Un tuffo nel passato

E così, senza pensarci due volte, siamo salite a bordo della nostra auto alla volta del Cilento. In questo breve articolo vi raccontiamo il nostro primo giorno, tra Agropoli e Paestum, dove il fascino della cultura e la bellezza dei paesaggi si intrecciano e rendono questa terra un luogo magico.

Agropoli trae il suo nome da Acropolis, “città alta” .

Su un promontorio a picco sul mare, la città conserva tutta la bellezza del suo passato, in perfetto stato sono, sia il centro antico e gran parte delle mura difensive con il portale d’ingresso, sia il maestoso Castello Angioino Aragonese. La visita parte dal cuore più antico della città.

La panchina dell’Amore.

E’ possibile accedere al centro storico di Agropoli attraverso la caratteristica salita degli “scaloni”, per secoli una via d’accesso al borgo e oggi uno dei pochi esempi di salita a gradoni, caratterizzati da gradinate larghe e basse.

Da qui inizia lo spettacolo del Borgo Antico, con le piccole strade di pietra, i vicoli stretti, i negozi di souvenir e antiquariato. Il Castello a pianta triangolare e con tre torri circolari, si erge imponente sul promontorio incastrandosi con il vertice nel borgo antico, la cui struttura originale risale ai bizantini.

A poca distanza dal centro abitato una spiaggia da non perdere: la Baia di San Francesco, che prende il nome dallo scoglio a strapiombo sul mare e dal monastero che la sovrasta. E’ un piccolo paradiso, un angolo incontaminato, un punto di litorale tra la roccia con un fondale misto di sabbia e pietrisco, accessibile attraverso una serie di scalini che partono dalla Chiesa di San Francesco. All’orizzonte si scorge la croce dalla quale secondo la leggenda, il Santo parlò agli uccelli e ai pesci

Da Agropoli in soli 10 minuti si arriva a Paestum, uno di quei posti che dovremmo visitare almeno una volta nella vita e che da secoli conserva tutta la sua autenticità.

Molti di noi hanno la convinzione che Paestum sia nata proprio come polis greca, in realtà Paestum ha origini antichissime, i ritrovamenti hanno datato i suoi primi insediamenti dal Paleolitico all’età del Bronzo.

Già all’ingresso del parco non potrai non notare la maestosità e l’immutabile bellezza protrattasi nel tempo dei due templi, simboli del parco. Si tratta dei templi di Hera e di Nettuno, entrambi risalenti al periodo della polis greca.

Il templio più grande è il templio di Nettuno, datato V secolo a.C., costruito senza l’utilizzo della malta e con grandi massi collegati tra loro con dei tasselli, l’altro è il tempio di Hera, più piccolo ma più antico, datato 560 a.C., chiamato anche Basilica per il suo colonnato.

All’interno dei templi potevano entrare soltanto i sacerdoti, perciò tutti i sacrifici offerti venivano lasciati al di fuori.

La maggior parte delle case visibili, nel parco, sono di epoca romana, riconoscibili perchè tutte con le stesse caratteristiche: una sequenza in asse con tre ambienti principali, l’atrium (ossia il cortile interno), il tablinum (ossia la sala di rappresentanza) ed il peristilium (ossia il giardino). Ai lati dell’atrium si sviluppavano i cubicula, ossia le camere da letto. Al centro dell’atrium invece era spesso collocato l’impluvium, una vasca in marmo per la raccolta delle acque piovane.

Santuario con piscina

Paestum era famosa per le sue rose, dalla doppia fioritura annuale, e qui venivano prodotti i profumi che durante l’epoca romana avevano grande importanza nelle classi sociali.

Dopo la visita nel parco archeologico di Paestum, ci siamo recati al Museo e qui si resta estasiati da quanto l’uomo fosse già alla ricerca della bellezza.

Tutti i reperti ritrovati nel parco son stati portati qui, tra questi, il più importante è la Tomba del Tuffatore: spettacolare dipinto di arte greca ritrovato all’interno di una tomba che rappresenta, secondo alcune teorie, il passaggio dalla vita terrena all’aldilà.

La tomba era formata da cinque lastre calcaree che, al momento del ritrovamento, si presentavano accuratamente connesse fra loro, internamente dipinte ad affresco, copertura inclusa.

Proprio la raffigurazione della lastra di copertura, un giovane tuffatore, ha dato il nome all’intera sepoltura: Tomba del tuffatore.

Le lastre che costituivano le pareti della cassa presentano vivaci scene conviviali, mentre sul coperchio è raffigurata l’immagine di un giovane colto nell’atto del tuffarsi. Le quattro scene conviviali, nel loro insieme, ricostruiscono il contesto di un “simposio”, cioè la fase del banchetto greco destinata alla degustazione dei vini, all’ascolto di musiche e canti e alla recitazione di versi. Non è un caso, quindi, che nel corredo funerario della tomba sia stata ritrovata anche una lyra.

L’immagine del tuffo, invece, è da intendersi come la figurazione del passaggio fra la vita e la morte e lo specchio d’acqua rappresenta un’efficace metafora dell’aldilà, ignoto e misterioso traguardo della nostra esistenza.

Abbiamo chiuso gli occhi, cercando di immaginare questo passato così affascinante.

Domani, immersi nella natura incontaminata, vi porteremo presso Camerota, l’oasi del Bussento e le Cascate di Venere.

