Pentedattilo: alla ricerca della felicità.

Capita di scoprire con gli anni che la felicità non è qualcosa che si trova, che non ha niente di dovuto, che è a tutti gli effetti qualcosa che si crea. E’ un concetto semplice che tendiamo a dimenticare perchè non siamo “allenati” a gestirla, a maneggiarla e a contenerla.

Vi raccontiamo il nostro viaggio in Calabria, tre giorni in cui siamo stati travolti da un’immensa fortuna, abbiamo conosciuto i custodi di un tempo, quello lento che governa le giornate, le conversazioni ed elogia la semplicità.

Tutto parte da un video-documentario sulla storia di Rossella, unica abitante di un paese, Pentedattilo, sconosciuto persino ad alcuni calabresi. Inizia la mia ricerca sul borgo, che si trova a pochi km da Reggio Calabria. Ad avvolgerlo un’imponente montagna rocciosa a forma di cinque dita, da cui deriva il suo nome. Le case sono perfettamente incastonate tra le rocce e custodiscono la memoria del borgo e le leggende che vi ruotano attorno.

Per secoli teatro di violente lotte feudali e devastanti terremoti, questo piccolo centro negli anni Settanta fu dichiarato inagibile e i suoi abitanti si trasferirono poco più a valle. Da allora è un “borgo fantasma”, raggiungibile a piedi da una stretta stradina di pietra che si snoda lungo il costone di roccia, tra pale di fichi d’India e cespugli di macchia mediterranea. 

Chi arriva qui, fa una passeggiata veloce, scatta due foto, compra una calamita e poi va via. Ma c’è molto di più, basta semplicemente stare in silenzio e questo vi parlerà.

Entrando nel borgo si incontra subito la bottega artigiana di Giorgio e di sua moglie e mentre ci perdiamo nel loro mondo colorato Giorgio ci racconta storie, leggende del paese ma anche della sua vita, dei suoi ruoli come attore.

A Pentedattilo non ci sono ristoranti, trattorie o cose simili, ma esistono luoghi genuini che profumano e sussurrano.

Abbiamo finalmente incontrato Rossella, e siamo stati suoi ospiti su una terrazza affacciata nel blu. Quello che è successo nelle due ore successive, per noi è stato semplicemente un privilegio: pranzare all’aperto, con una coppia di Cuneo (lei originaria di Reggio Calabria), gustare prodotti genuini, tutto in ascolto delle storie di ognuno, in totale condivisione.

E poi Rossella, la custode più preziosa di Pentedattilo. La sua storia è una di quelle storie raccontate nei documentari, perchè quando negli anni ’80 Rossella ha deciso di lasciare Viterbo e trasferirsi in Calabria, in questo borgo sperduto e disabitato, poteva sembrare davvero da pazzi. Per lei no, per Rossella tutto è avvenuto in modo naturale. E da allora non l’ha più lasciato, restituendo al borgo di Pentedattilo un’anima. Lo ha fatto lei, lo ha fatto chi ha aperto le botteghe artigiane, chi ha iniziato a fare ospitalità diffusa.

Ci racconta che all’inizio erano in tre nel paese e le campagne erano rigogliose e incontaminate. Ogni mattina camminava costeggiando le fiumare in cerca di erbe officinali. Le abbondanti piogge invernali e primaverili consentivano di irrigare i campi e abbeverare gli animali anche d’estate. Si addormentava cullata dal canto della fiumara, mentre l’acqua scorreva incessante. Ma in questi ultimi due anni il territorio si sta desertificando e nella stagione secca il piccolo orto di Rossella va avanti a fatica, pur garantendole la sussistenza.

Dopo il pranzo abbiamo raggiunto Maka, un ragazzo maliano che aiuta Rossella nel lavoro dei campi e nell’accudimento delle sue venti capre. La luce del tramonto è divenuta irresistibile, come tutto il paesaggio circostante.

Rossella nella sua scelta di vita ha trovato la propria “capacità” di creare felicità ed essere stati suoi ospiti è stato veramente un dono, che non dimenticheremo.

Vedi Napoli e poi muori!

Napoli è verace, chiassosa, allegra, aperta, piena zeppa di genti, contradittoria, ma con un patrimonio culturale pazzesco. Abbiamo adorato sin da subito questa città e appena possiamo torniamo ammaliati dalla sua atmosfera.

Dopo una breve passeggiata, partiamo alla scoperta dei Quartieri Spagnoli, la zona a più alta densità abitativa della città. Durante il periodo della dominazione spagnola (parliamo del 1500) le truppe militari si stabilirono sulla collina che oggi ospita i Quartieri. La posizione era ideale, in primis perché vicina al Palazzo Reale, e poi perché, grazie alla pendenza della collina, i soldati riuscivano a sedare le rivolte popolari facendo colare olio bollente sulle strade.

Saliamo per via Toledo, la via in cui passeggiavano i signori spagnoli, oggi rinomato luogo dello shopping, che attrae sia napoletani che i turisti. La strada riflette le diverse identità di Napoli, essendo storiamente un punto di incontro tra quartieri popolari e zone nobili. Infatti mentre i signori passeggiavano su Via Toledo, i militari nei Quartieri Spagnoli passavano il loro tempo libero tra prostitute e gioco d’azzardo.

