Borghi più belli d’Italia: Presicce.

Quando si parla del Salento, nella mente proiettiamo immagini legate a spiagge sabbiose e acque cristalline, ma il Salento è anche borghi e paesi dove respirare il vero spirito pugliese, fatto di tradizioni, storie e sapori. Tra i borghi più belli d’Italia c’è Presicce.

Non appena giungi nel centro storico di Presicce, sei accolto da scorci pittoreschi, vicoli e piazzette che ti catapultato in un’atmosfera d’altri tempi che raccontano la doppia anima di questo luogo, una gentilizia e l’altra contadina.

Ci sono molti palazzi ben conservati, ma essendo di proprietà privata, la maggior non è visitabile all’interno, se non in alcune giornate dedicate, come “Presicce in mostra”.

Possiamo però ammirare le facciate dei palazzi, ingentilite da cornici e archi cinquecenteschi, lungo tutto il tragitto che ci porta sino a Casa Turrita, uno degli edifici storici più particolari del borgo. Edificato nel XVI secolo come parte integrante del sistema difensivo dell’abitato, presenta ancora alcuni elementi originali, come le feritoie, e si distingue per la facciata decorata in bugnato a punta di diamante.

Il Palazzo Ducale, nato su un fortilizio normanno del 1500, è viistabile. Nei secoli ha subito diversi interventi, non da ultimo quello del 1630, in cui la principessa D. Maria Cito Moles volle l’aggiunta della loggia, dei giardini pensili e di una nuova cappella palatina.

Attualmente il Palazzo ospita al suo interno il Museo della Civiltà contadina, riunendo gli attrezzi da lavoro utilizzati da contadini, falegnami, ciabattini e muratori presiccesi. Salendo uno scalone del 1700, al primo piano, si trova una ricostruzione della tipica casa contadina con camera da letto, un telaio e la cucina.

Una volta terminata la visita al museo, senza uscire dal palazzo è possibile raggiungere i giardini pensili da cui si gode la vista sulla Chiesa Madre e Palazzo Villani.

Ci sono voluti solo tre anni (1778-1781) per costruire e inaugurare la Chiesa matrice. In stile tardo barocco, decisamente più sobrio rispetto a quello leccese, è stata costruita su una vecchia chiesa del 1500 (di cui rimane l’antica torre campanaria). Come in molte chiese del Salento, anche in questa vi è un altare dedicato a S. Oronzo che ha protetto questa terra dalla peste del 1656.

Davanti all’ingresso della Chiesa Madre si trova la Colonna di S. Andrea, dedicata al patrono e costruita nel ‘600. Le quattro statue ai lati, tre delle quali acefale, rappresentano le quattro virtù cardinali: Prudenza, Giustizia, Fortezza e Temperanza. La statua non è rivolta verso la chiesa, ma verso Santa Maria di Leuca, antica via dei pellegrinaggi, forse come forma di protezione.

La colonna racconta anche una storia d’onore e di sangue. Pare infatti che nel XVII secolo il Signore dell’epoca obbligasse le novella spose a passare con lui la prima notte di nozze, lo Ius Primae Noctis. Ma nel 1655, durante i festeggiamenti del Carnevale, il principe si affacciò alla finestra del Castello per salutare i cittadini e ad attenderlo vi era anche un uomo mascherato che deciso a vendicare l’oltraggio subito dall’amata, gli sparò un colpo, uccidendolo.

Questo sarebbe il motivo per cui gli abitanti di Presicce, sono conosciuti in tutto il Salento con il soprannome di Mascarani.

Il Salento, si sa, è da sempre una delle culle privilegiate dell’olio e Presicce, grazie al suo ottimo extravergine d’oliva, si è aggiudicato il titolo di Città dell’Olio.

Di fatto il vero tesoro del borgo, quello che lo rende unico nel suo genere, è rappresentato dal sottosuolo dove si sviluppa un sorprendente dedalo di frantoi ipogei – noti anche come trappeti a grotta– che conservano ancora oggi gli antichi torchi e macine con cui, tra il XIII e gli inizi del XX secolo, si produceva l’olio “lampante che dal porto di Gallipoli partiva ad illuminare le strade di mezza Europa.

Dei ventitré frantoi in attività, oggi ne restano diciassette alcuni dei quali sono stati recuperati, come il frantoio di via Gramsci e quelli sotto piazza del Popolo, risalenti al XIV secolo.

Scoprirete che i pozzi di decantazione dell’olio funzionavano grazie al principio dei vasi comunicanti e che la temperatura in inverno all’interno dei frantoi era sempre mite e costante, intorno ai 18-20°, grazie anche alla fermentazione delle olive e al calore prodotto dalle lampade ad olio che funzionavano ininterrottamente e dalla fatica degli uomini e degli animali.

La nostra giornata è proseguita alla scoperta delle casine di campagna. Eleganti edifici a due piani, funzionali all’economia agricola del tempo e utilizzati anche come residenza. Presentano portali e scenografiche scalinate con elementi decorativi di derivazione napoletana o di ispirazione spagnola.

Solo 16 km separano Presicce da Santa Maria Di leuca, così decidiamo di rotolare verso sud, sino ad arrivare nel punto più a sud di tutta la regione, dove il mar Adriatico incontra il mar Ionio e godere di un tramonto pennellato da mille sfumature di rosso. Siamo a punta Ristola.

In questa lingua di terra si apre la Grotta del Diavolo. Una grotta che deve il suo nome alle sue particolari caratteristiche: è buia, l’accesso dal piano di capestio è particolarmente ripido, ma soprattutto al ruggito delle onde che si infrangono.

Il Salento è ricco di tradizioni popolari, enogastronomia, borghi nascosti che invitano a un turismo slow e ha ritrovare il proprio ritmo lento e noi amiamo perderci in questa lingua di terra.

La Napoli che incanta.

Napoli è stata veramente una gita fuori porta, durata pochissimo di cui sentiamo già la mancanza.

Arrivati il sabato di buon’ora, abbiamo percorso il Miglio Sacro, un itinerario chescende” da Capodimonte attraverso le Catacombe di San Gennaro e arriva nel cuore del quartiere Sanità. Questo tour vi consentirà di scoprire luoghi bellissimi e nascosti della città:

  1. Catacombe di San Gennaro.
  2. Basilica di San Gennaro extra moenia.
  3. Basilica di Santa Maria della Sanità.
  4. Cripta delle Catacombe di San Gaudioso (esterno).
  5. Basilica di San Severo fuori le mura e Cappella dei Bianchi con visita esclusiva all’opera “Il figlio velato” di Jago.
  6. Palazzo Sanfelice e dello Spagnuolo.
  7. Porta San Gennaro.