Breve tour in Siracusa

Siracusa è una perla della Sicilia.

il Tour non poteva che iniziare da Ortigia, un isolotto di circa un chilometro quadrato unito alla terraferma da un paio di ponti, che costituisce il nucleo antico della città di Siracusa che fu abitata fin dalla preistoria. Si possono vedere, inoltre, resti di epoca greca, romana, normanna e soprattutto edifici del tipico stile barocco siciliano.

Ci siamo addentrati nei vicoli girovagando senza una meta particolare per scovare angoli suggestivi: portali, balconi, edifici dall’aspetto decadente ma pieni di fascino perché la pietra chiara è così bella da vedere.

La splendida piazza Duomo è un susseguirsi di edifici uno più bello dell’altro ma quello che cattura subito lo sguardo è il Duomo con la facciata barocca risalente al ‘700. Fu costruito sopra un antico tempio greco dedicato ad Atena e perciò all’interno si possono vedere le colonne in stile dorico incorporate alle mura.

Duomo di Siracusa

Spettacolare anche Palazzo Beneventano che ospitò re Ferdinando I delle Due Sicilie e l’ammiraglio inglese Nelson

Fuori da Ortigia si trova la Chiesa di San Giovanni, una chiesa suggestiva a cielo aperto, che, nei suoi sotterranei, custodisce un tesoro: una Cripta dipinta e la Catacomba di San Giovanni.

Le catacombe furono costruite nell’epoca di Costantino II il Grande e formano uno dei complessi catacombali più interessanti al mondo, sia perché sono molto più fitte delle Catacombe cristiane di Roma, sia perché formano un vero e proprio “labirinto sotterraneo, colmo di cunicoli che partono da un corridoio centrale detto “decumanus maximus”, che i cristiani ottennero scavando ed ampliando un acquedotto greco.

Attraverso una delle gallerie secondarie ci siamo imbattuti in una tomba dall’aspetto singolare, si tratta di un’arca scavata nella roccia, la cui lastra di copertura presenta tre fori sulla superficie. Qui si praticava il rito del Refrigerium, letteralmente “il rinfresco”, ovvero la cerimonia del banchetto funebre che aveva lo scopo di “nutrire” l’anima del defunto e di favorirne il passaggio alla vita eterna. Attraverso i fori praticati sulla lastra di copertura, durante il banchetto, i vivi consolavano i morti versando vino, latte e miele.

Poco distante dalla Chiesa si trova Parco Archeologico di Neapolis, con l’Anfiteatro romano e le Latomie.

Il Parco testimonia ancora oggi l’antica storia di Siracusa e la magnificenza di questa città che, in epoca greca, veniva considerata la più bella città del mondo. A quel tempo Siracusa, infatti, era grandissima, perfino più di Atene e Corinto, fiorente e battagliera, capace di tener testa ai Cartaginesi prima e ai Romani poi.

Immersi nella macchia verde: ulivi, cipressi, pini, palme, carrubi, melograni, aranci, limoni, iniziamo l’esplorazione di questo angolo della Grecia Antica su suolo siciliano.

Prima tappa l’Anfiteatro romano dove si tenevano spettacoli con gladiatori e belve e altre gare e tornei. Non si presenta integro perché una parte della costruzione fu asportata dagli spagnoli che usarono le pietre per costruire i bastioni difensivi di Ortigia.

Da non perdere anche una visita alla presunta Tomba di Archimede e alla storica via dei Sepolcri. Proseguiamo quindi con le suggestive Latomie cioè enormi cave di pietra che fessurano intere collinette. La più appariscente è quella del Paradiso con il famoso Orecchio di Dionisio come venne chiamato dal Caravaggio. Una leggenda vuole che il tiranno Dionisio vi facesse rinchiudere i prigionieri per ascoltare grazie all’acustica particolare i segreti dei nemici dall’alto della collinetta.

Accanto la Grotta dei Cordari, cosi’ detta dai produttori di corde che vi esercitarono per secoli il loro mestiere. E’ uno scavo con la volta sorretta da piccoli pilasti, ricco di vegetazione di muschi e meravigliosi giochi di luce.

Ed eccoci alla perla del Parco! Il Teatro greco costruito nel V secolo a.C. e ristrutturato molte volte nei secoli successivi è una delle attrazioni più visitate della Sicilia. Questa meraviglia ha conservato intatta la sua forma originaria perchè essendo stato non costruito ma scavato nella roccia nessuno ha potuto asportarne il materiale. Qui davanti a migliaia di spettatori addirittura Eschilo rappresentò per la prima volta I Persiani e le Etnee. Ma anche oggi ogni estate si può assistere alle antiche tragedie e commedie greche.

Allungandosi sul mare Ionio, a sud del Porto Grande di Siracusa, non perdete l’opportunità di andare a Capo Murro di Porco, punto di riferimento imprescindibile per i marinai, segnalato da un Faro risalente al 1859.

Il promontorio oppone resistenza alla forza del mare respingendolo e generando spaventosi tonfi, alimentati da alcune grotte, che si possono udire a distanza.
In particolari condizioni di vento l’acqua marina penetra all’interno delle fenditure e fuoriesce dalla sommità proiettando violentemente l’acqua verso l’alto per decine di metri, formando spettacolari getti e spruzzi d’acqua simili ai famosi geysers, chiamati “‘u sciusciuni” dai siracusani.
Siamo rimasti sugli scogli per un pò, ad ammirare l’infrangersi delle onde, solo in compagnia del fragore dell’acqua che si scianta sulle rocce.

Ebbene si, siamo stati anche colti di sorpresa dagli schizzi 🙂

E voi, avete in programma una vacanza in Sicilia?

Le botteghe siciliane.