Alla fine del 1800, con l’arrivo del colera, Napoli venne ricostruita e gli edifici storici vennero sostituiti da quelli nuovi, sempre più alti, che portarono il quartiere all’espansione, sino alla collina del Vomero, inglobando giardini e conventi.

Tutto il quartiere è un mercato continuo, un susseguirsi di viuzze dal fascino decadente in cui la luce filtra con parsimonia tra i palazzoni che sfoggiano con orgoglio i panni stesi sui balconi. Vi sono botteghe di frutta, verdura, di generi coloniali, di salami e di formaggi, tutto in strada, al sole, alle nuvole e alla pioggia.

In questo luogo ti guida il profumo del cibo. Difficile scegliere dove fermarsi. Entriamo in un alimentare. Prima di noi un ragazzo compra una scamorza, “ vai vai, domani me li dai, non ti preoccupa’”. Nicole trova quel comportamento alquanto strano. Come fa ad essere sicuro che tornerà a pagare quella scamorza? Beh, ci sono ancora paesi in cui la parola è ancora importante, le spiego.

Scendiamo sino al mercato della Pignasecca, che prende il nome da una leggenda, secondo cui in questa zona c’era un fitto bosco di pini abitato da gazze ladre. Un giorno una gazza rubò l’anello al vescovo di Napoli, che era venuto nel bosco per ricongiungersi di nascosto con la sua perpetua. Il vescovo, per vendetta, scomunicò tutte le gazze. Dopo pochi giorni la pineta seccò e le gazze volarono via, lasciando quel luogo divenuto ormai arido e quindi conosciuto come “la Pignasecca”.

Raggiungiamo Via Vetriera, dove si trova l’antica fabbrica di cioccolato, “Gay Odin”. E’ la maestra di Giada che ci consiglia di gustare la foresta nera, che dopo un centinaio di anni continua ad essere il pezzo forte di questa storica ciccolateria.

Il lungomare di Napoli è il luogo ideale per questa prelibatezza. Una passeggiata da togliere il fiato: il sole che si riflette sull’acqua, il Vesuvio sullo sfondo, il profilo dell‘isola di Capri in lontananza.

Con un biglietto da € 1,30 saliamo su una terrazza panoramica. Si tratta dell’ascensore Monte Elia. Per scoprire una nuova Napoli, quella che non ti raccontano nelle guide turistiche.

Al calar del sole la città si tinge di una luce color senape, mentre il cielo inizia a mutare, tingendosi di sfumature color albicocca.

Vedi Napoli e poi muori!. Un detto che tuttora si perde tra gli scorci particolari e meravigliosi di Napoli, che spiega le emozione travolgenti che questa città è in grado di innescare.

Non hai bisogno di nient’altro.

Pompei.

Complice uno spettacolo al teatro Verdi di Salerno, abbiamo deciso di tornare in Campania per due giorni.

Siamo arrivati di prima mattina a Pompei e abbiamo atteso che si formasse un gruppo di 10 persone per cominciare la nostra visita guidata. Impossibile visitare l’intero insediamento in poche ore, per cui si cerca di focalizzare l’attenzione su alcuni siti precisi.

Pompei è una delle destinazioni italiane più conosciute al mondo. Il suo Parco Archeologico, dal 1997 patrimonio Unesco, è una meta imprescindibile per chi vuole scoprire la maestosità e la ricchezza di una tipica città romana.

I primi insediamenti risalgono infatti all’età del Ferro. Da subito, Pompei s’impone come un importante polo commerciale del Mediterraneo, dotandosi in poco tempo di un sistema di fortificazioni, palazzi, templi e strutture pubbliche. L’epoca romana fu quella che consacrò Pompei come “residenza di villeggiatura” per i nobili patrizi.

Il 24 agosto del 79 d.C. Pompei venne completamente distrutta da un’eruzione lavica. La città fu completamente seppellita sotto uno strato di 3 metri di cenere e lapilli, una catastrofe di proporzioni gigantesche che colpì anche le aree circostanti come Ercolano.

Cercheremo di descrivere alcuni dei siti del parco visitati, in questa occasione:

1. Casa Ceii: particolari scene di caccia con animali selvatici sono dipinte sulla parete di fondo del giardino, oltre alla presenza di paesaggi egittizzanti con pigmei ed animali del Delta del Nilo.

Riproduzioni che suggeriscono il forte legame del proprietario della domus con il mondo egizio e con il culto di Iside particolarmente diffuso negli ultimi anni di vita di Pompei.

All’interno sono riproposti parte degli allestimenti originari della dimora, con la risistemazione del tavolo in marmo e della vera di pozzo nell’atrio, in cui sono visibili i calchi di un armadio e della porta di ingresso.

Grandi spazi verdi, un lussuoso quartiere termale privato e vivide decorazioni, ci attendevano anche nel complesso dei Praedia di Giulia Felice.

2. Casa del Menandro: più che una casa è una enorme villa, di quasi 1800 m². La cosa inusuale è che il corpo centrale è stato costruito a un livello superiore rispetto a quello del cortile con il forno e i sotterranei e a quello dell’ergastulum, il quartiere riservato ai servi.