La visita ha inizio dalle Catacombe di S. Gennaro, disposte su due livelli non sovrapposti e caratterizzate da ambienti molto ampi, rispetto a quelli delle catacombe di Roma, poiché scavate nel tufo napoletano, materiale facilmente lavorabile e nello stesso tempo resistente. Scendiamo nel livello Superiore della Catacomba dove si è subito immersi in questa antica città fatta di gallerie, cubicula, arcosoli, loculi a parete o scavati nel suolo.

In un arcosolio del VI sec. è raffigurata una famiglia con una bambina al centro, morta all’età di soli 10 anni. Le vesti preziose ed i gioielli suggeriscono che trattasi di una famiglia agiata, ma la vera particolarità di questo affresco è di essere composto da tre strati sovrapposti, infatti alla morte di ogni componente della famiglia, l’affresco veniva ridipinto

L’espansione della Catacomba Superiore avvenne a cominciare dal V secolo a seguito della traslazione delle reliquie di S.Gennaro in questa catacomba, che da lui poi prese il nome.
La catacomba infatti divenne un luogo di pellegrinaggio e un luogo ambito di sepoltura e da qui la necessità di scavare altre gallerie e cubicula per dar modo di essere seppelliti più vicino possibile al Santo.

Finito il tour sotterraneo siamo riemersi in uno spazio caotico, con una moltitudine di voci difficili da distinguere, motorini sfreccianti e musica ad alto volume proveniente da una palazzina sopra il nostro naso, dove tre bambine ed un cane si affacciavano al balcone in canotta, improvvisando balletti con il piumino della polvere. Napole è un bel caos.

Eravamo nel Rione Sanità e qui la bellezza è ovunque, scritta sui muri, nei vicoli, nel profumo dei panni stesi e in quello irresistibile di fritto.

Ci siamo addentrati nel mercato di vie delle Vergini, in un brulichio di gente che si muoveva da una bancarella all’altra, tutte colorate, colme di ogni tipo di merce in bella vista, con cartelli a volte anche molto bizzarri e fantasiosi.

Ai margini di piazza Cavour, l’ingresso del Palazzo dello Spagnolo, quasi nascosto dall’affollato mercato locale. Si tratta di uno dei più antichi ed affascinanti palazzi nobiliari di Napoli, capolavoro dell’architetto Sanfelice. Oggi il palazzo è divenuto un condominio e la sua proprietà è divisa tra molteplici famiglie.

Sempre lungo via Sanità vi è anche il Palazzo Sanfelice, simbolo del passato nobiliare della città partenopea, di quegli anni d’oro in cui Napoli era una delle capitali europee.

Il Palazzo si presenta grigio, in netto contrasto con il vicino Palazzo dello Spagnolo che appare restaurato e dai colori vivaci. Tuttavia, forse, è proprio questo suo aspetto trascurato a conferirgli l’enorme fascino di cui gode oggi, immortalato anche in tanti film e serie televisive.

Nel Rione Sanità – forse più che in altri luoghi – l’arte di strada (street artist) viene spesso usata per denunciare, per far conoscere, comprendere e per sensibilizzare. Lo fa Banksy e lo segue Jacopo Cardillo, in arte Jago, l’artista di Frosinone di fama internazionale, che ha scolpito, il Figlio Velato. L’opera nata a New York ha trovato la sua collocazione a Napoli e racconta la storia di un bambino, vittima innocente delle scelte degli adulti. È una storia di criminalità, di migrazioni, di stragi e di sacrifici inaccettabili. Un’opera che parla da sola.

Nel pomeriggio ci siamo dirette al Monastero di Santa Chiara, risalente al 1310, voluto dal re Roberto d’Angiò e sua moglie. Probabilmente fu proprio sua moglie che decise di realizzare questa piccola cittadella francescana, forse per rendere omaggio al suo desiderio represso di vita monastica. Tra i pittori che affrescarono la Basilica annessa al Monastero, Roberto D’Angiò chiamò anche Giotto. Purtroppo del passaggio di Giotto a Napoli, in Santa Chiara, restano solo piccoli frammenti.

Molto poetico il chiostro maiolicato delle Clarisse, trasformato nel 1742 da Domenico Antonio Vaccaro con pilastri, intervallati da sedili maiolicati con motivi agresti, marinari e mitologici. Il connubio tra gli accesi colori delle maioliche e il profumo degli agrumi riporta in Andalusia.

Il complesso monumentale di Santa Chiara è sopravvissuto negli anni e al susseguirsi di vicissitudini che lo hanno messo in pericolo, non ultimo il bombardamento aereo del 1943 che sventrò la basilica riducendolo in macerie. Seguirono restauri piuttosto incisivi.

Dal monastero è semplice arrivare in via San Gregorio Armeno, famosa in tutto il mondo per i suoi presepi. Qui la tradizione presepiale ha origine antica e il mestiere di solito viene tramandato di padre in figlio. È difficile descrivere a parole o con immagini la moltitudine di botteghe, negozietti e bancarelle coloratissime, che sono aperte tutto l’anno.

Sempre nel centro storico di Napoli è tornata visitabile la Chiesa di Santa Luciella ai Librai, famosa e conosciuta come la Chiesa del teschio con le orecchie. Dalla Sacrestia poche scale conducono allIpogeo, luogo dedicato alle sepolture e al culto delle anime “pezzentelle”.

Nel 1656, periodo tristemente noto per l’epidemia di peste, chi perdeva la vita veniva seppellito nelle fosse comuni e per questo motivo si perdeva l’identità dei cadaveri che non potevano più essere pregati nei luoghi di memoria. Da qui derivò l’usanza di adottare un teschio, una capuzzella, di cui prendersi cura per offrire conforto alle anime del Purgatorio in cambio di una grazia.

Quando i miracoli chiesti si avveravano, le donne erano solite ricompensare le capuzzelle portando in dono degli ex voto, spesso dalle connotazioni tipiche del miracolo ricevuto. All’interno della Chiesa di Santa Luciella se ne notano infatti di ogni tipo e spesso rappresentanti le parti del corpo che erano guarite proprio per merito della grazia ricevuta.

All’interno dell’Ipogeo è possibile notare una capuzzella davvero molto particolare rispetto alle altre: un teschio che sembra avere le orecchie e per questo motivo considerato speciale rispetto agli altri in quanto più “ricettivo” alle preghiere, da qui “Chiesa del teschio con le orecchie”.