Esistono angoli di Sicilia in cui il tempo si è fermato. Luoghi unici, spettacolari, in cui ancora trionfa la tradizione. Se oggi possiamo ancora ammirare quei luoghi, è merito della maestria di chi ha mantenuto viva l’arte dell’artigianato.

Ecco alcuni i maestri incontrati nel nostro viaggio in Sicilia.

Angelo, L ‘Angolo del Papiro, Siracusa

Ubicata nelle vicinanze del Parco Archeologico Neapolis, si trova la piantagione della pregiatissima carta da Papiro di Angelo.

All’interno è  possibile osservare la fabbricazione della carta, dalla raccolta dei fusti, attraversando tutte le fasi di lavorazione fino ad arrivare al prodotto finale, proprio come accadeva 5000 anni or sono.

E’stato il nonno ad insegnare ad Angelo ogni segreto di questa pianta, passando intere giornate a scegliere i fusti da tagliare. Lui era il Cavalier Angelo La Mesa, uno dei massimi conoscitori di questa pianta. E’ grazie a lui se ancora oggi, dopo 200 anni, a Siracusa si coltiva questa fantastica pianta.

Angelo è custode di un fantastico ecosistema, in cui si alternano piante, animali, il brusio del vento e il fruscio dell’acqua che fa vibrare i fusti dei papiri.

La pianta era già nota ai Siracusani già nel 1634 e veniva chiamata Pappera. Veniva utilizzata dai pescatori siracusani per intrecciare corde o dai contadini per legare i covoni, mentre le ampie chiome verdi venivano utilizzate come ornamenti e durante le festività venivano usate per ricoprire i pavimenti di strade e chiese.

Un sogno quello di Angelo dedicato al nonno.

Biagio e Damiano, Bottega Cinabro, Ragusa- Ibla.

Ci sono tradizioni che hanno contraddistinto l’identità di un popolo. È questo il caso dei carretti siciliani, un’icona della Sicilia rurale che viveva dell’attività dei carrettieri che con i loro carri trasportavano merci e notizie da un lato all’altro dell’isola.

Nati a metà dell’800 per lungo tempo i carrettieri sono stati una vera e propria istituzione in Sicilia. Costoro erano “uomini di mondo” che per lavoro giravano l’isola e, spesso, si arricchivano talmente da poter acquistare carretti elaborati e sgargianti.
Il carretto siciliano era la carta d’identità del carrettiere: più era decorato e prezioso più il suo proprietario poteva dimostrare il proprio status e, così facendo, ottenere nuovi lavori.

Non esistevano scuole per imparare a dipingere i carretti siciliani, si doveva andare in bottega e imparare l’arte da un maestro più anziano che spesso però era geloso della propria esperienza e reticente a condividerla.

Questa bottega dei carretti di Ragusa è uno spettacolo, sia per la bravura di questi due artisti sia per la bellezza dei carretti che lascia a bocca aperta. La porta della loro bottega è aperta a chi vuole entrare a curiosare e scoprire (o riscoprire) qualcosa che abbiamo dimenticato.

Giuseppe Rosko Mazza, artista, Noto

Giuseppe ha vissuto per il mondo, dove lo portavano le mode e le situazioni del momento, ma presto si è reso conto che la Sicilia era nel sangue, così si è trasferito a Noto, dove ha aperto il suo Atelier.

Nei suoi quadri, la superficie ricoperta di chiodi si pone come antitesi alla superficie dipinta e consente nello stesso tempo all’artista di articolare la luce attraverso le ombre create dai chiodi.

Giorgio, Pasticceria Frisbi, Cioccolato di Modica

Il Cioccolato di Modica ha origini antichissime, si fa risalire al mondo degli Aztechi. Presso questi, tale alimento rivestiva un ruolo fondamentale. Con il tempo impararono a tostarne e a macinarne i semi ottenendo un composto denso e nutriente al quale erano soliti unire aromi vari. Per conservarlo, davano vita a dei panetti addensati con mais e acqua. Fu la dominazione spagnola in Sicilia a portare il cioccolato nella “Contea di Modica”, intorno al 1519.

La cioccolata modicana è un prodotto particolare: ha una consistenza granulosa dovuta ai cristalli di zucchero presenti al suo interno e al palato si presenta dolce ma con una nota amara.

Capitati casualmente nella Pasticceria di Giorgio siamo stati coinvolti dal suo amore per il cioccolato artigianale, aromatizzato con le bucce del limone o del mandarino esiccati in forno a bassa temperatura.

Antimo, l’ultimo calzolaio di Ballarò, Palermo

Trincetto e martello sono suoi compagni di mestiere. Dietro il suo banchetto, sporco di colla e usurato dal tempo, ha fabbricato scarpe che non avrebbe mai sognato di riuscire a realizzare. Antimo è l’ultimo calzolaio di Ballarò, la sua bottega è di appena 12 mq. Ha iniziato ad andare “a bottega” a soli dieci anni, l’arte di fare scarpe l’ha imparata guardando i mastri calzolai e In un cassetto tiene album fotografici con tutte le sue “creature”, scarpe anni Venti, che quasi tutti abbiamo visto nei colossal cinematografici: mocassini e modelli unici fatti a mano.

Massimo e Gino, Bottega del cuoio, Palermo

Massimo e Gino lavorano il cuoio dal 1978. Il loro coloratissimo atelier – bottega è una piccola perla nel centro della città, nel quartiere di Ballarò.

