La Rabatana

Rabatana è un quartiere di Tursi che deve il suo nome alla presenza dei Saraceni, che si installarono nella città all’incirca nel periodo 850-930 d.C. Il nome deriva infatti dall’arabo rabad, che significa borgo. Situato nella parte più alta dell’abitato, la Rabatana è circondata da valli e burroni, un quartiere silenziosissimo, un luogo di pace che poggia su un costone di timpa.

Facciamo la conoscenza di Salvatore Di Gregorio, che ha acquistato un’abitazione tipica nell’antico borgo. Con cura e pazienza si è dedicato alla pulizia della stessa, dopo anni di abbandono da parte dei tanti eredi, curandone l’anima e riportando alla luce le storie con cui questa casa si è nutrita per decenni.

Ha ritrovato alcuni oggetti: una piccolissima foto di una famiglia patriarcale tra le fessure di una parete; un’antichissima anfora di terracotta, attualmente oggetto di studio, che creano un forte legame con il passato, ancora presente. Conoscitore del territorio tursiano, ma non solo, Salvatore ha rinvenuto anche una serie di botroidi, particolari formazioni geologiche, che si formano per la deposizione di carbonato di calcio in sabbie e sedimenti pliocenici. Questi sassi vengono anche chiamati “pupazzi di pietra”, per la loro assomiglianza a piccole sculture antropomorfe. La casa di Salvatore è un bellissimo luogo dove perdersi, ascoltando i suoi racconti.

Nella parte più antica, oggi disabitata, si trova la chiesa di Santa Maria Maggiore, edificata nel Cinquecento sulla primitiva chiesa, costruita dai monaci basiliani nel IX secolo. La chiesa conserva vere e proprie opere d’arte tra le quali un trittico di fine ‘300 con al centro la Madonna col Bambino in trono, attribuita ad un autore fiorentino della scuola di Giotto. All’interno della cripta, decorata da splendidi affreschi, si può ammirare l’incantevole presepe in pietra scolpito attorno al 1550 dallo scultore Altobello Persio (1507-1593). È il risultato di un accurato lavoro attraverso il quale l’autore ha plasmato la materia per dare forma e colore alla Sacra Famiglia.

Basta allontanarsi un pò dalla Rabatana per imbattesi nel Convento intitolato a San Francesco D’Assisi è appartenuto all’ordine dei frati minori Osservanti. Una Bolla Papale riporta i natali della struttura al 1441, anche se al suo interno è stato ritrovato un affresco che risale al 1377. Il convento prosperò sin dall’inizio, ospitando cattedre di professori e diventando un centro culturale di enorme importanza.

Nel 1807 iniziano i primi sfortunati avvenimenti: un saccheggiamento, un incendio della biblioteca da parte dell’esercito francese di Napoleone Bonaparte e un violento terremoto nel 1857. La proprietà passò al demanio e di qui fino al 1894 divenne un cimitero. Per tutto il secolo successivo è stato oggetto di atti vandalici, a danno dei morti sepolti all’interno della chiesa, oltre che nei suoi pressi. Le ragioni che hanno spinto i responsabili a tali barbarie sono purtroppo solamente ipotizzabili.
Nel 1914 fu chiuso definitivamente ad esclusione della cappella e del campanile che vennero utilizzati fino agli anni ’60, nel giorno della festa di Sant’Antonio, durante la processione del 13 giugno.

Nonostante gli sfortunati eventi, nel 1991, grazie alla sua bellezza storica e architettonica, è stato dichiarato monumento nazionale dal ministro Ferdinando Facchiano, ma la il recupero di questo luogo sempre ancora molto lontano.

Se decidete di passare dalla Rabatana, cercate la bottega di Salvatore, vi parlerà dei segreti di questo luogo, sospeso fra spazio e tempo, custode di una civiltà perduta.


Foliage a Sasso di Castalda.

Sasso di Castalda è meta di tanti turisti che desiderano vivere l’emozione di attraversare uno tra i ponti tibetani più alti e lunghi del mondo. Qui, nell’aprile 2017, proprio a due passi dal centro storico del paese, lì dove si apre il cosiddetto “fosso Arenazzo”, sono stati inaugurati due ponti tibetani di grande effetto scenico: il primo, lungo 95 metri e sospeso ad una altezza di trenta metri circa, il secondo – detto della luna in onore di Rocco Petrone, nato a Sasso di Castalda che lavorò alla Nasa – è lungo 300 metri ed è sospeso a 102 metri di altezza.

La nostra domenica è stata particolarmente fredda, con un fortissimo maestrale pronto ad avvolgerti in una folata, appena lasciavamo la parete di roccia che avevamo a protezione. Il “ponte della Luna” era chiuso, mentre sul ponte più piccolo vi erano alcuni avventurieri, che fluttuavano letteralmente in aria. Intorno a noi il paesaggio meraviglioso della Val d’Agri e sotto di noi 102 metri di vuoto e natura, visibili dalla terrazza sky-walk in vetro.

Sasso di Castalda, piccolo borgo arroccato su una rupe con le sue antiche case di pietra, riserva ben più di una sorpresa, tra i saliscendi delle sue stradine e le sue piazzette, in un’atmosfera d’altri tempi.

Pittoresca la zona della Manca, uno dei quartieri più antichi di Sasso di Castalda dove è ben visibile la stretta connessione tra i suoi edifici e lo strato roccioso su cui poggiano. In questo quartiere che conduce alla Chiesetta della Madonna delle Grazie, una delle aree più suggestive del borgo, viveva la popolazione più povera.

