Matera e dintorni

Ci sono stata decine di volte, eppure la sua bellezza non stanca mai. Matera è meraviglia pura, una bellezza unica al mondo.

Per capire meglio la storia di Matera ed emozionarvi vi consiglio di farvi accompagnare da una persona del posto. La nostra guida è stata Giusi, una donna che ama profondamente la sua terra.

La storia ci narra che i  Sassi, fino agli anni ’50, sono stati il simbolo del degrado sociale, un cratere in cui uomini e donne vivevano all’interno di grotte insieme agli animalI, in una situazione di totale assenza di salubrità. Carlo Levi fu tra i primi ad accendere i riflettori sulla città e a scuotere le coscienze.

Con la sua celebre opera, “Cristo si è fermato ad Eboli”, denunciò le condizioni in cui viveva la popolazione materana e diede inizio ad un inaspettato e incredibile processo di rivalutazione.

Nel maggio 1952 venne promulgata la Legge per lo sfollamento dei Sassi, che prevedeva la costruzione di nuovi quartieri popolari, distanti dal centro storico, dove gli abitanti furono costretti a trasferirsi. Nel 1993 iniziò con vigore il riscatto sociale ed architettonico della città, riscattando l’immagine c ad essere una delle mete turistiche più apprezzate nel Mondo.

I Sassi di Matera sono un insediamento rupestre abitato sin dal paleolitico, che rappresenta un esempio emblematico di abitazione concepita in perfetta armonia con il paesaggio. Originariamente gli uomini utilizzarono le grotte naturali e successivamente impararono a trasformarle in base alle proprie esigenze, sino ad arrivare a creare dei veri e propri vicinati.

La piazza su cui si affacciavano queste case, scavate nella collina, su più livelli, era il luogo della condisione della cura dei bambini e degli anziani, il luogo in cui si mettevano in comune le conoscenze e le abilità.La casa aveva una camera multifunzione, adibita allo stesso tempo a luogo di soggiorno, cucina, camera da letto mentre sul fondo spesso vi era spazio per il magazzino e gli animali. Il livello di igiene era davvero scarso e le conduttore di scarico erano a cielo aperto.

Nel nostro tour lungo il sasso Barisano, ci siamo fermati alla Chiesa rupestre di sant’Antonio Abate, dove siamo stati accolti da Eustachio, un signore ottantenne, con il cuore e la mente carichi di un passato che non vuole dimenticare. Ha suonato per noi la Cupa Cupa, strumento musicale che suona da più di 60 anni, intonando una canzone legata alla tradizionale uccisone del maiale. Seppur per pochi attimi queste canzoni aiutavano a nascondere i problemi legati alle dure condizioni di vita.

Ed era festa per tutti.

A pochi km da Matera siamo riusciti ad ammirare un gioello, nascosto in una grotta: La Cripta del Peccato Originale.

Il nome è dovuto al ciclo di affreschi dipinti tra l’VIII e il IX secolo che culminano con episodi della creazione. Incredibilmente vivida è l’immagine di Eva generata dalla costola di Adamo.

Gli affreschi sono caratterizzati da un prato di fiori rossi eleganti e raffinati, i cisti, fiori tipici dell’altopiano murgiano che hanno dato al luogo un secondo nome: la Cripta del Pittore dei Fiori di Matera.

Non ci siamo lasciati scappare l’occasione di visitare Craco, il paese fantasma della Basilicata, così suggestivo da togliere il fiato. Silenzio, strade vuote, nuvole che si muovono all’orizzonte e qualche asinello solitario fanno da cornice alle case aggrappate alla collina.

Craco è stata costruita in un territorio fragile, formato da rocce argillose dove l’acqua ha scavato nel tempo grandi fessure. Nel 1963 una frana e pochi anni dopo, un terremoto, portarono gli abitanti ad abbandonare il paese.

Nel 2011 il comune di Craco ha istituito un piano di recupero del borgo vecchio. Infatti accompagnati da una guida è possibile visitare, in sicurezza, la città che, con i suoi resti, ha ancora tanto da raccontare.