Quir è il loro brand artigianale che propone borse, cinture, portafogli e altri accessori rigorosamente in vero cuoio. Ogni pezzo è praticamente unico: viene disegnato, tagliato e assemblato a mano. Il risultato è una linea di pezzi lineari e particolari allo stesso tempo. Rigore e fantasia

Il laboratorio ha una  forte identità: una macchina da cucire al centro del laboratorio, la sedia rivolta alla strada, come nelle antiche botteghe in cui un po’ si lavorava e un po’ si traeva ispirazione da ciò che si vedeva all’esterno. Tutto attorno borse e accessori che si contendono lo spazio insieme a ritagli di cuoio, pennelli, barattoli, specchi e stoffe maculate sulle pareti gialle.

Andare per botteghe non è solo scoprire l’artigianato, è anche un modo per conoscere persone e personaggi che, a modo loro, hanno fatto e fanno la storia di una città.

Voi amate scoprire le botteghe dei posti che visitate?

Catania: un profumo inaspettato

Abbiamo dedicato il nostro secondo giorno in Sicilia a Catania, al maestoso vulcano che la sovrasta e a Taormina.

La mattinata è iniziata con un trekking a lungo desiderato quello sull’Etna, il gigante rispettato e amato da tutti a Catania.

Copiosa era caduta la neve, nei giorni precedenti ed era forte il contrasto tra il candore e la roccia nera che affiorava, tanto da creare paesaggi mozzafiato.

La giornata è iniziata parzialmente soleggiata, il trekking secondo Rosario ( la nostra guida) sarebbe stato semplice ma non vi nascondo che per alcuni tratti è stato impegnativo (per me) e spesso mi sono ritrovata immersa sino alle ginocchia nella neve.

Alla fine siamo arrivati alla valle del Bove, un’ampia depressione sul costone orientale, a forma di ferro di cavallo. Le condizioni meteo non erano ideali, ma dopotutto mettiamo anche questo in preventivo quando viaggiamo a marzo.

Valle del Bove

E’ veramente difficile descrivere le forti sensazioni che abbiamo provato, lungo un percorso durato due ore in cui la natura si è fatta sentire in tutta la sua forza, maestosità e bellezza e se non avessimo avuto una guida esperta questa meravigliosa escursione sarebbe stata una semplice passeggiata senza capire i fenomeni naturali di cui l’Etna è protagonista.

Riprendiamo la nostra auto e ci dirigiamo verso Taormina, principale meta turistica in Sicilia, molto amata da scrittori, artisti e intellettuali.

Anche ad uno sguardo fugace, mentre si sale verso la città è ben visibile l’isola Bella. Un luogo unico, considerato uno dei luoghi storici e naturali più suggestivi di tutta la Sicilia. Questa splendida e variopinta località è collegata alla terraferma con una sottile striscia di sabbia, che la rende raggiungibile anche a piedi.

Prima tappa il teatro greco, un capolavoro archeologico di rara bellezza, inserito in un contesto panoramico unico: l’Etna da un lato, il mare dall’altro e le verdi colline che si affacciano sul Mediterraneo, descritto minuziosamente già da Goethe.

Taormina- Teatro Greco

Il teatro fu costruito in epoca ellenistica intorno al III secolo a.C. e con l’avvento dei romani venne fortemente modificato e destinato a combattimenti tra gladiatori e bestie feroci.

Corso Umberto, invece, è il cuore pulsante di Taormina, con i suoi piccoli vicoli e scalinate, angoli pittoreschi, botteghe artigiane, ristoranti e tanti tanti monumenti. I vari palazzi che si affacciano hanno tutti una storia diversa, l’archiettura infatti è molto variegata e rispecchia a pieno le differenti dominazioni, dall’araba alla normanna.

mangiando la mitica granita

La vista di cui si gode dalla piazza IX Aprile è un incredibile dipinto, tra colline, mare, vulcano e monumenti.

Nella seconda metà dell’Ottocento Taormina attirò numerosi letterari, artisti e uomini di spicco dell’alta società. Le foto di Gloeden, alcune visibili nel bar del centro, ritraggono una Taormina mitizzata, in cui si avverte il richiamo alla bellezza dell’antica Grecia, il mito dell’epoca classica, delle finezza intellettuale, della perfezione artistica e dell’eleganza culturale.

Bar del centro – Ritratto della Belle Epoque

Dopo Taormina è la volta di Catania, una città dal passato tormentato, che ha da sempre convissuto con il vulcano, una convivenza non facile. Nel 1669 la lava distrusse parte della città e a seguire, qualche anno più avanti, nel 1693, da un terribile terremoto la danneggiò.

Il centro storico di Catania è in grado di sorprendere perché è il risultato di una doppia stratificazione, quella lasciata dalla storia, con la sovrapposizione di costruzioni risalenti a varie epoche, e quella naturale, causata dalla forza inarrestabile della lava dell’Etna. Ed ecco che quindi la città risorse e venne ricostruita con lo stile barocco siciliano.

Uno dei momumenti più rappresentativi della città è il Castello Ursino, voluto dall’imperatore svevo per difendere la città dagli assalti dei corsari, di vedetta sullo Ionio. La grande eruzione del 1669 riempì di lava il fossato, ma il castello fu risparmiato perché la colata si riversò direttamente sul mare prolungando la costa di circa un chilometro, ridisegnandone completamente il profilo per un lungo tratto che corrisponde all’attuale porto di Catania. Una parte del castello, ancora oggi si trova al di sotto della superficie attuale e non è visibile.

La colata lavica illustrata nel dipinto del pittore Giacinto Platania, testimone oculare dell’evento. A desta si nota la lava che lambisce il Castello, costeggiandolo.