Sulla collina che si erge a poca distanza dal borgo, sorge un‘oasi faunistica dove vivono esemplari di cervi in semilibertà. Un posto bucolico, ma dei cervi nemmeno l’ombra.

A Sasso di Castalda, inoltre, si trova una delle faggete, definita da molti, tra le più belle d’Italia: la faggeta di Costara, ad oltre 1000m di altitudine. Un luogo magico, infuocato dai colori dell’autunno. Gli alberi sono enormi e l’effetto ottico della profondità è impressionante, difficile tradurlo con una fotografia. All’interno dell’area boschiva si erge il faggio di San Michele, il più anziano tra gli alberi secolari. Sono più di 300 anni che è sempre lì, ma nonostante le nostre ricerche, non siamo riusciti a trovarlo. Sicuramente eravamo a pochi passi, volteggiando tutt’ intorno.

Il Sottobosco è veramente pulito e tra le foglie silenziose si percepisce il battito sommesso della vita.

Oriolo e Castroregio.

Nato come fortezza per difendersi dagli attacchi del popolo Saraceno, Oriolo è un piccolo borgo medioevale al confine con la Basilicata ai piedi del Pollino, in provincia di Cosenza. Si trova a 450 metri sul livello del mare e racchiude tra i suoi vicoli storie e piccole bellezze da scoprire: un castello, chiese e vecchi ruderi, oltre che leggende.

Simbolo incontrastato del borgo il suo Castello, che conserva intatta la struttura originaria, caratterizzata da due torri di guardia e il mastio attorno a cui si sviluppa l’intero corpo. Restaurato di recente, il castello è visitabile ed è sede di eventi e mostre presso i diversi ambienti che lo compongono: la Sala dei Banchetti, quella delle Udienze, il Salone delle Bandiere, gli ambienti militari e la preziosa Camera da Letto di Margherita Pignone del Carretto, con la cupola affrescata con un Trionfo di Apollo.

Il centro storico di Oriolo è davvero affascinante, grazie alla sua conservazione impeccabile e alla struttura medievale ancora intatta. Passeggiando si possono ammirare vari palazzi nobiliari e cappelle devozionali, costruite sia da famiglie influenti sia dall’Università del borgo.
Di fronte al castello sorge l’altro riferimento architettonico del borgo medievale, la splendida Chiesa Madre di San Giorgio. L’origine normanna dell’edificio è attestata dalla presenza dei due leoni monumentali posti a guardia dell’ingresso centrale e datati 1264. La chiesa custodisce due importanti reliquie, rispettivamente appartenute a San Giorgio e a San Francesco da Paola.

Il territorio di Oriolo è uno scrigno di sorprese nascoste, che talvolta emergono per caso, come accaduto in occasione di alcuni lavori di manutenzione che hanno riportato alla luce, a 5 m di profondità sotto l’abitato, i resti di un Convento Francescano del 1439. Abbiamo percorso il centro storico con un abitante del posto, tornato in paese con una missione: resituire alla comunità un pò di quello che lui ha ricevuto.

Con lui abbiamo esplorato il centro storico, una serie di antichi e bellissimi palazzi nobiliari ed il Museo della Civiltà Contadina, ascoltando quelle narrazioni orali che vengono tramandate e alle quali spesso si aggiungono particolari o anche stravolgimenti, ma dove si trova, alla fine quasi sempre, un fondo di verità.

Da Oriolo ci siamo spostati in cima a una delle terre più antiche e autentiche della Calabria, qui il tempo non ha fretta e la bellezza si misura con il silenzio. È Castroregio, borgo arbëresh incastonato tra rocce, cielo e vento, dove la storia cammina ancora tra i vicoli e la natura abbraccia ogni cosa. Dal belvedere lo sguardo attraversa vallate, segue le pieghe del terreno, accarezza le cime delle montagne, fino a toccare il blu del Mar Ionio.

Le tradizioni sono vive e lo senti passeggiando, ascoltando i pochi abitanti che convergono nel punto focale del paese.

Uno dei luoghi di maggior interesse è la Chiesa dedicata alla Madonna della Neve, risalente anch’essa al XVII secolo e di stile bizantino. Questa chiesa è una delle più antiche dell’intera Eparchia di Lungro.

Nella Calabria, in qualsiasi posto tu sia, senti il forte legale che c’è tra cielo, terra e mare.

Castello di Monteserico, Irsina e Tricarico. Basilica da amare.

La Basilicata è una delle regioni che amiamo, tutta da scoprire, terra di bellissimi paesaggi naturali, dove le tradizioni popolari regnano incontrastate.

Arrivare al castello 🏰 di Monteserico non è stato semplice, nonostante alcune indicazioni abbiamo percorso una strada abbastanza sconnessa, che aveva però in sé il fascino di essere la strada più solitaria di tutte, lungo una terra rarefatta, di case silenziose e sparse.

Il castello emerge solitario dai campi gialli. Una fortezza di epoca normanna, anche se alcune tracce fanno pensare a fondamenta più antiche. La costruzione conobbe il suo massimo splendore grazie a Federico II che amava soggiornare qui per la presenza di uccelli rapaci, che tanto adorava.

Meraviglioso è il panorama, con la valle che corre verso l’infinito.