In un corridoio sotto il piccolo atrio della casa, nel 1930, gli archeologi addetti agli scavi rinvennero un tesoro straordinariamente ricco, per l’epoca archeologica a cui i beni si riferiscono, per i materiali di pregio con cui furono eseguiti, cioè oro e argento e per le capacità artistiche dei romani particolarmente in quel periodo. Il tesoro, per un totale di 84 kg, tra vasellame, oltre gioielli e monete, è conservato presso il Museo Nazionale Archeologico di Napoli.

3. Il Foro: è senza dubbio nel cuore pulsante della città. Gli antichi abitanti si recavano qui per accedere agli edifici principali della città e per partecipare alle manifestazioni religiose.

4. Le lupanare. Pompei è conosciuta anche come la città del vizio. Infatti, i pompeiani non presentavano problemi a ostentare le loro passioni e spesso le case erano dotate di stanze segrete dove le schiave esaudivano i desideri dei ricchi romani. L’edificio più conosciuto era il Lupanare: un edificio di due piani, ciascuno con 5 celle, ognuna fornita di un giaciglio di pietra su cui venivano sistemati dei materassi. La cosa curiosa è che il percorso per la struttura era indicato nelle vie della città da segnali a forma di fallo.

5. Villa dei Misteri: collocata in un’area più esterna del sito, si trova una delle ville patrizie più famose del posto, probabilmente la dimora di Livia, moglie dell’Imperatore Augusto.

Nella stanza del Triclinio, figure a grandezza naturale sono impegnate nei preparativi di un rito, ancora poco chiaro. Alcuni sostengono si tratti di un rito dionisiaco, altri semplicemente di un matrimonio. La Villa include anche una struttura termale e stanze suddivise per ambienti di servizio e residenziali.

6. Calchi: una delle testimonianze più eclatanti di tutto il sito archeologico, sono i 13 corpi rinvenuti ( per la precisione calchi in gesso) che cercavano di salvarsi dalla terribile eruzione del Vesuvio. Una testimonia drammata degli ultimi attimi di vita degli abitanti di Pompei.

I corpi sono rimasti sepolti in 9 metri di cenere per oltre 1900 anni! Nel 1863 il direttore degli Scavi, venne avvertito dagli operai che avevano incontrato una cavità, in fondo alla quale si scorgevano delle ossa. Ordinò che si arrestasse il lavoro, fece stemperare del gesso, che venne versato in quella cavità. Grazie alla tecnica utilizzata è stato possibile ricreare quel corpo all’interno della cavità e vedere le espressioni angosciate e addolorate di uomini, donne e bambini. Con questi calchi Pompei rivive la tragedia, un fermo immagine degli ultimi momenti di vita di un’intera popolazione.

Pompei non smette mai di sorprendere. Ogni anno, nuove scoperte aggiungono un tassello al mosaico della conoscenza ed è sempre affascinante ritornare. Dopo tutto si tratta della nostra storia 🙂

50 sfumature di verde: laghi di Monticchio.

Immagina di passeggiare nella natura e che questa, silente e placida, si rispecchi nel lago. Immagina che il lago sia la bocca di un antico vulcano spento. Immagina poi pioppi, cerri, faggi e roveri alti, dai tronchi enormi sotto i quali ti senti piccolissimo. Immagina una abbazia eretta su una grotta e foglie scricchiolanti sotto le scarpe.

Non serve immaginare se sei ai laghi di Monticchio.

Così una domenica di ottobre decidiamo di raggiungere L’Abbazia di San Michele, situata sul Monte Vulture.

L’antichissimo culto dell’Arcangelo Michele fu importato in Italia meridionale dai Longobardi che, spintisi fin qui, fondarono i principati di Benevento e di Salerno erigendo in questo territorio numerose chiese consacrate alla devozione del Santo. La grotta naturale, a picco sul lago, fu consacrata a luogo di culto dato che, secondo la tradizione, qui l’Arcangelo Michele apparve più volte alle popolazioni. Anni dopo, nella grotta dell’Arcangelo iniziarono a riunirsi prima i Monaci Basiliani, in fuga dalla dottrina della Chiesa Bizantina, poi i Benedettini, per frenare l’espansione della chiesa ortodossa. Questi ultimi fecero edificare l’abbazia, abbandonandola poi nel 1456. Ci fu un tempo, dunque, in cui a Monticchio convivevano, due ordini di fede, molto diversi per riti e principi dogmatici. Solo dopo l’affermazione politica e militare dei Normanni, i Basiliani abbandonarono gradualmente il Vulture e e l’Abbazia passò ai Cappuccini, che fondarono una biblioteca e un lanificio.

Oggi, il complesso abbaziale si articola su più piani, con la chiesa settecentesca e l’antichissima cappella di S. Michele, appoggiata al suolo roccioso della primitiva grotta, in cui vi sono numerosi affreschi di epoca bizantina e medievale. All’Abbazia si accede percorrendo un sentiero petroso immerso nella foresta di faggi e lecci e dalle sue finestre si gode di un bellissimo panorama sui laghi sottostanti.

Intorno ai laghi vi sono numerosi sentieri. Noi avendo poco tempo a disposizione abbiamo percorso quello attiguo all’Abbazia, che in 20 minuti porta al belvedere.

La vista che si gode a questa altezza non è priva di inconvenienti per chi soffre di vertigini, ma è ad ogni modo incantevole. Così abbiamo steso una tovaglia e ci siamo rilassati in un dolce picnic.