I rami della colata che penetrarono la città, oltre ad abitazioni civili e religiose, coprirono anche i canali che distribuivano le acque dell’Amenano, il fiume di Catania. In un itinerario del centro storico è possibile vederlo riaffiorare, mentre continua la sua corsa sotterranea prima di arrivare al mare.

Ostello Agorà

Nelle cantine dell’Ostello di Agorà è possibile ammirare il corso d’acqua, all’interno di una grotta lavica naturale, sorseggiando un calice di vino.

La grotta lavica all’interno dell’Ostello


Il salotto barocco della città, è Piazza Duomo. Quello che troviamo qui oggi è il frutto della ricostruzione effettuata dopo il terremoto del 1693. Su questa piazza si affacciano vari palazzi barocchi e il duomo dedicato a S. Agata, mentre nel suo centro si trova una fontana, con il caratteristico liotru, un elefante in pietra lavica che sorregge un obelisco.

Piazza Duomo

Le orgini dell’elefante in pietra lavica sono incerte. Sembra che sia stato costruito durante la dominazione dei cartaginesi, quindi più di 2500 anni fa, per proteggere Catania dall’eruzioni dell’Etna. Ma perché fu costruito proprio un elefante? Secondo una leggenda antica sembra che l’animale avesse salvato i catanesi, scacciando via gli animali feroci dalla città.

Mercato di Catania

La bella chiesa barocca Badia di Sant’Agata ti offre, dall’alto della sua cupola, una vista mozzafiato a 360 gradi sul centro storico di Catania, l’Etna e il mare.

Per capire davvero e fino in fondo Catania e la sua storia è necessario conoscere uno dei suoi storici quartieri: San Berillo.

Da quartiere benestante, vissuto e abitato da alcune famiglie della Catania bene e arricchito dal fermento di botteghe e artigiani, è passato ad essere una zona d’ombra, lasciata incompleta e abbandonata a se stessa con lo sventramento avvenuto negli anni 50.

Quartiere di San Birillo

Oggi grazie a diverse associazioni sta assumendo una nuova veste, con la nascita di bar, pub, ristoranti, b&b, particolarmente frequentato la sera.

Catania

Non potevamo andar via da Catania senza aver visitato la Piscaria. Così l’indomani prima di riprendere il nostro tour ritorniamo in Piazza Duomo. Il vivace brusio, la “vuciata”, quell’insieme disordinato e vivace di parole strillate dai pescatori che si mischia ai rumori di lame dei coltelli che affettano e sgusciano pesce freschissimo era riconoscibile già in lontananza.

La Piscaria

D’altronde un antico detto di Catania è ‘Melior de cinere surgo’, dal latino ‘Dalle ceneri risorgo più forte’, e questo è esattamente il sunto della forte anima di questa città che lotta, che si rialza dalle ceneri e brilla in Italia e nel mondo.

A presto Catania.

Sicilia, la riviera dei Ciclopi

Ho visto cose così belle in questi giorni che non ci stanno tutte in una pagina ed io non ho nessuna fretta di esaurirle, così ho deciso di riportare il più possibile.

Sicuramente scriverò un unico articolo riassuntivo ma ora voglio fermare la felicità che ho accumulato, per i periodi di magra che sempre arrivano senza bussare.

Partiamo con un volo diretto Bari- Catania, noleggiamo un auto e risaliamo verso Messina, incontrando tre località facenti parte della cosidetta Riviera dei Ciclopi: Acireale, Acitrezza, Acicastello.

I paesi con questo prefisso, Aci, nella zona di Catania sono diversi e ricordano  il  mito del pastorello ACI ucciso per gelosia dal ciclope Polifemo a causa del suo amore per la ninfa Galatea che trasformò il sangue dell’innamorato in un fiume che scorre sotterraneo e si getta nel mare in un abbraccio eterno con la sua innamorata.

La città di Acireale fu ricostruita nel segno del barocco dopo il terremoto del 1693, anche se la sua fondazione è antichissima: con i Greci e i Romani era un famoso centro termale, grazie alle acque sulfuree provenienti dall’Etna, le stesse apprezzate secoli dopo da Wagner.

Merita una visita la Cattedrale Maria S.S. Annunziata per la meridiana presente all’interno, costruita nel 1843, che segna il mezzogiorno astronomico e dava agli abitanti di Acireale la possibilità di conoscere il segnale delle ore 12, necessario per regolare gli orologi meccanici. Per una scala tortuosa si sale alla torre campanaria da cui si ottiene un impressionante colpo d’occhio sulla città, delle cento campane e dalle oltre quaranta chiese.

Chiesa S.S. Maria Annunziata
Vista della città

Attraverso la riserva naturale della Timpa, un promontorio lavico formatosi con le eruzioni, alto più di 150 metri e affacciato sul mare, si giunge al borgo di Santa Maria della Scala.

Riserva naturale della Timpa
Borgo di pescatori

Questo piccolo borgo di pescatori è davvero bello e affascinante, un posto top secret, tra mare, storia e panorami mozzafiato.

Non si tratta di un percorso qualunque, ma di un sentiero in pietra del XVI secolo, che attraversa i fianchi dell’antichissimo promontorio lavico fino ad arrivare al livello del mare. Un percorso davvero originale, tra natura, costoni lavici e una bellissima vista sul mare.

Acitrezza invece è un paesino affacciato sul mare, tra resti di colate laviche giunte fin qui, leggende e romanzi.

La leggenda vuole che questi faraglioni siano stati lanciati da Polifemo, il gigante con un solo occhio, per tentare di uccidere Odisseo che si dava alla fuga dopo averlo accecato.