Un’abitante di Genzano ci coinvolge con la sua narrazione evocativa di questi luoghi durante la Riforma agraria, l’assegnazione delle case coloniche e dei terreni che, però, non sortirono gli esiti sperati. L’isolamento dei poderi, la limitata o mancata costruzione di infrastrutture, di opere per l’irrigazione e la mediocre qualità di molti territori determinarono ben presto l’abbandono dei fondi assegnati con la conseguente emigrazione, che lasciò le case coloniche e i borghi rurali dimenticati nell’oblio. Quest’uomo sognatore e dall’animo nobile e’ ancora qui.

Ci spostiamo ad Irsina, che dalla sua posizione domina incondizionata su tutta la Valle del Bradano. Il nome Irsina è stato dato solo nel 1895, prima il paese si chiamava Montepeloso, dal greco plusos, terra fertile e ricca.

Il centro storico è costruito su uno sperone di roccia, circondato dalle antiche mura di cui sopravvivono due torri cilindriche e due porte: la Porta Maggiore e la Porta Lenazza. Anche qui come Matera si trovano abitazioni scavate direttamente nella pietra, un tempo semplici ricoveri e successivamente vere e proprie case-grotte in cui vivevano in promiscuità uomini e bestie. L’ingresso dalla Porta Maggiore ci porta in una piazzetta con un Belvedere affacciato sulla Valle del Bradano da cui è possibile abbracciare in un colpo d’occhio l’estensione dei seminativi che circondano il paese, di un giallo oro intenso.

Accanto a queste antiche abitazioni si incontrano anche eleganti palazzi signorili con stemmi ed epigrafi, testimoni del passato nobiliare della città. Molti di questi palazzi sono oggi nell’elenco dei luoghi del FAI, in attesa di essere valorizzati.

La Cattedrale della città risale al 988 ed è stata oggetto di più ricostruzioni. Molti sono gli elementi preziosi della chiesa, ma su tutti spicca la scultura di Santa Eufemiain pietra. Si presenta con una mano nelle fauci del leone come simbolo del martirio, mentre nell’altra sorregge un triplice monte sormontato da un castello che rappresenterebbe proprio Montepeloso. È un pezzo raro attribuito al Mantegna e giunto a Irsina grazie alla ricca donazione di un notaio originario di queste parti.

Da non perdere nella visita ad Irsina la cripta della Chiesa di San Francesco.

Si pensa che la Chiesa anticamente fosse un castello costruito da Federico II di Svevia, uno dei tanti sparpagliati fra Puglia e Basilicata. Non ci sono però prove a testimonianza di questa leggenda. La cripta conserva un bel ciclo di affreschi commissionati tra il 1370 e il 1373 ad artisti di scuola giottesca da Margherita D’Angiò e da sua figlia Antonia Del Balzo, futura regina di Sicilia (entrambe ritratte tra i personaggi affrescati).

La cappella è molto interessante sia per gli aspetti artistici, che testimoniano i molteplici influssi di scuola fiorentina, sia per le vicende storiche legate alla cripta, dal momento della fondazione alla riscoperta, avvenuta ai primi del ‘900, grazie allo storico Michele Janora e all’intervento della Contessa Margherita Nugent.

Su consiglio di un abitante di Irsina, ci dirigiamo verso Tricarico, per il raduno delle maschere Antropomorfe.

A differenza della maggior parte delle feste religioso-popolari, che in seguito sono state assorbite e trasformate dalla religione cristiana, questo evento si distingue per il mantenimento del suo spirito tipicamente pagano, che risuona potente tra le danze. Numerosi studiosi collegano questa festività alle antiche tradizioni dei Saturnali romani, ma è certo che le sue radici affondano ancor più profondamente nelle antiche celebrazioni legate alla fertilità dei campi. Con l’uso di colori vibranti e costumi sfarzosi, le comunità cercano simbolicamente di comunicare con la natura, invocando la vitalità dormiente che attende sotto il gelido mantello invernale. Il festival di Tricarico, da oltre 12 anni, si pone come punto di incontro di queste feste e riesce a richiamare gruppi di comunità sia italiani che esteri: Bolivia, Portogallo, Romania Spagna, Africa. Dalla nostra amata Puglia vi erano i gruppi di Sammichele di Bari, Corato e Lecce.

Addentrandoci per le vie di Tricarico, scopriamo l’importanza strategica di questo luogo e della sua Torre Normanna, punto più alto e più suggestivo della città, da cui era possibile osservare e controllare militarmente un territorio vastissimo.

Il centro storico custodisce dei tesori insospettabili, tra edifici di inestimabile valore e importanti manufatti. Nel nostro girovagare un abitante ci ha condotti alla Chiesa di Santa Chiara, una delle chiese più suggestive di tutta la collina materana, con un soffitto ligneo con intagli in oro zecchino ed una cappella completamente affrescata da Pietro Antonio Ferro, considerato uno dei più importanti artisti della Basilicata del 1600.

La Basilicata è una terra veramente bella, ancora poco assediata dal turismo, ideale per un viaggio nell’Italia più autentica, tra arte, storia e natura, a costi ancora economici.

Pentedattilo: alla ricerca della felicità.

Capita di scoprire con gli anni che la felicità non è qualcosa che si trova, che non ha niente di dovuto, che è a tutti gli effetti qualcosa che si crea. E’ un concetto semplice che tendiamo a dimenticare perchè non siamo “allenati” a gestirla, a maneggiarla e a contenerla.

Vi raccontiamo il nostro viaggio in Calabria, tre giorni in cui siamo stati travolti da un’immensa fortuna, abbiamo conosciuto i custodi di un tempo, quello lento che governa le giornate, le conversazioni ed elogia la semplicità.