Craco si trova a ridosso di un’area selvaggia caratterizzata da alte montagne di argilla, alcune sono più grandi altre più piccole, circondate da una scarsa vegetazione di arbusti e cespugli. È un posto quasi surreale, silenzioso, avvolto da un’atmosfera di immensa tranquillità: sono i Calanchi.

La nostra giornata è terminata con una brevissima sosta a Pisticci e il suo belvedere, in cui si stagliano,  in netto contrasto con le case bianche a valle,  gli archi del rione Terravecchia.

Le case a valle, tutte bianche con i tetti rossi, sono esempio unico nel suo genere di architettura spontanea contadina. In una notte dell’inverno del 1688, una incredibile nevicata provocò una frana che fece sprofondare due interi quartieri di Pisticci.

Al rifiuto degli abitanti di abbandonare i luoghi del disastro si decise che sul terreno della frana si sarebbero ricostruite le nuove abitazioni.

Nel popolo lucano è radicato un forte legame con la sua terra. Legame che abbiamo trovato a Matera con il suo riscatto collettivo, a Craco e Pisticci nella scelta di non abbandonare la terra, seppur fragile.

Questo legame trova la sua espressione anche nella cucina. Non a caso i piatti più rappresentativi della Basilicata nascono da ricette figlie della cultura contadina.

Ogni lembo di questa terra ha un passato da raccontare. Un passato a volte difficile che raccoglie in sé la forza del riscatto, della consapevolezza, dell’amore.

Per te 😍

Palermo

Nel nostro sesto giorno di viaggio, on the road per la Sicilia, siamo giunti a Palermo, con un bagaglio di colori, odori ma anche di chilometri percorsi. Il tempo era limitato ma siamo riusciti ad ammirare alcuni tesori del capoluogo, con qualche bella sorpresa prima di ritornare in Puglia.

Prima tappa il Palazzo Reale, la più antica residenza reale d’Europa che poggia su un’antica costruzione punica, fortificata dai greci e dagli arabi, divenuta nel tempo importante centro della cultura e dell’arte.

La visita alla Cappella Palatina è una delle cose imprescindibili da fare. Trattasi di una basilica in stile normanno-bizantino, voluta da Ruggero II d’Altavilla, il primo re normanno di Sicilia, e consacrata nel 1140, completamente ricoperta da mosaici. E’ davvero splendida e per osservare ogni dettaglio bisognerebbe stare ore intere con il naso all’insu’.

Ruggero II aveva una visione molto aperta della tolleranza religiosa e perciò chiamò alla realizzazione della cappella arabi e normanni. Questi ultimi a quei tempi erano analfabeti e perciò i mosaici erano un modo per far conoscere i testi sacri.

Alla destra dell’ingresso, il candelabro monolitico alto oltre quattro metri, un capolavoro scultoreo in marmo bianco diviso in cinque ordini che poggia su quattro leoni, simbolo dei normanni, che azzannano uomini e animali. Al centro del candelabro è raffigurato Cristo con la barba, seduto su un cuscino, che tiene in mano un libro. Ai suoi piedi si vede la figura di un uomo in abiti ecclesiastici, probabilmente lo stesso Ruggero II.

Al secondo livello, si trovano gli appartamenti reali molto belli sia per la presenza dei decori sia per gli elementi di arredo.

Con nostra grande emozione, era allestita all’intero del palazzo la mostra di Steve MC Curry: “For Freedom”: una raccolta di volti di donne afgane che hanno perso il diritto allo studio e alla vita sociale, un nuovo appello al mondo che si è dimenticato troppo in fretta del passato.

Le Chiese barocche sono i fiori all’occhiello dei paesaggi cittadini siciliani. Molte di queste costruzioni presentano una variante autonoma del genere Barocco, in cui è preponderante l’uso dei colori, dei marmi e delle decorazioni.

Noi abbiamo scelto, nel nostro tempo esiguo, di visitare la chiesa del Gesù di Palermo, meglio conosciuta come Casa Professa, una delle più imponenti e spettacolari chiese barocche di tutta la Sicilia. Un tripudio di marmi, stucchi e decorazioni, che rivestono ogni centimetro quadrato della superficie interna.