Poco distante si trova Acicastello, che si caratterizza per il Castello normanno, situato in una scenografica posizione, su uno sperone di roccia nera vulcanica a picco sul mare da dove la vista spazia sulle isole dei Ciclopi.

Castello di Acicastello
Veduta dei faraglioni di Acitrezza da una delle finestre del Castello

La visita al castello è interessante principalmente per il panorama. Oggi il Castello ospita il Museo Civico oltre che un rilassante giardino botanico.

La sera rientriamo a Catania, dobbiamo riposare l’indomani abbiamo un appuntamento a lungo desiderato con l’Etna.

P.S. Non abbiamo trovato la Sicilia soleggiata e calda che desideravamo ma questo non ci ha fermati 🙂

Viaggiare a marzo

Ormai ho una consapevolezza: marzo per noi è il periodo ideale per regalarci un viaggio.

Se fossi una sportiva sceglierei probabilmente la neve e la montagna, se fossi freddolosa ( ma lo sono 🙂 ) volerei in qualche destinazione esotica per sfuggire al gelo, ma amo i viaggi itineranti e i road trip che sanno regalare sorprese inaspettate!

Cosi decidiamo di risalire la costa salentina iniziando da Castro 🚗.
I locali sul porto di Castro marina non sono aperti ma poco male. Siamo entrati in un negozio di generi alimentari, abbiamo acquistato alcuni salumi e formaggi, una bottiglia di vino ed il nostro aperitivo, vista mozzafiato, era servito.


Castro vanta numerose leggende e approdi leggendari.
Virgilio sostiene che Enea sia qui approdato a seguito della distruzione di Troia per poi proseguire, via terra, la sua rotta verso il Lazio.

Numerose sono anche i racconti che si susseguono intorno alle splendide grotte di Castro, come la Zinzulusa, luogo in cui una fata liberò una fanciulla dalla tirannia del padre.

Chi pensa che Castro sia solo mare si sbaglia. Basta una passeggiata per essere rapiti dalla bellezza della cittadina, delle sue strade e dei vicoli.

Di certo, non sarà il periodo per fare un tuffo in mare, ma fare una passeggiata in riva al mare con le onde che si infrangono sugli scogli è comunque rigenerante.

Viaggiando verso Nord dopo aver lasciato Otranto, sorge, un angolo di paradiso, Porto Badisco, incastonato nella scogliera.

Proseguendo si incontra la Baia dei Turchi, una spiaggia completamente incontaminata, caratterizzata da una vegetazione che cresce lussureggiante sfumando verso la zona sabbiosa. Si tratta della splendida Baia dei Turchi, che deve al suo nome alla tradizionale storia del luogo in questa popolazione sbarcò durante il XV secolo. La spiaggia si può raggiungere unicamente a piedi.

La bellezza delle acque cristalline e il fascino della spiaggia la rendono una meta assolutamente imperdibile.
Per raggiungere il mare ci si addentra in una fitta pineta a macchia mediterranea e seguendo l’ inconfondibile rumore del mare si giunge su questa lingua di sabbia bianca.


Si potrebbe proseguire il trekking naturalistico🚶‍♀️ sino ai laghi Alimini, Oasi naturale protetta, ricca di vegetazione e biodiversità🌱🍀🌾.

Entrambi i laghi sono alimentati da sorgenti di acqua dolce, grazie alla presenza di falde sotterranee che si formano a monte, e che fanno confluire nelle acque dei laghetti l’acqua raccolta dal terreno durante la stagione autunnale ed invernale, carica di piogge.

E’ un paradiso per i naturalisti quest’area, perchè da sempre questi luoghi, grazie alla presenza dell’acqua e di una vegetazione selvaggia e rigogliosa, sono stati una delle soste obbligate dei flussi di uccelli migratori, che, come gli uomini che partivano per le crociate, si radunano nell’area dei laghi per poi fare il gran balzo che li porterà nei paesi caldi dall’altra parte del mediterraneo, in Africa ed Oriente.

Si consiglia di :

  • consultare il meteo prima di partire 🌬;
  • abbigliamento adatto per il trekking. La gonna in tulle tra i rovi della macchia mediterranea non era particolarmente adatta 🤭😛.

I Faraglioni di Sant’Andrea, sono una tappa obbigatoria.

Si tratta di un monumento naturale, uno spettacolo che toglie il fiato in mezzo alla natura incontaminata che sembra quasi lontana dalla civiltà. Ciò che la rende ancora più bella è il disegno astratto delle sue forme che si alternano tra grotte, archi e insenature.

Ultima tappa, pima di rientrare, la Grotta della Poesia, molto diversa dalle foto istagrammate, credo a causa del vento di scirocco che da una certa ora della giornata non ci ha mollato un attimo.

E voi amate i viaggi invernali? Cosa preferite?


Benvenuti in Puglia
WeAreinPuglia

LA FORESTA INCANTATA

Nel centro della Calabria esiste una foresta incantata immersa nella candida neve.


Abbiamo percorso il tragitto in auto e dopo un leggero malessere causato dal viaggio e qualche litigio con mia sorella, finalmente siamo arrivate in questo posto meraviglioso.
Avevamo lasciato le temperature miti del nostro paese e avevamo difficoltà a sbattere le ali per prendere il volo, non eravamo abituate a sprofondare nella neve, per noi era una novità.
Allora, fornite di slittini abbiamo cominciato scivolare giù dalla cima, più e più volte, rotolando ripetutamente.
Quanto divertimento!

