. La Piazza è una delle più caratteristiche di Roma, costruita dalla famiglia Pamphili, simbolo della Roma barocca.

Interamente rivestita di sampietrini ha un obelisco e tre fontane, la Fontana del Moro, la Fontana del Nettuno e la più nota, la Fontana dei Quattro Fiumi opera del Bernini.    

Non poteva mancare la mostra “Emotion” d’arte, presso il Chiostro del Bramante, un percorso espositivo dedicato ai sentimenti, in cui stupirsi, commuoversi, gioire, ma anche provare imbarazzo, paura e nostalgia.

In una stanza l’unico arredo era un materasso, con quali e quante parole può essere identificato? Per me è OFF, fermarsi, restare in silenzio, non aver fretta, anche se quella fretta io ce l’ho addosso e fa parte di me da sempre. Ma è stato comunque un bagliore che induce a riflettere.

La struttura, progettata dal Bramante, al suo interno ospita anche una sala decorata su tutte le pareti, soffitto compreso, con la coloratissima opera “Love Trap!” degli artisti Fallen Fruit. La sala si chiama “stanza delle Sibille” per via di una finistrella che affaccia proprio sull’opera affrescata di Raffaello, “Sibille e Angeli”, situata nell’adiacente Chiesa di Santa Maria della Pace.

Al tramonto decidiamo di attraversare il ponte più scenografico della città, con tutte le statue che, a destra e a sinistra, accompagnano lo sguardo di chi raggiunge Castel Sant’Angelo. Sono trascorsi quasi duemila anni dalla costruzione nel 123 d.C. del mausoleo funebre fatto erigere dall’imperatore Publio Elio Traiano Adriano, per sè e per la sua famiglia.

Durante questi diciannove secoli di storia questo monumento romano ha subito molte modifiche strutturali e cambiamenti d’utilizzo, da sepolcro imperiale a castello fortificato, da palazzo rinascimentale, residenza papale, a oscura prigione, giungendo infine ai giorni nostri in veste di museo.

Il nome di Castellum Sancti Angeli  fu dato al monumento nel IX secolo per la diffusione in quell’epoca della leggendaria apparizione avvenuta nel VI secolo, dell’Arcangelo Michele che rifoderò la sua spada fiammeggiante mentre era in corso una processione religiosa di tre giorni, per chiedere la fine di un’epidemia di peste che devastava la città.
Venne anche collocata sulla sommità del castello una statua in legno dell’Arcangelo Michele, che nei secoli è stata sostituita da altri esemplari.

E’ già sera e i nostri bagagli sono pronti per il treno delle 17 del giorno dopo. Avevamo ancora tempo da dedicarci.              Così abbiamo deciso la mattina seguente di andare a Villa Borghese, un parco nel cuore di Roma che nasce nel 1600 come villa di proprietà della famiglia Borghese per poi allargatasi nel tempo con nuovi possedimenti. Nel 1901 venne acquistata dallo Stato Italiano e due anni dopo ceduta al Comune di Roma. Siamo arrivate al laghetto, dove sorge un piccolo tempio dedicato ad Esculapio, siamo saliti, su una barchetta a remi e ci siamo immersi tra cigni, papere e simpaticissime tartarughe, in un turbineo di risate.

Da non perdere il panorama offerto dalla Terrazza del Pincio, che si affaccia direttamente su Piazza del Popolo.              

Un viaggio di tre giorni che, con questa scrittura e questi scatti, si è già trasformato in uno splendido ricordo.