Tutto parte da un video-documentario sulla storia di Rossella, unica abitante di un paese, Pentedattilo, sconosciuto persino ad alcuni calabresi. Inizia la mia ricerca sul borgo, che si trova a pochi km da Reggio Calabria. Ad avvolgerlo un’imponente montagna rocciosa a forma di cinque dita, da cui deriva il suo nome. Le case sono perfettamente incastonate tra le rocce e custodiscono la memoria del borgo e le leggende che vi ruotano attorno.

Per secoli teatro di violente lotte feudali e devastanti terremoti, questo piccolo centro negli anni Settanta fu dichiarato inagibile e i suoi abitanti si trasferirono poco più a valle. Da allora è un “borgo fantasma”, raggiungibile a piedi da una stretta stradina di pietra che si snoda lungo il costone di roccia, tra pale di fichi d’India e cespugli di macchia mediterranea. 

Chi arriva qui, fa una passeggiata veloce, scatta due foto, compra una calamita e poi va via. Ma c’è molto di più, basta semplicemente stare in silenzio e questo vi parlerà.

Entrando nel borgo si incontra subito la bottega artigiana di Giorgio e di sua moglie e mentre ci perdiamo nel loro mondo colorato Giorgio ci racconta storie, leggende del paese ma anche della sua vita, dei suoi ruoli come attore.

A Pentedattilo non ci sono ristoranti, trattorie o cose simili, ma esistono luoghi genuini che profumano e sussurrano.

Abbiamo finalmente incontrato Rossella, e siamo stati suoi ospiti su una terrazza affacciata nel blu. Quello che è successo nelle due ore successive, per noi è stato semplicemente un privilegio: pranzare all’aperto, con una coppia di Cuneo (lei originaria di Reggio Calabria), gustare prodotti genuini, tutto in ascolto delle storie di ognuno, in totale condivisione.

E poi Rossella, la custode più preziosa di Pentedattilo. La sua storia è una di quelle storie raccontate nei documentari, perchè quando negli anni ’80 Rossella ha deciso di lasciare Viterbo e trasferirsi in Calabria, in questo borgo sperduto e disabitato, poteva sembrare davvero da pazzi. Per lei no, per Rossella tutto è avvenuto in modo naturale. E da allora non l’ha più lasciato, restituendo al borgo di Pentedattilo un’anima. Lo ha fatto lei, lo ha fatto chi ha aperto le botteghe artigiane, chi ha iniziato a fare ospitalità diffusa.

Ci racconta che all’inizio erano in tre nel paese e le campagne erano rigogliose e incontaminate. Ogni mattina camminava costeggiando le fiumare in cerca di erbe officinali. Le abbondanti piogge invernali e primaverili consentivano di irrigare i campi e abbeverare gli animali anche d’estate. Si addormentava cullata dal canto della fiumara, mentre l’acqua scorreva incessante. Ma in questi ultimi due anni il territorio si sta desertificando e nella stagione secca il piccolo orto di Rossella va avanti a fatica, pur garantendole la sussistenza.

Dopo il pranzo abbiamo raggiunto Maka, un ragazzo maliano che aiuta Rossella nel lavoro dei campi e nell’accudimento delle sue venti capre. La luce del tramonto è divenuta irresistibile, come tutto il paesaggio circostante.

Rossella nella sua scelta di vita ha trovato la propria “capacità” di creare felicità ed essere stati suoi ospiti è stato veramente un dono, che non dimenticheremo.

50 sfumature di verde: laghi di Monticchio.

Immagina di passeggiare nella natura e che questa, silente e placida, si rispecchi nel lago. Immagina che il lago sia la bocca di un antico vulcano spento. Immagina poi pioppi, cerri, faggi e roveri alti, dai tronchi enormi sotto i quali ti senti piccolissimo. Immagina una abbazia eretta su una grotta e foglie scricchiolanti sotto le scarpe.

Non serve immaginare se sei ai laghi di Monticchio.

Così una domenica di ottobre decidiamo di raggiungere L’Abbazia di San Michele, situata sul Monte Vulture.

L’antichissimo culto dell’Arcangelo Michele fu importato in Italia meridionale dai Longobardi che, spintisi fin qui, fondarono i principati di Benevento e di Salerno erigendo in questo territorio numerose chiese consacrate alla devozione del Santo. La grotta naturale, a picco sul lago, fu consacrata a luogo di culto dato che, secondo la tradizione, qui l’Arcangelo Michele apparve più volte alle popolazioni. Anni dopo, nella grotta dell’Arcangelo iniziarono a riunirsi prima i Monaci Basiliani, in fuga dalla dottrina della Chiesa Bizantina, poi i Benedettini, per frenare l’espansione della chiesa ortodossa. Questi ultimi fecero edificare l’abbazia, abbandonandola poi nel 1456. Ci fu un tempo, dunque, in cui a Monticchio convivevano, due ordini di fede, molto diversi per riti e principi dogmatici. Solo dopo l’affermazione politica e militare dei Normanni, i Basiliani abbandonarono gradualmente il Vulture e e l’Abbazia passò ai Cappuccini, che fondarono una biblioteca e un lanificio.

Oggi, il complesso abbaziale si articola su più piani, con la chiesa settecentesca e l’antichissima cappella di S. Michele, appoggiata al suolo roccioso della primitiva grotta, in cui vi sono numerosi affreschi di epoca bizantina e medievale. All’Abbazia si accede percorrendo un sentiero petroso immerso nella foresta di faggi e lecci e dalle sue finestre si gode di un bellissimo panorama sui laghi sottostanti.