Il sentiero non è molto tracciato, infatti c’è stato un attimo in cui abbiamo messo in dubbio la possibilità di avanzare, per alcuni tronchi caduti di recente che ostacolavano la salita. Il terreno inoltre non è molto compatto, per cui nella discesa questo spesso franava un pò, sotto i nostri passi. Ma niente di preoccupante. Arrivati nuovamente all’Abbazia abbiamo intrapreso il percorso naturalistico che porta giù al lago piccolo.

I Laghi di Monticchio sono parte di una Riserva Regionale della Basilicata, una zona naturalistica molto piacevole da visitare. Si tratta di due laghi, sorti occupando l’area di due antichi crateri di quello che un tempo era un vulcano, circondati da una natura verdeggiante ed incontaminata.

Per godere dell’oasi di pace abbiamo noleggiato un pedalò dalla banchina del Lago Piccolo e siamo rimasti sospesi in quelle acque dalle 50 sfumature di verde.

Il tempo sembra fermarsi ❤️.

L’Abbazia si vede in tutto il suo splendore, aggrappata alla parete della montagna, bianca, imponente, elegante, incastonata nella parete del monte, che sovrasta i laghi, e in questi si riflette giocando con le nuvole.

Una bellissima passeggiata autunnale che consiglio a tutti.

Prima del rientro non poteva mancare una visita al Castello di Melfi, che al suo interno ospita l’interessantissimo Museo Archeologico Nazionale.

La Basilicata fu una terra che Federico II apprezzò molto e in cui soggiornava spesso per le sue amate battute di caccia. Il Castello di Melfi, sebbene sia stato costruito dai suoi predecessori normanni, divenne fulcro dell’attività amministrativa del suo regno, per poi diventare dei Doria fino al 1950 e poi di proprietà dello stato italiano.
La struttura ha una unica entrata agibile con un ponte che dà sul vasto fossato. Una volta ammirata la maestosità del castello si può accedere al museo, con un ticket di 2,50 euro. Le sale del museo custodiscono numerosi reperti archeologici ritrovati nella zona del Vulture, in particolare corredi funerari di guerrieri e nobili. Lasciano davvero a bocca aperta, sia per lo sfarzo che regnava all’epoca tra le genti nobili, sia per l’importanza che si dava alla fase della sepoltura. Insomma una full immersion culturale nella splendida cornice del Castello di Melfi che vi emozionerà sicuramente.
La Basilicata è anche questo

Francavilla Fontana.

Secondo la leggenda, nel 1310, mentre il principe di Taranto Filippo d’Angiò guidarva una battuta di caccia, un uomo al suo seguito adocchiò un cervo intento ad abbeverarsi ad una fonte. Quando costui mirò con l’arco e scoccò la freccia, il cervo cambiò rotta scagliandosi contro. Incredulo, chiamò il principe e scoprirono, nascosta in un cespuglio, un’effige della Vergine con il bambino fra le braccia. L’avvenimento portò alla creazione di una piccola chiesetta per il culto della Vergine, oggi la Chiesa Madre.

Per favorire il popolamento della zona circostante, Filippo I dichiarò permesso di franchigia, da cui nacque il nome Villa Franca.

Tra cupole, palazzi storici e graziose piazze è veramente piacevole vagabondare nel centro storico di Francavilla Fontana e ritrovarsi all’interno del Castello imperiale.

Quello che ammiriamo oggi è frutto di numerosi rimaneggiamenti avvenuti nel corso dei secoli: il risultato è un palazzo metà fortezza e metà dimora gentilizia, circondato da maestose mura. La famiglia degli Imperiali, principi illuminati e mecenati molto conosciuti, rese la cittadina un importante centro e luogo d’incontro di culture e di arti.

Dall’atrio si acceda ad un’antica cappella di Santa Maria delle Grazie, dove si possono ammirare affreshi, ritornati alla luce dopo un lavoro di scrostamento da vecchi intonaci presenti sulle pareti e sul soffitto.

Dal maestoso portone entriamo e saliamo lungo la scalinata che porta al piano superiore dove è possibile ammirare il loggiato di stile barocco, ricamato con i motivi che raffigurano foglioline, rami di palma, grappoli d’uva, rosette e vitigni che si avvolgono sinuosamente.

I vani del piano nobile si dispongono intorno all’ambiente più importante di tutto l’edificio: la sala del camino, con una sontuosa volta coperta interamente da un affresco. Al centro il dio Apollo guida un carro alato tirato da quattro cavalli e un guppo di splendide Muse che danzano.

Il portone aperto di un palazzo storico, risalente al ‘700, ci invita ad entrare: è la sede di uno storico circolo. All’interno, il presidente ed un socio ci raccontano i fasti del palazzo, le vetrate che si aprivano per i balli, i giochi d’azzardo che allietavano le loro serate. Un circolo forse destinato a scomparire perché non si è modernizzato, ma che ha conservato i drappi, la luce, il calore di un tempo.

La graziosa cittadina, con un centro storico riqualificato, ha una bella zona pedonale, ricca di negozi alla moda e di pasticcerie, da cui escono vassoi danzanti per il pranzo della domenica e la mente torna ad un tempo in cui ogni nostra domenica era coccolata dai pasticcini di Verna.