Recenti studi condotti dai paleopatologi hanno in realtà stabilito che si tratta di un fenomeno di distaccamento dalle pareti laterali del cranio. Oggi molti visitatori si uniscono al culto della “capuzzella” lasciando nell’ipogeo bigliettini con preghiere.

Napoli è veramente bella e il Rione Sanita’, che spesso non viene inserito nell’itinerario di viaggio è stato dirompente, energico e bello.

Il giorno dopo dovevo mantenere una promessa fatta a Giada e siamo state al Gran Cono del Vesusio. E’ stato veramente bello ed emozionante.

Lo spettacolo davanti ci offriva una delle più belle vedute sul Golfo di Napoli.

Vedere il Vesuvio da vicino, anzi, avere il cratere principale ad un palmo dal naso, che in alcuni punti sbuffa è straordinario. Ne La Ginestra Leopardi scriveva che, nonostante la sua presunzione, l’uomo può nulla contro la natura, che l’uomo è infinitamente piccolo. Sul camino vulcanico ci si sente veramente piccoli, ma circondati da maestosa bellezza.

Prima di tornare a casa siamo ritornate indietro verso Napoli per scoprire uno dei borghi più belli della zona. Il porticciolo di Posipillo, “Mare Chiaro”.

E’ una domenica di Gennaio che sa di primavera, che corre. Ci sono 17 gradi in questo angolo colorato che profuma di mare.

La Campania sorprende sempre.

Roma, a presto.

Con questi ultimi ricordi si chiude il breve viaggio a Roma.      Nelle gambe abbiamo ancora gran voglia di andare, di vedere, perchè la grande sfida non è solo accumulare ricordi, ma vedere, vivere.

Per quest’ultimo giorno ci siamo rivervati la visita ad un palazzo antico, ingrigito dallo smog della città, ma ancora sontuoso: palazzo Doria Pamphilj, di proprietà della nobile famiglia che ha fatto la storia di Roma. La casata annovera un papa, Innocenzo X, dal quale ebbe origine la collezione ospitata ancora all’interno del palazzo. E’ lo stesso erede Jonathan Doria Pamphilj, ha raccontarci la storia della famiglia attraverso l’audio guida. Il pontefice Innocenzo X nominò nel 1644 suo nipote Camillo cardinale, lui però disattendendo la volontà dello zio, rinunciò alla propria carica cardinalizia per sposare Olimpia Aldobrandini. Olimpia portò in dote il palazzo e una grande collezione di dipinti e sculture, che affluirono in quella che oggi è nota come la collezione Doria Pamphilj.

L’impressione entrando è di grandiosità e magnificenza.         La collezione racconta il raffinato gusto delle famiglie Pamphilj e Aldobrandini, che nei secoli non si fecero mai mancare opere dei più grandi artisti, da Caravaggio a Guido Reni, da Raffaello ad Annibale Carracci, Carlo Saraceni e Velazquez.

Il capolavoro di Velazquez ci attende in una piccolissima sala blu, affiancato al busto realizzato da Gian Lorenzo Bernini. Impossibile non rimanere sopraffatti dell’intensità dello sguardo di Innocenzo X, che sembra ci osservi da dentro il dipinto.

Da Palazzo Doria ci siamo diretti verso Piazza Navona, arredata in questo periodo da bancarelle, luci, pallocini e dall’iconica giostra. La Piazza è una delle più caratteristiche di Roma, costruita dalla famiglia Pamphili, simbolo della Roma barocca.

Interamente rivestita di sampietrini ha un obelisco e tre fontane, la Fontana del Moro, la Fontana del Nettuno e la più nota, la Fontana dei Quattro Fiumi opera del Bernini.    

Non poteva mancare la mostra “Emotion” d’arte, presso il Chiostro del Bramante, un percorso espositivo dedicato ai sentimenti, in cui stupirsi, commuoversi, gioire, ma anche provare imbarazzo, paura e nostalgia.

In una stanza l’unico arredo era un materasso, con quali e quante parole può essere identificato? Per me è OFF, fermarsi, restare in silenzio, non aver fretta, anche se quella fretta io ce l’ho addosso e fa parte di me da sempre. Ma è stato comunque un bagliore che induce a riflettere.

La struttura, progettata dal Bramante, al suo interno ospita anche una sala decorata su tutte le pareti, soffitto compreso, con la coloratissima opera “Love Trap!” degli artisti Fallen Fruit. La sala si chiama “stanza delle Sibille” per via di una finistrella che affaccia proprio sull’opera affrescata di Raffaello, “Sibille e Angeli”, situata nell’adiacente Chiesa di Santa Maria della Pace.

Al tramonto decidiamo di attraversare il ponte più scenografico della città, con tutte le statue che, a destra e a sinistra, accompagnano lo sguardo di chi raggiunge Castel Sant’Angelo. Sono trascorsi quasi duemila anni dalla costruzione nel 123 d.C. del mausoleo funebre fatto erigere dall’imperatore Publio Elio Traiano Adriano, per sè e per la sua famiglia.

Durante questi diciannove secoli di storia questo monumento romano ha subito molte modifiche strutturali e cambiamenti d’utilizzo, da sepolcro imperiale a castello fortificato, da palazzo rinascimentale, residenza papale, a oscura prigione, giungendo infine ai giorni nostri in veste di museo.

Il nome di Castellum Sancti Angeli  fu dato al monumento nel IX secolo per la diffusione in quell’epoca della leggendaria apparizione avvenuta nel VI secolo, dell’Arcangelo Michele che rifoderò la sua spada fiammeggiante mentre era in corso una processione religiosa di tre giorni, per chiedere la fine di un’epidemia di peste che devastava la città.
Venne anche collocata sulla sommità del castello una statua in legno dell’Arcangelo Michele, che nei secoli è stata sostituita da altri esemplari.

E’ già sera e i nostri bagagli sono pronti per il treno delle 17 del giorno dopo. Avevamo ancora tempo da dedicarci.              Così abbiamo deciso la mattina seguente di andare a Villa Borghese, un parco nel cuore di Roma che nasce nel 1600 come villa di proprietà della famiglia Borghese per poi allargatasi nel tempo con nuovi possedimenti. Nel 1901 venne acquistata dallo Stato Italiano e due anni dopo ceduta al Comune di Roma. Siamo arrivate al laghetto, dove sorge un piccolo tempio dedicato ad Esculapio, siamo saliti, su una barchetta a remi e ci siamo immersi tra cigni, papere e simpaticissime tartarughe, in un turbineo di risate.

Da non perdere il panorama offerto dalla Terrazza del Pincio, che si affaccia direttamente su Piazza del Popolo.              