Intorno ai laghi vi sono numerosi sentieri. Noi avendo poco tempo a disposizione abbiamo percorso quello attiguo all’Abbazia, che in 20 minuti porta al belvedere.

La vista che si gode a questa altezza non è priva di inconvenienti per chi soffre di vertigini, ma è ad ogni modo incantevole. Così abbiamo steso una tovaglia e ci siamo rilassati in un dolce picnic.

Il sentiero non è molto tracciato, infatti c’è stato un attimo in cui abbiamo messo in dubbio la possibilità di avanzare, per alcuni tronchi caduti di recente che ostacolavano la salita. Il terreno inoltre non è molto compatto, per cui nella discesa questo spesso franava un pò, sotto i nostri passi. Ma niente di preoccupante. Arrivati nuovamente all’Abbazia abbiamo intrapreso il percorso naturalistico che porta giù al lago piccolo.

I Laghi di Monticchio sono parte di una Riserva Regionale della Basilicata, una zona naturalistica molto piacevole da visitare. Si tratta di due laghi, sorti occupando l’area di due antichi crateri di quello che un tempo era un vulcano, circondati da una natura verdeggiante ed incontaminata.

Per godere dell’oasi di pace abbiamo noleggiato un pedalò dalla banchina del Lago Piccolo e siamo rimasti sospesi in quelle acque dalle 50 sfumature di verde.

Il tempo sembra fermarsi ❤️.

L’Abbazia si vede in tutto il suo splendore, aggrappata alla parete della montagna, bianca, imponente, elegante, incastonata nella parete del monte, che sovrasta i laghi, e in questi si riflette giocando con le nuvole.

Una bellissima passeggiata autunnale che consiglio a tutti.

Prima del rientro non poteva mancare una visita al Castello di Melfi, che al suo interno ospita l’interessantissimo Museo Archeologico Nazionale.

La Basilicata fu una terra che Federico II apprezzò molto e in cui soggiornava spesso per le sue amate battute di caccia. Il Castello di Melfi, sebbene sia stato costruito dai suoi predecessori normanni, divenne fulcro dell’attività amministrativa del suo regno, per poi diventare dei Doria fino al 1950 e poi di proprietà dello stato italiano.
La struttura ha una unica entrata agibile con un ponte che dà sul vasto fossato. Una volta ammirata la maestosità del castello si può accedere al museo, con un ticket di 2,50 euro. Le sale del museo custodiscono numerosi reperti archeologici ritrovati nella zona del Vulture, in particolare corredi funerari di guerrieri e nobili. Lasciano davvero a bocca aperta, sia per lo sfarzo che regnava all’epoca tra le genti nobili, sia per l’importanza che si dava alla fase della sepoltura. Insomma una full immersion culturale nella splendida cornice del Castello di Melfi che vi emozionerà sicuramente.
La Basilicata è anche questo

Il Pollino solitario: canyon nella Garavina.

Ubicato nel cuore del Parco Nazionale, Terranova di Pollino, è il punto di partenza e di arrivo per una magnifica escursione nel Parco Nazionale. Ci affidiamo ad una guida esperta per il trekking, con cui avevamo appuntamento alle 9:00 del mattino.

Alle 4:00, però, la zona viene travolta da una bomba d’acqua e l’escursione sembra compromessa, ma Giovanni ci rassicura, la pioggia non ha interessato la gola, l’appuntamento è confermato.

Dal grazioso borgo scendiamo verso la Gola Garavina, una gravina di spettacolare e selvaggia bellezza, attraversata dal fiume Sarmento.

Risaliamo il fiume seguendo il corso delle acque, qui non c’è un vero e proprio sentiero da seguire, ma l’intero letto del fiume è il sentiero stesso. A seconda del tratto la guida ci indica se proseguire radenti alle pareti verticali, oppure camminare nelle gelide acque del fiume.

Un tempo la gravina faceva da sbarramento naturale ad un piccolo lago glaciale, con il tempo questo sbarramento è stato eroso dal torrente Sarmento, con un lavoro durato migliaia d’anni, che ha levigato pareti e massi creando forme spettacolari e dando luce ad un vero e proprio Canyon, con pareti rocciose che superano i 300 metri di altezza.

Sul fondo della Gola lo spettacolo che si presenta è senz’altro superiore alle aspettative: pareti verticali che si restringono, man mano che si procede verso l’interno, mentre il cielo scompare e rimane solo lo spazio per guardare verso l’alto e provare il brivido di sentirsi stretti fra le rocce e toccare le pareti lisce e fredde.

Ci fermiamo su fondo della Gravina, per una pausa pranzo veloce e la guida ci ricorda la tragedia del Raganello. Siamo nell’agosto 2018 e solo per un caso fortuito la nostra guida non era nella gola con gli altri. La tragedia, che ha scatenato polemiche sulla gestione delle allerte meteo e che ha portato all’apertura di un’inchiesta giudiziaria, è culminata nel sequestro del sito ed in un processo. Nonostante il tempo trascorso, la vicenda rimane ancora irrisolta e la ferita, per molti, non si rimarginerà mai.

Giovanni monitora il meteo e come aveva già anticipato la pioggia è attesa per le 13.00, dobbiamo ritornare indietro.

Ci aggrappiamo con le mani alle rocce scivolose e ci trasciniamo faticosamente lungo il letto del fiume. La pioggia arriva puntuale e la vegetazione pendula ci da riparo

Non bisogna essere uno specialista né tanto meno è richiesta una adeguata preparazione tecnica per affrontare questa gola, bastano indumenti comodi, scarponcini leggeri, tanta curiosità ed una guida esperta.