Finalmente all’interno di una cabinovia siamo riuscite a raggiungere il punto più alto della montagna, guadando tutto dall’alto.

Qui la neve era ancora più alta ed il sole faceva sentire tutto il suo calore e la sua luce.
Ho costruito “Scheletrino” e con Marco abbiamo plasmato un pupazzo di neve bellissimo, che per poco ha indossato il mio cappello, mentre Marco lo ha avvolto con la sciarpa del Taranto.

Abbiamo continuato il nostro volo sino lago di CECITA.
Il centro del lago era ghiacciato mentre sui bordi il ghiaccio era come una sottile membrana, tutt’intorno solo silenzio e neve.

E’ STATA UNA GIORNATA INDIMENTICABILE

Nicole ❤

L’Abbazia di Cerrate

L’Abbazia di Cerrate è l’unico bene dei Fai in Puglia, assolutamente da visitare.

Un Manoscritto greco del 1154 fa risalire l’Abbazia a Boemio D’Altavilla, principe di Taranto. Il principe individuò, per la fondazione dell’Abbazia, un luogo dove già esisteva un insediamento rupestre di monaci greci.

Ma la tradizione leggendaria attribuisce la fondazione a Tancredi D’Altavilla, personaggio della storia medioevale leccese avvolto nel mito.

Costui avrebbe costruito l’Abbazia dopo l’apparizione della Madonna, che inseguiva un cervo in una grotta (da qui il nome Cerrate).

Trasformata poi in un monastero bizantino, e grazie alla sua posizione strategica, divenne presto uno dei piu importanti monasteri dell’Italia Meridonale.

Con il passare del tempo, l’Abbazia fu tramutata in masseria e successivamente saccheggiata dai pirati turchi per rimanere abbandonata per secoli.

Navata centrale
porticato sostenuto da ventiquattro capitelli
Affreschi interni della Chiesa, una chiara testimonianza bizantina

Intorno alla chiesa, un antico pozzo, un frantoio apogeo per la produzione dell’olio e un frutteto.

Nel 2016 la scoperta di uno stampo eucaristico unico nel salento, utilizzato per la timbratura del pane benedetto.

Foto dal web

Dopo la visita a Cerrate non potevamo non fare un salto a Lecce.

Vi ritroverete ad ammirare archi e palazzi dalle incredibili caratteristiche, decorati con una sorta di linea immaginaria che pone nella parte superiore figure angeliche e divine, e in quella inferiore personaggi e figure prettamente pagane.

Cosi con lo sguardo all’insù troviamo sull’angolo di un palazzo, in via Federico D’Aragona, una piccola testa di donna che racconta l’amore perduto.

La leggenda narra che sia stata commissionata da un ragazzo dopo la morte della donna di cui era innamorato (che abitava di fronte all’edificio) per poterla vedere sempre.

Lasciamo questa particolare leggenda e ci dirigiamo verso Piazza Duomo. E’ sera e la pietra leccese sfoggia i suoi colori più belli, complice Luna.

A sinistra l’ingresso del Duomo.
Ingresso visibile che corrispondente alla navata laterale della Chiesa

Piazza Duomo è il cuore religioso della città, ha un solo punto d’accesso e questo la rende unica come Piazza. La peculiarità del Duomo è anche la presenza di due facciate.

La ricostruzione della Chiesa in stile barocco leccese e del campanile sono legate all”evento della peste che aveva colpito Napoli nel 1656 e aveva miracolosamente lasciato incontaminato la Terra d’Otranto.

Tale miracolo venne attribuito all’intercessione di Sant’Oronzo ed il Vescovo Pappacoda sostenne l’elevazione del Santo a protettore della città, riconquistando cosi la gestione del sacro in un momento travagliato e legando il suo nome in modo indissolubile alla storia religiosa e culturale della città.

Il Campanile risulta separato dal corpo della cattedrale e determina rapporti spaziali dall’effetto ottico a dir poco teatrali, trovandosi in proporzione solo quando ci si trova d’avanti all’ingresso laterale.

Passeggiando in Lecce è facile imbattersi in luoghi nascosti e non molto blasonati, tra questi il Museo Faggiano.

Trattasi di un palazzo storico. Nel 2001 il proprietario dell’immobile fu costretto a rompere la pavimentazione allo scopo di cambiare i tubi che procuravano umidità ai muri. E fu proprio durante i suddetti lavori che iniziarono a riaffiorare testimonianze storico-archeologiche di notevole interesse.

Ed ecco che un palazzo storico, per caso, si trasforma in un museo.

Quando vieni a Lecce inizia camminare, perditi tra i vicoli, alza gli occhi al cielo per ammirare i balconi barocchi, gli splendidi palazzi, perchè come ha detto qualcuno Lecce si visita con il naso all’insù.

La Basilicata ci sorprende

Inizia così la nostra passeggiata alla scoperta di Venosa, in una domenica mattina di gennaio.

Situata nell’area del Vulture è iscritta nell’elenco de “I Borghi più belli d’Italia”, è uno dei luoghi imperdibili per storia, cultura e fascino mistico.

Non a caso, nel 291 a.c., fu scelta dai Romani come avamposto strategico per la conquista ed il controllo del territorio lucano e pugliese ed il nome fu scelto in onore della Dea Venere, Venusia.

Iniziamo il tour dal parco archeologico,  che permette di vedere e scoprire la vita ai tempi dell’Antica Roma che qui si svolgeva.