Un viaggio di tre giorni che, con questa scrittura e questi scatti, si è già trasformato in uno splendido ricordo.

Roma antica, 2°giorno

Il nostro appartamento si trovava nel quartiere Rione Monti, una posizione davvero strategica e molto tranquilla, a pochi passi dal Colosseo, che con la sua imponente struttura e l’aurea mitica si staglia limpido all’orizzonte.

Abbiamo acquistato i biglietti attraverso una piattaforma specializzata, poiché comprarli direttamente dal sito del parco è stata un impresa pressoché impossibile, anche settimane prima della partenza.

Il Colosseo, originariamente conosciuto come Anfiteatro Flavio, è un monumento iconico di Roma, costruito nel I secolo d.C., durante il governo degli imperatori della dinastia Flavia e poteva ospitare fino a 80.000 spettatori. Era utilizzato per una varietà di eventi pubblici, tra cui giochi gladiatori, battaglie navali simulate, cacce di animali selvatici e rappresentazioni teatrali.

La mattina era dedicata alle “venationes”, ossia la battaglia e la caccia di animali selvatici. Conclusa la caccia, e rimosse le carcasse, l’anfiteatro era pronto per le esecuzioni, gare di atletica e spettacoli comici. Al tramonto arrivava il momento più atteso della giornata, quello dei combattimenti tra gladiatori, che si sfidavano fino alla morte o alla resa di uno dei due.

Fa strano pensare che in questa arena gladiatori e prigionieri si affrontavano in combattimenti all’ultimo sangue per dare spettacolo all’imperatore.

Usciti dal Colosseo siamo entrati nell’area dei Fori Imperiali, un vero labirinto tra resti dei fori costruiti da Cesare, Augusto, Nerva e Traiano.

Fu il brillante intelletto di Cesare a partorire la geniale idea di erigere il primo sito e nel 46 a.C. iniziarono i lavori.

Nel Medioevo i fori subirono un lento ma inesorabile processo di demolizione e molte perle del complesso archeologico sparirono, per lasciare posto ai primitivi complessi urbani di case popolari e edifici religiosi. Per fortuna negli anni 30, prese il via il progetto finalizzato a restituire al mondo questo splendido museo a cielo aperto.

Dopo un piccolo spuntino ci siamo avviati al Pantheon. Costruito nel 27 a.C. da Agrippa e riedificato da Adriano (110-125). Inizialmente era luogo di culto pagano, per divenire poi una chiesa cristiana e mausoleo di uomini illustri (i re d’Italia Vittorio Emanuele II e Umberto I).

La cupola del Pantheon è un vero gioiello di tecnologia che ha retto a 2000 anni di terremoti. Venne costruita seguendo una tecnica d’avanguardia che usava materiali sempre più leggeri mentre ci si spostava verso l’alto. Al culmine c’è una grande apertura detta oculus’, l’occhio dal quale penetra l’unica fonte di luce che ha consentito gli studi di astronomia. Si dice che nel Pantheon non piova mai. In realtà l’apertura crea un “effetto camino” cioè una corrente d’aria ascensionale che porta alla frantumazione delle gocce d’acqua. Così, anche quando la pioggia fuori è battente, la sensazione è che all’interno piova meno. Centralmente, sul pavimento, ci sono poi fori di drenaggio, che impediscono il formarsi di pozzanghere.

Proseguiamo verso la bellissima fontana di Trevi e ci fermiamo per le foto, non dimenticando di effettuare il rituale lancio della monetina. La Fontana di Trevi è un capolavoro barocco di marmo bianco che contrasta con il turchese dell’acqua della vasca. Raffigura il dio marino Oceano su un carro trainato da cavalli guidati da tritoni. E’ una delle location più amate e conosciute di Roma, sempre particolarmente affollata.

Dalla Fontana di Trevi raggiungiamo Piazza di Spagna, la scalinata brulica di gente.

Prima di partire ho l’abitudine di stilare una lista di luoghi particolari da vedere e nell’elenco avevo inserito l’ospedale delle bambole, in via Roma.


Avevo letto che trattasi un’officina storica che produce e ripara bambole, dal 1939. Avevamo immaginato un luogo di pura poesia, con tantissimi occhi di bambole di tutti i colori, ma anche braccia e gambe, i cosidetti pezzi di ricambio. Immaginate la nostra delusione nel vedere un restauratore poco incline, in quel momento, a spiegare perchè non ci fosse un reparto ospedaliero di bambole.

Ma non è stata questa la nostra meta finale.

Eravamo desiderosi di visitare la Basilica di San Pietro. Ed eccoci, dopo quasi 30 minuti a piedi, immersi nella omonima piazza, come piccole formichine. Attorno a noi i due colonnati semicircolari che conducono verso la Basilica posta al centro. La coda per entrare nella Basilica era abbastanza scorrevole e mancava veramente poco alla chiusura dei tornelli.

Superati i dovuti controlli, abbiamo varcato questo scrigno, dove sono conservate opere d’arte dal valore impareggiabile come la Pietà di Michelangelo, la Cupola di Michelangelo e, lungo la navata centrale, il Baldacchino di Bernini. La Basilica di San Pietro è incantevole, immensa e affascinante allo stesso tempo.

Termina così il diario di viaggio del nostro secondo giorno in Roma. Stanchi, affamati e con tanta voglia di riposare, decidiamo di risparmiare le ultime forze, cenando a casa dopo aver acquistato tutto il necessario presso il mercato Rione Monti.

La mia app “contapassi”, a fine serata segnava 14 km, 22.421 passi.

Massafra terra magica.

Massafra è un gioiello incastonato nella natura, rappresentata qui in modo prorompente da suggestive gravine, che custodiscono antiche storie e preziosi habitat naturali. Questa gravina antropizzata già dal Neolitico, racchiude al suo interno un ambiente naturalistico ricco di grotte, aromi e mistero. Si contano ben 200 nuclei abitativi.

Il nostro trekking è iniziato con una vista mozzafiato sulla Gravina e sul santuario della Madonna Della Scala, che con i 125 gradini consente l’accesso sul fianco orientale della Gravina di Massafra. Il santuario è incastonato nella roccia ed è intitolato alla santa protettrice della città dal 1776. La storia del santuario trae origine dalla leggenda del “miracolo delle cerve” secondo cui, intorno al Trecento, due cerve braccate dai cacciatori s’inginocchiarono nel punto in cui vi era un affresco bizantino della Vergine. In memoria dell’evento, nel luogo del miracolo fu eretta una piccola cappella. L’affresco è ancora oggi il cuore del santuario.