Il canyon è stata un’esperienza ricca di forti emozioni e con questo percorso mi sono resa conto di aver alzato l’asticella dei miei limiti fisici.

Agosto 2024

Un frammento di Gargano

Terra meravigliosa dominata dal verde della natura rigogliosa e dall’azzurro del mare, il Gargano è indubbiamente una delle mie zone preferite.
Una terra che forse inizialmente può sembrare ostile per le strade impervie, i tornanti e la difficoltà nell’accedere ad alcune baie, ma che pian piano ti conquista. E forse è proprio questo il segreto del suo fascino.

Complice una serata organizzata al Castello di Monte Sant’angelo, dall’associazione Ais, Bollicine di Puglia, l’indomani abbiamo visitato Monte Sant’Angelo e Vieste, passando attraverso la Foresta Umbra.

Il Santuario di Monte Sant’Angelo e’ unico e suggestivo, non lascia indifferenti anche coloro che non sono credenti. All’interno questa grotta, un uomo ( dipendente del luogo) vi portera’ per mano attraverso la storia, i libri sacri e citazioni classiche e nel suo volo pindarico, vi raccontera’ l’amore per San Michele. Purtroppo non ricordo il suo nome ma posso assicurarvi che ascoltarlo e’ stato un dono.

Non si può visitare il Gargano senza conoscere la sua duplice natura, senza conoscere quello che c’e’ oltre il mare.

Dopo questa breve sosta ci siamo allungati su Vieste.  Un piccolo paesino sul mare, che con le sue case bianche si trova sulla punta più a est del Gargano. Simbolo di questo territorio è, senza dubbio, il Pizzomunno, la grande roccia che si erge con tutta la sua maestosità, a controllare e proteggere la città. La leggenda narra che ai tempi in cui Vieste era ancora un villaggio, Pizzomunno era un bellissimo pescatore del posto.

Ogni giorno andava in mare con la sua barca e lì trovava le sirene che provavano ad incantarlo, promettendogli l’immortalità. Il giovane, innamorato follemente di Cristalda, non cedeva. Fu così che una sera, mentre i due innamorati stavano sulla spiaggia, le sirene gelose portarono via Cristalda. Pizzomunno tentò invano di salvare l’amata. Il giorno dopo, alcuni pescatori ritrovarono il ragazzo pietrificato dal dolore nello scoglio che oggi tutti possiamo ammirare. 

I due innamorati si rincontrano ogni cento anni. Questa leggenda mi ricorda un’altra: la notte di Tanabata. Una leggenda giapponese in cui la principessa celeste Orihime e il pastore Hikoboshi si incontrano attraversando la Via Lattea, per poi doversi separare nuovamente per un anno. Entrambe le leggende raccontano l’amore, che né il mare né il tempo possono spezzare.

Vieste è anche un luogo ricco di storia, popolata sin dal Paleolitico, come testimoniano i molti siti archeologici e i reperti ritrovati. 

Il centro storico è pieno di vicoletti e viste mozzafiato. Da vedere:

-la Cattedrale di Santa Maria Assunta, risalente alla seconda metà del XI sec., in stile romanico-pugliese, ad eccezione del campanile ricostruito in stile barocco in seguito a un crollo nel 1772;
– il castello, che sorge al margine del centro, su una rupe a strapiombo sul mare. Purtroppo non sempre è visitabile perché divenuta sede militare.                   Da non perdere il suggestivo panorama che si può osservare dalla balconata.

Se state facendo un giro nel centro storico non potete perdere la scalinata degli innamorati. Ebbene sì, sembra che l’amore sia il filo conduttore di questa città e se non siete romantici, potrebbe essere la vostra occasione per esserlo, almeno per un giorno!

Merita una sosta, fuori città, Torre San Felice, una torre di difesa, osservazione e segnalazione costiera.

Le torri costiere sin dall’antichità sono rimaste il miglior mezzo di protezione contro gli invasori indesiderati dal mare. Ad oggi è cambiato solo il modo di ascoltare e osservare, ma non lo scopo. La torre fu costruita nel 1540, durante il regno del Regno di Napoli.

Grazie alla sua posizione, Torre San Felice è il miglior punto panoramico sulla famosa e bellissima formazione rocciosa Arco di San Felice.

L’Arco  è una creazione mozzafiato della natura, un’imponente struttura rocciosa che emerge dalle acque cristalline del mare Adriatico. Questo arco naturale è il risultato di millenni di erosione, scolpito dal vento e dal mare, ed è un esempio straordinario di bellezza naturale. La sua vista è particolarmente affascinante al tramonto, quando le sfumature del sole che cala dipingono la roccia di colori caldi e avvolgenti. Poco distante dall’arco, si apre la baia, come un abbraccio accogliente verso il mare. Con le sue acque turchesi e la sabbia finissima, è una delle spiagge più incantevoli del Gargano.  Questo luogo è nuovamente appuntato in agenda, sarà il punto di partenza per un’escursioni in barca, per esplorare l’arco da una prospettiva unica e tutto questo tratto di costa meraviglioso.

Grazie ai miei compagni di viaggio, senza il loro coinvolgimento non avrei mai pensato di andare nuovamente sul Gargano, per 24 ore.

Non poteva mancare una sosta aperitivo Molfetta presso @lachiazzod, prima del rientro a casa.

Nel Gotico a due passi dal cielo e dal mare.