Con il naso all’insù, mi lascio sorprendere dai baconi finemente decorati dei palazzi, dai portoni, dalle vecchie insegne che ancora campeggiano qua e là. Direi che avere il naso all’insù è uno status mentale e fisico che mi accompagna sempre 🙂

Il pittore errante: Marc Chagall.

Domenica pomeriggio, decidiamo di scoprire la mostra di Chagall, presso il Castello Conti Acquaviva D’Aragona di Conversano, che da mesi richiama gente da tutta la provincia e nonostante fossero solo le 17 del pomeriggio, c’era già coda all’ingresso.

La mostra rappresenta una straordinaria opportunità per ammirare oltre 100 opere tra dipinti, disegni, acquerelli e incisioni dell’artista. L’Amore è il fil rouge che unisce tutta la produzione di Chagall: amore per la religione, per la patria, per la moglie, per il mondo delle favole, per l’arte. La mostra, dal forte impatto emotivo, racconta un mondo intriso di stupore e meraviglia.

Nelle opere coesistono ricordi d’infanzia, fiabe, poesia, religione ed esodo, un universo di sogni dai colori vivaci, di sfumature intense che danno vita a paesaggi popolati da personaggi, reali o immaginari. Difficile discernere il confine tra realtà e sogno.        

Chagall utilizzava il disegno e colori come fossero un alfabeto per comunicare e raccontare: emozioni, affetti, sogni, paure, spesso con più vignette nella stessa scena.
Personalmente ho scoperto aspetti dell’artista che non conoscevo, ma ritengo che gli spazi dedicati siano insufficienti rispetto all’affluenza e alle opere esposte, componenti che mettevano a dura prova l’attenzione, nonostante avessimo l’audioguida.

All’uscita della mostra, un’ampia scelta di pubblicazioni e riproduzioni permette ai visitatori interessati di conoscere anche le opere del pittore non esposte.

Noi abbiamo portato a casa il nostro “bottino”😊.

Oria, tra fascino e mistero

Il borgo di Oria è un insieme di stradine tortuose che tra scalinate, passaggi pedonali, colonne romane, mura medioevali e chiese rinascimentali lo rendono un piccolo gioiello dell’entroterra pugliese, ricco di mistero e fascino. Siamo giunti a Piazza Manfredi, punto nevralgico della città, dove oggi come in passato la gente è solita incontrarsi e scambiare due chiacchiere. La piazza si presenta come un corridoio che si allarga in corrispondenza del palazzo del Sedile, dove ci attendeva la Pro Loco.

Il tour “Oria Sotterranea” ci ha rivelato un borgo ricco di storia, racchiuso da un alone di mistero.

Siamo nel medioevo e a causa dei ripetuti crolli, il progetto per edificare il castello si arrestava continuamente. Si diffuse la voce che la città fosse stata colpita da una maledizione, così su consiglio di alcuni veggenti, si decise di sacrificare una bambina innocente e di spargere il sangue lungo il perimetro del castello. La madre disperata per la morte della sua bambina lanciò un monito contro la città: “Possa tu fumare Oria, come fuma il mio cuore esasperato“. Da questa leggenda l’appellattivo di “Oria fumosa”.

Dal Palazzo del Sedile raggiungiamo la Chiesa di S. Antonio da Padova, che custodisce alla suo interno la cripta di San Mauro, visibili sulle pareti ancora gli affreschi, centralmente San Mauro, a destra la Madonna del Melograno.

Lungo le pareti sono pesenti vani verticali, probabilmente preposti ad accogliere i defunti.

Rientriamo attraverso una delle porte della città e giungiamo alla Chiesa di S. Maria dell’Assunta, costruita in stile barocco su una precedente struttura romanica. Questa splendida chiesa cattura lo sguardo fin dal primo istante con la sua imponente cupola, le sue mattonelle policrome e il lanternino a bulbo arabo che aggiungono un tocco di eleganza e raffinatezza al profilo architettonico dell’edifico.

Sotto le sue fondamenta, si cela una sorpresa: la Cripta delle Mummie. Unico nel suo genere non solo in terra salentina, ma al mondo. La cripta delle Mummie è il solo caso in cui ad avere l’onore di essere mummificati sono stati dei laici.

La storia inizia quando Otranto viene invasa dai turchi ed Oria corre in soccorso e come onorificenza a chi tornava vivo veniva concessa la mummificazione.

Il progetto aveva lo scopo di dar loro riconoscenza eterna. Tuttavia, nel 1806, Napoleone Bonaparte emise un editto con il quale vietava le sepolture nelle chiese e le imbalsamazioni. Gli studi sulle mummie però hanno rivelato che tra quelle giunte fino ai giorni nostri, soltanto una è antecedente l’editto, mentre le altre sono tutte riconducibili al periodo successivo, fino al 1858. Prova che ad Oria si continuò clandestinamente la pratica della mummificazione. Il salone in cui si trovano le mummie presenta una volta a botte ed il pavimento in terra battuta sul quale sono poste tre botole che permettono l’accesso ai cunicoli sotterranei allestiti per l’inumazione e conducenti fino alla Torre Palomba. Sopra le nicchie contenenti i corpi degli ultimi confratelli mummificati, vi è una struttura sulla quale sono poggiati i teschi di coloro che sono morti da più tempo.