Accanto alla chiesa c’è una cripta, al cui interno sono conservati un affresco del XIII secolo con la Madonna della Buona Nuova ed una bellissima S. Caterina d’Alessandria, riconoscibile dalla corona di regina e dalla ruota dentata del martirio.


Attraverso una porticina accanto alla chiesa e superando un ipnotico corridoio nella roccia, ci siamo ritrovati immersi in una lussureggiante vegetazione, nota come Valle delle Rose.

Lungo il percorso abbiamo visitato le grotte utilizzate come abitazioni, articolate in due o tre vani destinati a camera da letto, soggiorno e cucina, arredate da nicchie sulle pareti per gli oggetti e l’illuminazione, da pozzetti per lo stivaggio dei cereali e dei legumi, dalla cisterna esterna per la raccolta dell’acqua.

Vi sono anche altre cavità destinate agli animali domestici, alla vinificazione, alla spremitura delle olive e alla panificazione. L’espansione urbanistica del villaggio è avvenuta dal basso verso l’alto e in alcuni punti si scorgono i diversi livelli sovrapposti di abitazioni, collegati da scale e cenge aeree.

La magia ha sempre suscitato un certo fascino sull’essere umano. Egli la teme, ma allo stesso tempo ne è attirato. Vi è mai capitato di imbattervi in quello che viene chiamato “affascino”? O nella tagliatrice di Vermi? Sono racconti della tradizione popolare che un pò tutti abbiamo ascoltato. Chissà se qualcuno di voi è anche testimone di queste antiche pratiche. Potrebbe essere argomento di un prossimo racconto.

Massafra, per esempio, si è costruita una fama su questa tradizione popolare, non a caso viene chiamata la “terra dei masciari”.

Legata a questa credenza è la figura di un alchimista, che intorno all’anno 1000 viveva con la figlia nella Gravina delle Rose, dedicando le proprie giornate al trattamento di piante officinali per ricavarne unguenti curativi, attività che aveva portato la gente di Massafra a pensare che praticassero la stregoneria. Parliamo del mago Greguro e di Margheritella.

La giovane raccoglieva le erbe durante la notte, alimentando ancor di più le maldicenze. Si racconta che la fanciulla fosse anche molto bella e che tutti gli uomini del paese la corteggiavano, sedotti da filtri e sortilegi. Venne processata e messa al rogo, per fortuna venne salvata.

L’ingresso della farmacia è una voragine nella roccia verticale e si accede all’interno tramite due scale a pioli. Suggerisco di armarsi di coraggio e salire. Io mi sono inerpicata sulle scale, nonostante le vertigini. Ormai ci sto facendo l’abitudine.

La salita viene subito ripagata da uno scenario emozionante.

La farmacia è suddivisa in diversi ambienti comunicanti tra loro: il primo è composto da spaziose camere mentre il secondo è più piccolo e si accede attraverso un cunicolo basso e stretto.

Intagliato nella roccia una sorta di scaffale con piccole nicchie, in cui è facile riconoscervi la tradizionale colombaia per l’allevamento dei piccioni. Ma trovo più intrigante interpretarla come la gigantesca scaffalatura della farmacia nella quale il mago e sua figlia riponevano le erbe medicinali.

In una terra magica non poteva mancare anche la scoperta di un locale in cui mangiare del buon cibo e la foto che segue racconta tutto.

A casa ci siamo portate nuove bellissime amicizie e la consapovolezza che la sinergia esiste laddove si condivide la qualità del tempo. E così ci siamo promessi un trekking insieme, ma al momento non vi svelo nulla.

Rosanna

Quel ramo del lago di Como.

Il lago di Como con i suoi panorami, i monti che si tuffano nel lago, le ville eleganti, i piccoli borghi storici, ha incantato e incanta ancora artisti e scrittori, da Flaubert a Mary Shelley e a Verdi.

Ci vorrebbe un intera settimana per esplorarlo tutto, ma in questo articolo troverete solo dei consigli per trascorrere una giornata al lago, alla scoperta di un piccolo e pittoresco borgo, lungo la strada tra Como e Bellaggio, che reputo imperdibile: Nesso.

Si presenta come un borgo quasi nascosto, appoggiato sulla riva del lago. La gente del posto lo chiama Ness ed ospita una suggestiva gola chiamata Orrido di Nesso”.

L’Orrido di Nesso è una stretta e profonda gola naturale, modellata nei secoli dallo scorrere incessante dell’acqua. All’inizio della gola si trova una bellissima e spumeggiante cascata creata dalle acque dei fiumi Tuf e Nosée. Dalla sua cima fino alla base, la cascata crea un bellissimo salto d’acqua con un dislivello di 200 metri.

Prima di scendere verso il lago, in Piazza Castello, troverete un belvedere che vi regalerà una splendida vista dall’alto sull’orrido, sull’antico ponte e sul Lago di Como.

La vista più bella si ha però dall’antico Ponte della Civera, di origine romana. Per raggiungerlo dovete lasciare l’auto lungo la strada e scendere a piedi attraverso l’antica gradinata (oltre 340 gradini) che arriva direttamente al lago, dove dolcemente si inabissa. Prendetevi qualche minuto, sedetevi sui gradini e osservate il lago godendovi il silenzio di quel luogo cullati dal suono dell’acqua.

Passando sotto un piccolo portico in pietra si raggiunge il ponte dal quale si apre una panoramica sulla gola. Il panorama è mozzafiato, è qui che i torrenti Tuf e Nosè si uniscono e formano una cascata che precipita nella suggestiva gola.

E’ tempo di risalire la scalinata e perdersi per quei vicoli stretti che caratterizzano Nesso. Ma con molta calma, ricordate che ci sono 340 scalini.

Il borgo di Nesso è attraversato dall’antica Strada Regia, un sistema di sentieri e di mulattiere un tempo utilizzati da pastori e abitanti per spostarsi tra i borghi posti alle pendici del Triangolo Lariano. Oggi questa antica strada è diventata un percorso pedonale e ciclabile, lungo più di 30 chilometri.

Risaliti in macchina, costeggiamo il lago sino a giungere a Bellaggio. La sua posizione, sulla punta del lago da cui si dividono i due rami, quello di Lecco e quello di Como, ne ha disegnato la storia.

Quello che ho più amato del centro storico è la sua rete di vicoletti che si arrampicano a gradoni su per il promontorio, fra passaggi e portici. Sono pieni di negozietti, pizzerie e ristoranti. Ora la maggior parte delle attività è chiusa, la vita turistica riprende a marzo e il borgo è in stand by. Questo non ha tolto nulla alla nostra visita.