All’interno degli scavi si possono vedere le meravigliose terme con i pavimenti di mosaico, le domus più ricche e una porzione di pavimento di una domus con un incredibile mosaico rappresentante la testa di Medusa, oltre agli ambienti dove gli schiavi alimentavano le fornaci che riscaldavano acqua e aria a beneficio dei ricchi Romani.

Attraverso il parco si giunge all’Incompiuta, uno dei monumenti più emblematici, unici e affascinanti, il cui progetto, per vari motivi politici e sociali viene interrotto. Entriamo nella struttura che però non ha il tetto e nemmeno il pavimento, ma tutto attorno è possibile vedere la costruzione con le sue immense colonne e le torrette costruite a metà. Ci soffermiamo a vedere il materiale utilizzato per costruire l’Abbazia, reperito dalla città romana adiacente e da insediamenti ebraici presenti nella città.

Dalle mura della struttura è possibile riconoscere scritte in latino, stelle di David, simboli che identificano i Cavalieri Templari, le une accanto alle altre, nonchè due lastre che presentano lunghe epigrafi con nomi di gladiatori.

L’Abbazia, mai portata a termine, avrebbe dovuto costituire il naturale completamento della Chiesa della Santissima Trinità, anch’esso un luogo importantissimo perchè permette di scoprire tutti gli strati di questo territorio, visibili all’interno grazie  ai lavori di restauro che hanno ridato vita alle fondamenta che nascondono incredibili mosaici e cappelle pagane.

Proseguendo il giro, si giunge all’imponente Castello Aragonese con il profondo fossato ed i torrioni circolari, oggi sede del Museo Archeologico, allestito con percorsi interattivi.

Merita una visita il centro storico con le sue vie e viottoli in cui ammirare la fontana con il Leone di Pietra, la statua del sommo poeta Orazio e la sua abitazione.  La casa in verità è solo un locale termale di una casa patrizia e non esistono prove certe che sia la casa in cui nacque Orazio, resta comunque una testimonianza interessante di una costruzione romana a mattoni, attualmente non accessibile..

E naturalmente non può mancare una sosta alle cantine dell’Aglianico del Vulture, un vino buonissimo.

Lasciamo Venosa ed una deviazione, su strada sterrata, ci conduce alla chiesetta con il suo campanile svettante. Pur essendo spoglia non è difficile immaginare quale importanza abbia avuto nei tempi passati, quale punto di riferimento della vita religiosa e sociale.

Restiamo ammaliati, dal silenzio e dalla pace che respiriamo.

Ci allontaniamo da questa chiesa e dalle  mille storie che potrebbe raccontare, custodite al suo interno, con la promessa di ritornare quanto prima a godere di questo silenzio e del tempo, che qui sembra fermarsi.

La Puglia meraviglia anche in inverno.

Nel nostro immaginario  associamo la Puglia al mare, sole, estate, buon cibo e vacanze, ma nel mese di dicembre si mostra sotto altra veste diventando simbolo del Natale romantico e legato alle tradizioni.

Che sia Monopoli, Polignano, Alberobello o Conversano, ci addentreremo nei vicoli del centro storico tra stradine strette e tortuose, dove sui muri delle case ci sono ancora i rami del bouganville e gelsomino in fiore e graziosi ciclamini rossi  fanno capolino dalle piccole finestre che come teche vengono illuminate ad intermittenza da mini lucciole colorate.

Ed è  proprio in questo labirinto di strade strette che gli abitanti addobbano con cura il Natale come se fossero corridoi di appartamenti. La sensazione è proprio questa, camminare non fuori casa, ma dentro casa e sentirne anche il calore e l’accoglienza.

Prima tappa Monopoli.

L’area portuale, di Monopoli, si accende, di un inedito spettacolo di luci e colori, quest’anno ispirata alla favola del Grinch, un folletto dispettoso che detesta l’atmosfera di gioia tipica delle feste natalizia. Cosi decide di sabotare la festa, rubando regali e decorazioni.

Ma non aveva previsto che lo Spirito del Natale regna sovrano nel paese e gli abitanti del villaggio da lui saccheggiato gli dimostrano che la festa non è legata solo alle cose materiali.

Cosi, le immagini proiettate sul porto, da sempre simbolo di apertura e scambio culturale, augurano la condivisione di sentimenti quali la fiducia e la speranza.

Continuando lungo la costa siamo giunti a Polignano a Mare: chi non conosce le sue terrazze a picco sul mare e il ponte che scavalca Lama Monachile col suo meraviglioso panorama?

Immaginateli a Natale!

Le decorazioni, qui, hanno come filo conduttore il mare.

Parlando di Natale, non può mancare Alberobello la capitale dei Trulli e Patrimonio Unesco, dove  le luci di Natale sono proiettate sui coni dei trulli sottoforma di multicolor e poliedrici simboli e decorazioni.
Non mancano addobbi per le strade, la pista di ghiaccio e le installazioni luminoseper il Presepe di Luce.

Infine Bari ed il  Teatro Margherita, un meraviglioso edificio stile liberty, su palafitte,  davvero maestoso e scenografico.

Fa da cornice a barchette in legno colorate ormeggiate nel piccolo porticciolo, dove è possibile, di giorno, trovare i pescatori stravaganti che vendono il pescato del giorno, N’derr’a la lanze”, che tradotto significa “ai piedi delle barche”,  

Ci addentriamo così nel centro storico, dove la presenza delle “signore delle sgagliozze”, prima che con la vista, si percepisce dall’odore di frittura che, quando cala il sole, inizia a prendere il posto di quello di ragù e di bucato.

Natale è un momento magico, ma con voi accanto è stato molto di più.

A voi, con tutto l’amore che ho.