Ultima tappa di questo tour, Palazzo Martini, situato nel cuore del centro storico di Oria. Il palazzo ospita reperti storic che coprono un arco temporale compreso tra l’età arcaica e quella imperiale romana ed offrono la possibilità di cogliere aspetti significativi della realtà socioculturale delle popolazioni messapiche in relazione al culto dei morti e alle usanze funerarie.

Gli scavi archeologici hanno portato alla luce migliaia di reperti, identificati come offerte votive che riconducono al culto di Demetra e Persefone, in una grotta che si trova sul Monte Papalucio, poco distante dalla città. Echi di antichi culti di guarigione – la papagna” e “lu ‘nfascinu”- che echeggiano ancora nella tradizione contadina.

Un borgo da non perdere assolutamente! Noi ci siamo state in primavera, con il naso all’insù tra il blu e le nuvole che correvano veloci.

Nel Gotico a due passi dal cielo e dal mare.

L’ultimo giorno a Barcellona ci lasciamo scivolare dolcemente tra le strade del Gotico. I ricordi sono tantissimi, ogni angolo, ogni albero del quartiere avrebbe da raccontare la propria storia.

Iniziamo dalla Rambla. Un’ampia via pedonale costellata di negozi, di bancarelle di fiori colorati e artisti di strada.  Uno dei punti focali di questa strada è il Mercato de La Boqueria, un mercato alimentare coperto che offre una vasta gamma di prelibatezze, corridoi colorati, profumi irresistibili di frutta, verdura, carne, pesce e dolci tradizionali.

Dalla Rambla ci siamo addentrati nel quartiere Gótico, un luogo intriso di storia e fascino, caratterizzato da strade lastricate strette e tortuose, edifici medievali imponenti e angoli pittoreschi che ti trasportano indietro nel tempo.

Passando per la necropoli romana e attraversando la via del cioccolato, siamo arrivati in Plaça del Pi, dove si trova la Basilica di Santa Maria del Pi, costruita in stile gotico-catalano.                         Secondo la tradizione, il nome della basilica deriva dal ritrovamento dell’immagine della Vergine dentro un tronco di pino e sempre per lo stesso motivo venne piantato un albero di pino proprio davanti la porta della chiesa.

Nella chiesa del PI si trovano El Gegantes, giganti della tradizione, ancora utilizzati negli eventi religiosi, seppur in una versione più leggera da sostenere durante la processione.

Proseguendo la nostra passeggiata ci siamo recati alla Cattedrale di Barcellona, dedicata a Santa Eulalia, patrona della citta’.               Durante il dominio romano, l’imperatore Diocleziano ordinò la persecuzione di tutti i cristiani, la piccola Eulalia osò sfidare il console romano e venne condannata a subire 13 torture, tante quanti gli anni che aveva.  

La cattedrale è di stile gotico, costruita a sua volta sopra un’antica chiesa di stile romanico. Ma la facciata è posteriore e risale addirittura al diciannovesimo secolo, quando fu indetto un concorso per la sua realizzazione, al quale parteciparono vari architetti.

L’edificio è famoso per il suo chiostro risalente al ‘300, in cui vivono tredici oche, ognuna rappresenta un anno di vita della martire Santa Eulalia.

Dinanzi alla Cattedrale, la scritta Barcino  e le due torri romane, ci ricordano il passato romano della città e lungo un lato della Cattedrale si trova “uno dei luoghi più fotografati” del Barrio Gotico: il Pont del Bisbe.

Il ponte in realtà non e’ antico,  risale al 1928, il suo stile è ispirato al gotico fiammingo e veniva utilizzato dalle personalità della politica per passare da un edificio all’altro. Una leggenda narra che basta camminare in senso contrario ed esprimere un desiderio guardando negli occhi il teschio presente sotto il ponte per farlo avverare.

A poca distanza dalla cattedrale un’altro luogo ormai iconico della citta’: il murales del bacio. Si tratta di un grande fotomosaico realizzato nel 2014 per commemorare la caduta della città durante la guerra di seccessione spagnola. Il giornale spagnolo chiese ai propri lettori di inviare fotografie che ricordassero momenti di libertà. Da lontano si vedono due labbra che si baciano, ma avvicinandosi si scopre che ci sono 4.000 piastrelle, ognuna di esse immortala la felicità fatta di momenti quotidiani.

Ci siamo diretti verso Casa de l’Ardiaca, un edificio gotico vicino alla Cattedrale dove vivevano gli arcidiaconi, un’ordine ecclesiastico ora scomparso. Negli anni l’edificio ha avuto molteplici usi e nel 1902 un architetto fu incaricato di abbellire l’edificio. Ogni elemento decorativo ha un suo significato particolare: lo scudo, le rondini, latartaruga e l’edera. Una curiosa allegoria della giustizia: la giustizia cerca di volare alto come le rondini ma gli impedimenti burocratici (l’edera) la rendono lenta come una tartaruga.

Una delle ultime tappe nel quartiere è stata la piazza che ospita la Chiesa di San Filippo Neri. E’ una piazza veramente speciale, per la tranquillità che si respira e per la storia che nasconde.