La passeggiata sul lungolago è rigenerante.

Nel 1700 il turismo ci ha regalato splendide ville immerse in parchi da favola, dove l’aristocrazia lombarda trascorreva le sue vacanze. Queste antiche ville, con i loro bellissimi parchi sono chiuse purtroppo. E’ lo scotto da pagare quando si viaggia in bassa stagione.

Abbiamo, allora, deciso di solcare le acque del lago di Como e di raggiungere velocemente una delle tante celebri destinazioni che si affacciano sul Lario: Menaggio. Una bellisssima cittadina, non troppo affollata, con un bel centro storico direttamente appoggiato sulla sponda del lago.

Il centro storico è veramente piccolo e concentrato in una manciata di vie intorno a piazza Garibaldi. Vale però la pena vedere tutto ciò che lo circonda, partendo dal lungolago.

Sarà che l’immagine romanzata del lago di Como è impressa nei miei ricordi di studentessa e che la descrizione di Manzoni: “Quel ramo del lago di Como” riecheggia spesso che tornare qui è sempre magico, anche solo per una giornata.

La gravina di Ginosa

Situata a pochi chilometri dal confine con la Basilicata, Ginosa è un borgo di particolare bellezza, che sin ad oggi non avevamo preso in considerazione.

Si tratta di un borgo incantato, sospeso nel tempo, dal fascino antico e magico. Con le sue “case-grotta” e le chiese rupestri scavate nella roccia – risalenti a migliaia di anni fa – rappresenta uno degli spettacoli naturali italiani più sorprendenti, insieme alla “sua gemella” Matera.

La guida ci attendeva in Piazza dell’Orologio, un edificio del XIX secolo che ha sostituito il Palazzo del Sedile, sede del Comune, del carcere e dell’ufficio delle tasse. I palazzi che si ammirano ancora oggi, sono costruzioni maestose, eleganti ed armoniose, arricchite da archi, statue e fregi. Nel 1819 le famiglie nobili che abitavano la Piazza furono autorizzate a demolire il Sedile, a causa dei lamenti, delle imprecazioni del reo e degli schiamazzi del popolo che si diffondevano a tutte le ore, determinando una situazione snervante, degradante e malsana, ed a costruire a loro spese la piramide per collocarvi il nuovo edificio.

Il cuore della visita a Ginosa è la sua gravina, che si estende per circa 10 km tutt’intorno al centro storico, come un ferro di cavallo. La gravina è un canyon scavato dall’acqua sulle cui pendici, per secoli, gli uomini hanno scavato case grotta e le hanno abitate. Nella Gravina di Ginosa troviamo ben due villaggi rupestri: Rivolta (il più antico, con resti presitorici) e Casale.

Fra i due rioni, su uno sperone di roccia, si erge il Palazzo Baronale che sembra per buona parte quasi sospeso nel vuoto. Fu costruito per esigenze difensive nell’XI secolo, poi in età rinascimentale è diventato un palazzo signorile, purtroppo non è visitabile.

Nel villaggio di Rivolta le grotte sono disposte su 5 livelli collegati tra loro: la fila di grotte sottostante ospita le cisterne, i cortili e gli orti delle grotte soprastanti, mentre i piani terrazzati sono divisi da muretti di pietre a secco e collegati da ripide stradine e scalinate. Le case-grotta sono visitabili e mostrano le tracce della vita che vi si trascorreva.

L’ingresso delle case è rivolto a Sud in modo da incamerare quanta più luce e calore durante l’inverno e si realizzavano con architettura di sottrazione: si scavava nella tenera calcarenite e si utilizzava il materiale ottenuto per creare gli ingressi e le porte.

Quando entri ti chiedi come fosse vivere qui tanti anni fa, con gli animali in fondo alla stanza ed il camino all’entrata. Non c’erano le fognature, ma tutto era ben organizzato e tutto veniva riutilizzato come concime per i campi.

Attraverso il tratturo ci siamo dirette prima alla chiesetta di Santa Sofia, protetta da una delicatissima cancellata. La Chiesa conserva sul fondo ancora l’altare, sormontato da un dipinto della Crocifissione, ed i sedili di pietra destinati ai fedeli. Ci siamo poi dirette, attraverso un ripido sentiero all’isolata chiesetta rupestre di Santa Barbara, non visitabile a causa delle sue precarie cindizioni, ma al cui interno sono ancora visibili zone affrescate.

Ovunque eravamo avvolte dal profumo di rucola, mentuccia e timo.

Il rione Casale è un altro villaggio rupestre che si incontra scendendo nella conca del torrente, malinconico, abbandonato, ma allo stesso tempo potente.
Qui le case-grotta si mescolano a case che uniscono una parte scavata nella grotta ad una costruita su un altro livello. Il villaggio porta i segni delle alluvioni avvenute nel 1857 e, recentemente, nel 2013 che hanno danneggiato le chiese rupestri dei Santi Medici e di San Domenico.

Giungiamo nel silenzio ai piedi della Chiesa Matrice, costruita in tufo locale. Si gode di un panorama incantato. Il signor Carmelo, nato 72 anni fa in una casa grotta, è il custode della Chiesa Matrice e ha aperto per noi le porte di un luogo che sembra sospeso nel tempo.

Ginosa è stata inaspettatamente suggestiva. Vanta un paesaggio tormentato e grandioso, di grande impatto visivo come a Matera, ma al momento meno manipolato dalle esigenze del turismo di massa. La consigliamo vivamente.

La nostra visita è terminata all’interno dell’info Point di @visitginosa, un’associazione turistica e culturale, nata con l’intento di promuovere il territorio, le eccellenze culinarie e artigianali. Organizzano molte esperienze e noi abbiamo già trovato alcune interessanti che di certo proveremo e vi racconteremo.

Non potevamo andar via da Ginosa senza cenare in un tipico ristorante: salumi e formaggi dal profumo inconfondibile, pasta con cicerchie e pancetta, agnello, zampini e “gnummerjìdd”. Per il dolce non c’era più spazio 🙂

Viaggio nel tempo, nel borgo delle grotticcelle

Grottole è un borgo a 30 km da Matera, sopravvissuto a terremoti e crolli.

Il nome evoca le “grotticelle”, locali ancora visibili lungo le pendici del paese ed utilizzati dagli artigiani per plasmare dall’argilla vasi e brocche.

Tante salite, tante discese. Su e giù per vicoli e stradine.
Ogni tanto uno spiazzo e uno sguardo giù nella vallata.

Una porta accanto all’altra.