L’ultimo giorno a Barcellona ci lasciamo scivolare dolcemente tra le strade del Gotico. I ricordi sono tantissimi, ogni angolo, ogni albero del quartiere avrebbe da raccontare la propria storia.

Iniziamo dalla Rambla. Un’ampia via pedonale costellata di negozi, di bancarelle di fiori colorati e artisti di strada.  Uno dei punti focali di questa strada è il Mercato de La Boqueria, un mercato alimentare coperto che offre una vasta gamma di prelibatezze, corridoi colorati, profumi irresistibili di frutta, verdura, carne, pesce e dolci tradizionali.

Dalla Rambla ci siamo addentrati nel quartiere Gótico, un luogo intriso di storia e fascino, caratterizzato da strade lastricate strette e tortuose, edifici medievali imponenti e angoli pittoreschi che ti trasportano indietro nel tempo.

Passando per la necropoli romana e attraversando la via del cioccolato, siamo arrivati in Plaça del Pi, dove si trova la Basilica di Santa Maria del Pi, costruita in stile gotico-catalano.                         Secondo la tradizione, il nome della basilica deriva dal ritrovamento dell’immagine della Vergine dentro un tronco di pino e sempre per lo stesso motivo venne piantato un albero di pino proprio davanti la porta della chiesa.

Nella chiesa del PI si trovano El Gegantes, giganti della tradizione, ancora utilizzati negli eventi religiosi, seppur in una versione più leggera da sostenere durante la processione.

Proseguendo la nostra passeggiata ci siamo recati alla Cattedrale di Barcellona, dedicata a Santa Eulalia, patrona della citta’.               Durante il dominio romano, l’imperatore Diocleziano ordinò la persecuzione di tutti i cristiani, la piccola Eulalia osò sfidare il console romano e venne condannata a subire 13 torture, tante quanti gli anni che aveva.  

La cattedrale è di stile gotico, costruita a sua volta sopra un’antica chiesa di stile romanico. Ma la facciata è posteriore e risale addirittura al diciannovesimo secolo, quando fu indetto un concorso per la sua realizzazione, al quale parteciparono vari architetti.

L’edificio è famoso per il suo chiostro risalente al ‘300, in cui vivono tredici oche, ognuna rappresenta un anno di vita della martire Santa Eulalia.

Dinanzi alla Cattedrale, la scritta Barcino  e le due torri romane, ci ricordano il passato romano della città e lungo un lato della Cattedrale si trova “uno dei luoghi più fotografati” del Barrio Gotico: il Pont del Bisbe.

Il ponte in realtà non e’ antico,  risale al 1928, il suo stile è ispirato al gotico fiammingo e veniva utilizzato dalle personalità della politica per passare da un edificio all’altro. Una leggenda narra che basta camminare in senso contrario ed esprimere un desiderio guardando negli occhi il teschio presente sotto il ponte per farlo avverare.

A poca distanza dalla cattedrale un’altro luogo ormai iconico della citta’: il murales del bacio. Si tratta di un grande fotomosaico realizzato nel 2014 per commemorare la caduta della città durante la guerra di seccessione spagnola. Il giornale spagnolo chiese ai propri lettori di inviare fotografie che ricordassero momenti di libertà. Da lontano si vedono due labbra che si baciano, ma avvicinandosi si scopre che ci sono 4.000 piastrelle, ognuna di esse immortala la felicità fatta di momenti quotidiani.

Ci siamo diretti verso Casa de l’Ardiaca, un edificio gotico vicino alla Cattedrale dove vivevano gli arcidiaconi, un’ordine ecclesiastico ora scomparso. Negli anni l’edificio ha avuto molteplici usi e nel 1902 un architetto fu incaricato di abbellire l’edificio. Ogni elemento decorativo ha un suo significato particolare: lo scudo, le rondini, latartaruga e l’edera. Una curiosa allegoria della giustizia: la giustizia cerca di volare alto come le rondini ma gli impedimenti burocratici (l’edera) la rendono lenta come una tartaruga.

Una delle ultime tappe nel quartiere è stata la piazza che ospita la Chiesa di San Filippo Neri. E’ una piazza veramente speciale, per la tranquillità che si respira e per la storia che nasconde.

Una fontana al centro, una chiesa sullo sfondo, due case e un bar sono tutti gli elementi che la compongono. Sulla facciata della Chiesa, che da’ il nome alla Piazza, sono ancora visibili i segni del bombardamento aereo del 30 gennaio del 1938 da parte dell’aviazione italiana fascista, alleata di Franco.

La figura di Gaudì è strettamente legata a questa Chiesa. L’architetto si recava tutti i pomeriggi per pregare e fu proprio in quel frangente che, il 7 giugno 1926, venne investito e morì. I passanti lo scambiarono per un barbone e non lo soccorsero. All’interno della chiesa ci sono due dipinti realizzati da un pittore, grande amico di Gaudì. L’artista dovendo dipingere la faccia del santo Filippo Neri chiese al suo amico di posare per lui.

Prima di andar via sono andata a caccia di una terrazza per vedere la città dall’alto. Ormai in molte città gli hotel mettono a disposizione le loro terrazze e noi siamo stati nel quartiere El Raval. Questo quartiere è caratterizzato da una mescolanza di culture e ha subito una trasformaione significativa in questi anni. Qui potrete scoprire una vivace scena artistica e culturale, con gallerie d’arte, negozi vintage, mercati locali e una varietà di ristoranti etnici ed una delle viste panoramiche più speciali della città. Grazie alla forma cilindrica dell’hotel, questa terrazza offre una vista di 360 gradi su tutta la città. L’ingresso è gratuito e non vi obbligo di consumazione.