Una fontana al centro, una chiesa sullo sfondo, due case e un bar sono tutti gli elementi che la compongono. Sulla facciata della Chiesa, che da’ il nome alla Piazza, sono ancora visibili i segni del bombardamento aereo del 30 gennaio del 1938 da parte dell’aviazione italiana fascista, alleata di Franco.

La figura di Gaudì è strettamente legata a questa Chiesa. L’architetto si recava tutti i pomeriggi per pregare e fu proprio in quel frangente che, il 7 giugno 1926, venne investito e morì. I passanti lo scambiarono per un barbone e non lo soccorsero. All’interno della chiesa ci sono due dipinti realizzati da un pittore, grande amico di Gaudì. L’artista dovendo dipingere la faccia del santo Filippo Neri chiese al suo amico di posare per lui.

Prima di andar via sono andata a caccia di una terrazza per vedere la città dall’alto. Ormai in molte città gli hotel mettono a disposizione le loro terrazze e noi siamo stati nel quartiere El Raval. Questo quartiere è caratterizzato da una mescolanza di culture e ha subito una trasformaione significativa in questi anni. Qui potrete scoprire una vivace scena artistica e culturale, con gallerie d’arte, negozi vintage, mercati locali e una varietà di ristoranti etnici ed una delle viste panoramiche più speciali della città. Grazie alla forma cilindrica dell’hotel, questa terrazza offre una vista di 360 gradi su tutta la città. L’ingresso è gratuito e non vi obbligo di consumazione.

Il richiamo del mare è come sempre assordante ed è bastato guardarlo dalla terrazza per decidere di andargli incontro. Port Vell è stata una piacevole pausa pranzo e poi abbiamo raggiunto la spiaggia di Barceloneta, famosa per la sabbia dorata e le acque blu cristalline.

Questa spiaggia (e tutte quelle di Barcellona in generale), non esisteva prima del 1992, quando in occasione delle Olimpiadi tantissimi quartieri di Barcellona vennero completamente trasformati. La Barceloneta è uno degli esempi più lampanti di tale trasformazione

Ma nonostante questo aspetto “artificiale” qusto luogo è divenuto un vero simbolo della città, un punto di incontro per i residenti e visitatori di tutto il mondo.

Prima di andar via, non poteva mancare un ballo improvvisato di Nicole, che tratteggia le linee dell’hotel W (hotel Vela), sfondo iconico di questo tratto di spiaggia.

Finisce qui il nostro racconto di questa magnifica città. E’ stato veramente arduo sintetizzare questa città unica nel suo genere e spero di esserci riuscita.

Barcellona: tappe iconiche

Il cielo di Barcellona sfrutta ogni inezia di luce, così che possiamo affondare gli occhi in un cielo blu intenso, sempre.

Sono ritornata per la seconda volta in questa ammaliante città, questa volta in compagnia dei miei figli.

Siamo arrivati alle 17, il tempo di lasciare le valigie e siamo scivolati all’interno della città vecchia, verso il parco della Cittaduella, il cui ingresso è caratterizzato dall’Arco di Trionfo, costruito in occasione dell’Esposizione Universale del 1888 come simbolo di benvenuto. Tra l’arco ed il parco la gente passeggia, ma soprattutto si ferma ad osservare gli artisti che si esibiscono in tutta la loro creativita’.

Con largo anticipo avevamo programmato alcuni ingressi a monumenti storici della città, i cui biglietti spesso vanno sold out. Così il giorno dopo siamo entrati all’interno della straordinaria ed iconica Sagrada Família, il capolavoro incompiuto dell’architetto Antonio Gaudí. Questa basilica unica nel suo genere è uno dei simboli più riconoscibili di Barcellona e rappresenta un esempio straordinario dell’architettura modernista catalana.

L’architettura è intrisa di simbolismo religioso e naturale, con riferimenti alla natura, alla geometria e alla spiritualità. I lavori di completamento continuano ancor oggi, mantenendo viva la visione di Gaudí e rendendo questo monumento una continua evoluzione dell’arte e della creatività umana.

Il percorso della visita alla basilica incomincia ovviamente dalla Facciata della Natività. Una facciata barocca, ricchissima di sculture e simbologie: qui l’elemento dominante è la vitalità, l’allegria, la bellezza.

A differenza delle facciate, traboccanti di storia, l’interno, pur sempre simbolico, è essenziale. La protagonista assoluta è la luce, che filtra tra le colonne, leggermente inclinate, come in un bosco incantato, poiché esse hanno la forma di alberi i cui rami, in alto, come delle possenti mani, sostengono l’intera struttura.

La tonalità dei colori cambia in continuazione, in base alla posizione del sole, dai colori più freddi alla mattina, ai colori accessi, giallo e rosso, alla sera, quando il sole si sposta ad occidente.

Ad occidente si trova la facciata della Passione, a conclusione della vita terrena di Gesù. Le sculture sono volutamente scarne e spigolose e trasmettono una grande sofferenza e tristezza. Non c’è spazio in questa facciata per gli abbellimenti barocchi, per l’allegria.

Subito dopo la Sagrata Familia ci siamo avviati al Palau de la Música Catalana, un gioiello architettonico e culturale situato nel cuore di Barcellona. Questo meraviglioso edificio rappresenta uno dei capolavori dell’architettura modernista catalana e offre una esperienza unica per gli amanti della musica, dell’arte e della bellezza architettonica.