Qui si conoscono proprio tutti. 
Straordinarie abitudini di vita ormai perse nella nostra corsa folle contro il tempo.

Simbolo di Grottole, la Chiesa Diruta, senza dubbio uno dei monumenti più spettacolari di questa magnifica regione.

Questa magnifica opera si presenta scoperta verso il cielo e le stelle, perché priva di cupola, fragile nella sua incompiutezza, ma nel contempo altera nella sua mole. Resta un gioiello ignoto.

Da alcuni punti del paese e scendendo lungo i suoi pendii è possibile ammirare tutt’intorno l’intera valle ed il lago di San Giuliano, un lago artificiale costruito alla fine degli anni ’50 con lo sbarramento del fiume Bradano, al fine di utilizzare le sue acque in agricoltura.

Il lago che si è venuto a formare è lungo circa 10 chilometri e presenta insenature suggestive
Il panorama è spettacolare: una lingua azzurra che si estende nella verde valle. 

Ci sono posti che non si dimenticano e dove il tempo scorre lento. 

Possono essere posti romantici e suggestivi, caotici e disordinati, solitari e silenziosi.

La Basilicata per me era una terra sconosciuta. Ma poi sono arrivati i racconti di una persona cara e ho scoperto uno di quelli che ora definisco luoghi del cuore.


Milano vista da Nicole.

Settimana scorsa sono stata a Milano, per uno stage al Kataklo Teatre Accademy. Ero impegnata dalle 9 del mattino alle 17, ma non volevo tornare a casa senza vedere qualcosa di Milano. Così mia madre ha organizzato minuziosamente le nostre giornate dividendole in due parti: la mattina dedicata a Giada e la serata dedicata a me, Giada e la nonna.

Per tale ragione non vi parlerò della Chiesa di S. Ambrogio, del Cenacolo di Leonardo da Vinci o del Museo della Scienza e della Tecnica, tutti sicuramente da vedere, ma di luoghi a misura di ragazzo/bambino, freschi e ombreggiati, perfetti per concedersi un momento di pace dal caldo che ha attanagliato e attanaglia ancora d’estate Milano.

Ho scoperto che Milano è una città in fermento costante che riesce a trasferire anche nei più piccoli questo suo entusiasmo per la cultura e la creatività.

Primo giorno.

Mentre io ero in Accademia, Giada e la nonna sono andate al Parco Avventura, a pochi minuti da Piazzale Corvetto. È una zona verde, con alberi alti dove, imbragati, si passa da una pianta all’altra grazie a piattaforme sospese, ponti tibetani, carrucole, corde e scale. Ci sono percorsi divisi per difficoltà che vengono indicati all’ingresso del parco. Per lei è stato puro divertimento, io posso solo raccontarlo attraverso le sue parole.

Il pomeriggio dopo le 17 ci siamo dirette in centro per cercare di entrare al Duomo o al Palazzo Reale, ma l’impresa è stata ardua poiché la biglietteria chiudeva alle 17.45. Per cui decidiamo di provare l’indomani con l’aiuto da casa: la mamma che acquista on line i biglietti salta fila.

Secondo giorno.

La nonna e Giada decidono di andare ai Giardini Idro Montanelli, uno dei polmoni verdi della città e come prima tappa scelgono di Museo Civico di Storia Naturale. Ci sono ben due piani tutti da scoprire: il piano terra è interamente dedicato agli animali preistorici, soprattutto i dinosauri; il secondo si trovano riproduzioni dei principali ambienti naturali della nostra Terra, dagli oceani agli ambienti tropicali, dalla savana ai poli. Non è un museo interattivo, ma un museo “vecchio stampo” con tanti modelli e tante didascalie attraverso cui scoprire dinosauri e animali.

Sempre all’interno dei Giardini Indro Montanelli, c’è il Planetario Hoepli di Milano, pronto a stupire con le osservazioni del cielo stellato e le spiegazioni dei fenomeni astronomici, fornite dalle guide. Giada era un fiume in piena per tutto ciò che ha imparato sul colore delle stelle e sulla loro temperatura.

La sera, invece, decidiamo di passeggiare in Piazza Duomo e andare al caffè Rabbit, un locale totalmente ispirato alle avventure di Alice: cappelli enormi appesi al soffitto con le teiere, tazzine in ceramica, fiori giganti, orologi e la grande scacchiera.
Sul bancone dei dolci una scritta a led rosa suona come un imperativo: «Follow your cake». Beh !!!!!! non è affatto semplice.

Terzo giorno

Giada e la nonna si dirigono al giardino botanico di Brera. E’ un giardino storico, un museo a cielo aperto dove si intersecano aspetti naturalistici, botanici, estetici e storici.

L’Orto Botanico di Brera, fu voluto dall’imperatrice Maria Teresa d’Austria ed in breve tempo divenne un luogo di studio e di scienza.

Ma perché non visitare anche il Museo di Brera, si è chiesta la nonna. Ed il passo è stato breve.

Io adoro i musei, camminare fra le loro sale immaginando di passeggiare dentro un libro, dove ogni scultura, ogni dipinto, racconta una storia. A Brera puoi scoprire che un museo non è solo un contenitore di opere ma anche un luogo in cui ci sono persone che si prendono cura delle opere, infatti esiste un’intera sala dedicata al restauro di quadri, a vista.

La sera avevamo finalmente i biglietti per la mostra di Leandro Erlich, al Palazzo Reale.

Oltre la Soglia è un’importante esposizione che raccoglie in un unico percorso 19 importanti opere dell’artista argentino. Le opere sfruttano oggetti della quotidianità, ma con alcuni dispositivi l’artista riesce a ribaltare le percezioni e la realtà.

In Oltre la Soglia si viene continuamente coinvolti e si diviene parte dell’opera. Leandro Erlich vuole infatti coinvolgere lo spettatore attraverso cambi di prospettiva, illusioni ottiche, manipolazione percettiva e scene inaspettate.

Alcune opere che ci sono piaciute sono:

Le Nuvole. All’interno di una teca sono contenute le nuvole. Speciali formazioni, ben illuminate e soffici così come siamo abituati a vederle in natura.

La stanza del porto. Le tre barche davanti a noi, vuote ed illuminate, sono quasi ferme e galleggiano sull’acqua, dondolando lievemente a causa delle onde. Ma siamo sicuri?? in realtà non c’è acqua.

Lost Garden. Qui è riprodotto un piccolo giardino decisamente particolare. Affacciandoti in una delle sue due finestre per sbirciare l’”esternoti troverai a comparire anche alle altre finestre che danno sul giardino.