Il richiamo del mare è come sempre assordante ed è bastato guardarlo dalla terrazza per decidere di andargli incontro. Port Vell è stata una piacevole pausa pranzo e poi abbiamo raggiunto la spiaggia di Barceloneta, famosa per la sabbia dorata e le acque blu cristalline.

Questa spiaggia (e tutte quelle di Barcellona in generale), non esisteva prima del 1992, quando in occasione delle Olimpiadi tantissimi quartieri di Barcellona vennero completamente trasformati. La Barceloneta è uno degli esempi più lampanti di tale trasformazione

Ma nonostante questo aspetto “artificiale” qusto luogo è divenuto un vero simbolo della città, un punto di incontro per i residenti e visitatori di tutto il mondo.

Prima di andar via, non poteva mancare un ballo improvvisato di Nicole, che tratteggia le linee dell’hotel W (hotel Vela), sfondo iconico di questo tratto di spiaggia.

Finisce qui il nostro racconto di questa magnifica città. E’ stato veramente arduo sintetizzare questa città unica nel suo genere e spero di esserci riuscita.

Barcellona: tappe iconiche

Il cielo di Barcellona sfrutta ogni inezia di luce, così che possiamo affondare gli occhi in un cielo blu intenso, sempre.

Sono ritornata per la seconda volta in questa ammaliante città, questa volta in compagnia dei miei figli.

Siamo arrivati alle 17, il tempo di lasciare le valigie e siamo scivolati all’interno della città vecchia, verso il parco della Cittaduella, il cui ingresso è caratterizzato dall’Arco di Trionfo, costruito in occasione dell’Esposizione Universale del 1888 come simbolo di benvenuto. Tra l’arco ed il parco la gente passeggia, ma soprattutto si ferma ad osservare gli artisti che si esibiscono in tutta la loro creativita’.

Con largo anticipo avevamo programmato alcuni ingressi a monumenti storici della città, i cui biglietti spesso vanno sold out. Così il giorno dopo siamo entrati all’interno della straordinaria ed iconica Sagrada Família, il capolavoro incompiuto dell’architetto Antonio Gaudí. Questa basilica unica nel suo genere è uno dei simboli più riconoscibili di Barcellona e rappresenta un esempio straordinario dell’architettura modernista catalana.

L’architettura è intrisa di simbolismo religioso e naturale, con riferimenti alla natura, alla geometria e alla spiritualità. I lavori di completamento continuano ancor oggi, mantenendo viva la visione di Gaudí e rendendo questo monumento una continua evoluzione dell’arte e della creatività umana.

Il percorso della visita alla basilica incomincia ovviamente dalla Facciata della Natività. Una facciata barocca, ricchissima di sculture e simbologie: qui l’elemento dominante è la vitalità, l’allegria, la bellezza.

A differenza delle facciate, traboccanti di storia, l’interno, pur sempre simbolico, è essenziale. La protagonista assoluta è la luce, che filtra tra le colonne, leggermente inclinate, come in un bosco incantato, poiché esse hanno la forma di alberi i cui rami, in alto, come delle possenti mani, sostengono l’intera struttura.

La tonalità dei colori cambia in continuazione, in base alla posizione del sole, dai colori più freddi alla mattina, ai colori accessi, giallo e rosso, alla sera, quando il sole si sposta ad occidente.

Ad occidente si trova la facciata della Passione, a conclusione della vita terrena di Gesù. Le sculture sono volutamente scarne e spigolose e trasmettono una grande sofferenza e tristezza. Non c’è spazio in questa facciata per gli abbellimenti barocchi, per l’allegria.

Subito dopo la Sagrata Familia ci siamo avviati al Palau de la Música Catalana, un gioiello architettonico e culturale situato nel cuore di Barcellona. Questo meraviglioso edificio rappresenta uno dei capolavori dell’architettura modernista catalana e offre una esperienza unica per gli amanti della musica, dell’arte e della bellezza architettonica.

Costruito tra il 1905 e il 1908, il Palau de la Música Catalana è un omaggio all’arte e alla cultura catalana. È stato progettato da Lluís Domènech i Montaner, uno dei principali architetti modernisti della città. Una delle caratteristiche più spettacolari del palazzo è la sua sala da concerto principale. All’interno, un’esplosione di colori e forme, grazie all’uso creativo di vetrate colorate, mosaici e sculture decorative. Il soffitto vetrato a forma di cupola rappresenta un sole splendente, che irradia luce e calore su tutto l’auditorium.

Nel pomeriggio avevamo programmato la visita a Casa Batlló. E’ un vero e proprio viaggio nella mente del visionario architetto catalano che ha disegnato la silhouette di questa città rendendola così unica e sensuale. Non vi aspettate una classica visita, piuttosto un invito ad esplorare l’universo attraverso la luce e il  colore, i protagonisti assoluti di Gaudí.

Spettacolare e senza precedenti la sintesi digitale realizzata dall’artista Refik Anadol per illustrare come il mondo interiore di fantasia e tumulto si sia trasformato in architettura moozzafiato.

E’ impossibile non restare affascinati da questa città dal blu intenso, che avvolge ogni cosa.

E se capiteranno, talvolta, giorni dell’inquietudine, riguarderò queste foto straripanti di blu, riavvolgerò all’infinito i video girati, mi ricorderò dei vostri baci e abbracci.

Con amore mamma.