Costruito tra il 1905 e il 1908, il Palau de la Música Catalana è un omaggio all’arte e alla cultura catalana. È stato progettato da Lluís Domènech i Montaner, uno dei principali architetti modernisti della città. Una delle caratteristiche più spettacolari del palazzo è la sua sala da concerto principale. All’interno, un’esplosione di colori e forme, grazie all’uso creativo di vetrate colorate, mosaici e sculture decorative. Il soffitto vetrato a forma di cupola rappresenta un sole splendente, che irradia luce e calore su tutto l’auditorium.

Nel pomeriggio avevamo programmato la visita a Casa Batlló. E’ un vero e proprio viaggio nella mente del visionario architetto catalano che ha disegnato la silhouette di questa città rendendola così unica e sensuale. Non vi aspettate una classica visita, piuttosto un invito ad esplorare l’universo attraverso la luce e il  colore, i protagonisti assoluti di Gaudí.

Spettacolare e senza precedenti la sintesi digitale realizzata dall’artista Refik Anadol per illustrare come il mondo interiore di fantasia e tumulto si sia trasformato in architettura moozzafiato.

E’ impossibile non restare affascinati da questa città dal blu intenso, che avvolge ogni cosa.

E se capiteranno, talvolta, giorni dell’inquietudine, riguarderò queste foto straripanti di blu, riavvolgerò all’infinito i video girati, mi ricorderò dei vostri baci e abbracci.

Con amore mamma.

Il Monastero di Montserrat

Se siete appassionati dei nostri racconti, saprete che amiamo viaggiare nel periodo autunnale o in primavera, dove l’affluenza turistica è minore e si riesce a godere meglio delle bellezze del territorio. Ma ora che le ragazze stanno diventando più grandi, una settimana di assenza durante la scuola media ha un peso diverso e diventa sempre più difficile conciliare i nostri viaggi con la danza ( passione di entrambe le ragazze) ed il recupero delle lezioni scolastiche. Per tale ragione quest’anno abbiamo deciso di conciliare la chiusura scolastica di Pasqua con il viaggio a Barcellona.

Devo ammettere che non siamo stati delusi dalla nostra scelta, Barcellona ci ha accolti con la sua forte presente e personalità. La Pasqua qui è molto sentita e si festeggiata per le strade, avvolti da un’atmosfera carica di emozioni.

Abbiamo dedicato un’intera giornata alla visita del Monastero di Montserrat, un importantissimo sito di pellegrinaggio della Catalogna, incastonato sul fianco di una montagna a circa 700 metri sul livello del mare. Il monastero è circondato da una catena di montagne davvero uniche dalle forme più disparate che sembrano proteggerlo dall’alto.

Da Barcellona abbiamo preso il treno per Aeri de Monserrat, dove si sale a bordo della funivia che in soli 5 minuti vi lascerà a pochi metri dal monastero. L’esperienza in funivia è spettacolare, si arriva quasi a sfiorare la roccia delle montagne, passandoci attraverso.
Ad un certo punto ho pensato che la roccia la prendessimo in pieno! E’ un’esperienza adrenalinica che ovviamente mette a dura prova chi come me soffre di vertigini, ma le cabine della funivia sono sicure e stabili.

L’attesa per salire sulla funivia è stata veramente lunga, 2 ore o poco più. Tantissimi spagnoli accanto a noi, che hanno approfittato della festa per raggiungere il santuario. I motivi per venire qui sono veramente i più diversi: pellegrinaggio trekking natura, ricerca di spiritualità o solo per una gita fuori porta.

Una volta scesi dalla funivia ci siamo presi tutto il tempo necessario per ammirare i dintorni dall’alto e scattare qualche foto. Ho immaginato il monastero coperto totalmente dalla nebbia e dal cielo plumbeo durante l’inverno o immerso nell’oscurità della notte. E mentre scrivo chiudo gli occhi nuovamente e mi lascio trasportare dal ricordo di quel luogo, ricco di mistero.

Il complesso comprende fra le altre cose una splendida basilica, che custodisce la statua della Vergine Moreneta di Montserrat. Secondo la leggenda, la statua in legno della madonna fu ritrovata nell’800 da alcuni bambini che pascolavano il gregge. Si tratta di una delle statue della Madonna Nera più famose nel mondo. Il Vescovo della vicina città di Mausera, venuto a sapere del ritrovamento, organizzò il trasporto della statua (alta non più di 90 cm), ma, a sorpresa, essa rimase immobile. Tale prodigio fu interpretato come segno della volontà della Beata Vergine di rimanere nei pressi del luogo e il vescovo ordinò immediatamente la costruzione del Santuario. Da quel momento prese vita il culto della Vergine di Montserrat.

La destinazione montuosa è attraversata da sentieri escursionistici, da cui si può apprezzare il bellissimo paesaggio circostante, e cercare, la veduta del monastero più spettacolare. Noi però a metà percorso siamo tornati indietro, le gambe non ci sostenevano più.

Ci sono posti che bastano da soli a riempire ore e ore, a farne il punto esatto in cui sei pronto a stare. Ma ciò che rende speciale ogni luogo e ogni momento, è la capacità di rendere ogni luogo quello giusto, ogni momento quello esatto per godersi ogni momento della vita.

Nel prossimo racconto, alcune tappe di Barcellona da non perdere  🙂