 Infinite Staircase. In questa installazione ci siamo ritrovate davanti a una scala a chiocciola a grandezza naturale, che si sviluppa però in orizzontale. Si ha la sensazione di guardare verso il basso anziché verso un lato.

Classroom Si tratta di, una stanza semibuia divisa in due parti da un grande vetro, estremamente malinconica. La stanza a cui puoi accedere è estremamente spoglia, dotata solamente di alcuni sgabelli e tavoli che ti invitano a sederti. Girandoti sulla destra, oltre il vetro, potrai notare un’aula scolastica fatiscente, illuminata da una luce fioca. Ci siamo sedute nella prima sala, ma apparivamo  quasi come fantasmi all’interno dell’altra classe, che sembra essere ferma nel tempo.

Hair Salon Sulle porte ci sono gli orari di apertura del salone da parrucchiere e entrandovi ti troverai in una fedele ricostruzione di un salone, con tanto di spazzole, pettini, spruzzini e phon. Ogni postazione dispone di una sedia e di uno specchio, ma mentre gli specchi sui lati esterni riflettono le immagini delle persone, quelli centrali sono solo delle cornici. Sedendoti in queste postazioni non ti vedrai riflesso, ma dall’altra parte troverai una persona differente che ti guarderà in maniera disorientata.

Palazzo. L’opera più bella per noi. E’composta dalla facciata di un palazzo posizionata in orizzontale su cui si erge un enorme specchio posto obliquamente a 45° sugli spettatori. Lo specchio dà l’impressione che le leggi della gravità siano momentaneamente sospese.

Si tratta di un’opera d’arte interattiva, in cui il pubblico è invitato a salire sulla facciata e ad arrampicarsi, dando vita a una vera e propria performance.

Penso che nessuno venga a Milano senza vedere il Duomo. Cosi la nostra ultima sera siamo salite sulle guglie del Duomo per ammirare le sue sculture e per godere di una vista unica su Milano.

Grazie mamma, anche telefonicamente sei riuscita a guidarci in questa avventura e grazie nonna, ormai entrata a pieno diretto nel gruppo delle Rondinelle in Viaggio.

PARIGI

Vi racconterò di un viaggio voluto e chiesto più volte dalle mie bimbe, di una città che incanta continuamente e di me. Probabilmente aspettavo solo la motivazione giusta per ritornare in un luogo che più di 20 anni fa aveva già rapito gli occhi ed il cuore.                                                                                                               Cercheremo di indicare le tappe di questo nostro breve tour, lasciando alcuni approfondimenti in altri articoli, di cui si sente già il gorgoglio.                                  Parigi è sempre una scoperta, non smette mai di stupire con le sue luci notturne, con l’eleganza dei suoi monumenti, i piccoli bistrot e il profumo delle baguettes appena sfornate.

Abbiamo scelto di immergerci nel mood parigino, soggiornando in Rue Saint Denis, vicino a Rue Montorgueil, la via dedicata agli amanti del cibo. Abbiamo iniziato a tracciare il nostro percorso conoscitivo dalla pasticceria Stohrer, una vera e propria istituzione francese. 

La riconosci dal colore blu scuro delle vetrine, dalle quali si vedono in bella mostra file di Tarte Tatin, Tarte Tropezienne, Torta Saint Honore, Macarons, Éclair, Croissant, Tarte au citron. L’elenco dei dolci francesi potrebbe andare avanti ancora, ma pochi sanno che anche il babà al rum è nato in Francia e l’ideatore lavorava proprio dietro il bancone di questa pasticceria. Si tratta di Nicolas Stohrer, pasticcere presso la corte di Luigi XV, che nel 1730 lascia Versailles per fondare la sua pasticceria, la Maison Stohrer, al 51 di rue Montorgueil.  Un tripudio di colori, sapori e odori che ricorderete anche dopo la vacanza.                               

Siamo a pochi passi da Place René-Cassin, nel cuore del quartiere delle Halles, per ammirare la Chiesa di Saint-Eustache, una delle più antiche e affascinanti di Parigi con il suo aspetto imponente e superbo, splendido esempio di architettura gotica che vanta un passato illustre. Al suo interno venne battezzato Richelieu, sepolto Voltaire e qui Mozart fece celebrare la messa funebre per sua madre. Dinanzi alla Chiesa è posizionata l’Ecoute, un’enorme testa di pietra appoggiata su una gigantesca mano.                           Un’originale scultura che invita all’ascolto.

Raggiungiamo sempre a piedi la Senna.

Le bancarelle verde scuro posizionate lungo il fiume fanno parte della storia e dell’identità parigina, tanto da essere diventate patrimonio dell’UNESCO. Sono circa 250 le bouquinistes di Parigi che espongono quotidianamente un’enorme quantità di pezzi rari e introvabili che richiamano l’interesse di appassionati e collezionisti.

L’origine dei bouquinistes risale al 1607 ed è legata al Pont Neuf.
Fu su questo ponte che i primi mercanti ambulanti di libri si stabilirono per vendere libri giornali, spesso sovversivi e spesso vietati dal Concilio di Trento.

Al di là del fiume, in un angolo silenzioso dove godersi la città, sorge la famosa libreria di Shakespeare che affonda le proprie radici nel 1919.                                                                                       La prima libreria, luogo d’incontro di grandi scrittori dell’epoca come James Joyce ed Ernest Hemingway, chiuse i battenti nel 1941 a causa dell’occupazione tedesca di Parigi. Diaci anni dopo l’americano George Withman, riapre la libreria nel luogo dove si trova attualmente, cercando di non snaturarla dall’idea originaria.

Per scoprire il cuore di una città bisogna tuffarsi nei mercati di quartiere ed i parigini sono particolarmente legati a questa eredità, tanto che non è raro camminando imbattersi in uno di questi. Siamo nel cuore della Ile de la Cité, a 2 passi da Notre-Dame de Paris e stiamo parlando del  Marchè aux fleur: un’esplosione di rose, orchidee, gigli, tulipani, bulbi, gabbie per uccelli e articoli in legno, raccolti con cura in piccoli stand, in attesa di essere collezionati.

Il nostro primo giorno a Parigi, rigorosamente a piedi, termina al grattacielo di Montparnasse.

Con i suoi 56 piani e 299 metri di altezza, questa torre offre la vista più bella di Parigi, ma anche la più suggestiva. Esternamente l’edificio è un classico grattacielo, ma al 56° piano si accede alla terrazza panoramica, che regala una vista mozzafiato su tutta la città. Credo che la vista da qua su sia più bella anche rispetto alla torre Eiffel.

Parigi è molto di più di quello che ricordavo ❤️.