La chiesa è la manifestazione della presenza e del lavoro dei gesuiti. Costoro si impegnarono nell’istruzione, istituendo collegi e scuole ed intraprendendo missioni per arrestare l’ondata di protestantesimo. L’interno è ricco di colori e iconografie che celebrano la gloria di Gesù e della Madonna. Sono raffigurati elementi astratti, ma anche animali, umani e fiori, realizzati in marmo mischio e tramischio, in un’esplosione di colori e grandezza.
Del resto, lo scopo primo del Barocco è quello di diffondere la dottrina cattolica attraverso lo sfarzo e la grandiosità e spettacolarità della propria arte. Impossibile rimanere indifferenti di fronte alla spettacolarità di quest’opera.

Non si può andar via da Palermo senza avere visto il mercato di Ballarò. Qui si entra subito in un altro mondo, fatto di voci, di urla, di cui spesso non capisci il senso, avverti solo i suoni che si sovrappongono, ti circondano e ti confondono. E poi vedi i colori, così accesi, delle innumerevoli varietà di frutta e verdure fresche che attirano lo sguardo. E poi senti gli odori, quelli più forti, del pesce appena pescato, quelli più inebrianti delle tante spezie e piante aromatiche, quelli più tenui e freschi della frutta e delle verdure. Non puoi fare a meno di assaggiare un’arancia, una spremuta di melagrane, di comprare un prodotto locale da portare via.

Sui banchi davanti alla gente che passa le cose più inimmaginabili: piattini di sarde, di beccafico, polpi interi scottati in acqua e gettati su una piastra, spiedini, un tripudio di colori, di sapori, di cibi.

Tra i vicoli del quartiere Ballarò è ancora possibile imbattersi nell’antica bottega di Antimo, calzolaio e nel coloratissimo atelier del cuoio di Massimo e Gino, di cui ho parlato nell’articolo dedicato alle botteghe siciliane. https://wordpress.com/post/rondinelleinviaggio.family.blog/423

Palermo appare come una città eclettica e versatile e trai vicoli, sia di giorno che la sera, è sempre una gran festa.

All’ora del crepuscolo vicoli e piazze si trasformano in suggestive location di food&drink. Anche in inverno ci si può sedere fuori nei dehors contemplando la scenografia che offre la città, fastosi palazzi nobiliari, giardini lussureggianti e scorci pittoreschi che trasudano storia.

La stanchezza a fine tour, dopo quasi 800 km percorsi, è visibile sui nostri volti, ma speriamo di ritornare presto in Sicilia, che è entrata a pieno titolo nel nostro cuore.

Castello Dentice Di Frasso. Carovigno

Castelli  che custodiscono segreti di un tempo che si vorrebbe perpetuare con echi di leggende e tradizioni che evocano riti e celebrazioni  di profonda devozione popolare: siamo a Carovigno.

Il suo splendido castello ha conosciuto molti proprietari e subito grandi trasformazioni, fino a diventare un’importante residenza gentilizia già prima del XVII secolo.

Il Castello Dentice di Frasso è uno degli oltre trenta castelli della Puglia Imperiale, che ci dà il senso della fortezza, ma aggraziato con ricchi decori barocchi. Qui l’attenzione si focalizza sulle forme particolari di una struttura rimaneggiata nel tempo, evidenziate dalla minimalità che aleggia negli spazi interni, rimasti in gran parte spogli di arredi, mobili e suppellettili.

La fortezza fu eretta nel XII secolo in stile normanno-pugliese probabilmente su un preesistente sito messapico.

All’interno, sull’arco del portone principale, c’è il blasone in pietra del casato Dentice di Frasso e sotto lo scudo, lungo il nastro sinuoso dalle code bifide, la scritta ‘Noli me tangere’ (non mi toccare). A sinistra del portone una pianta di kenzia ormai ultracentenaria, messa a dimora dalla stessa contessa  Elisabetta Schlippenbach.

A destra una splendida balconata in pietra calcarea, sostenuta da 18 mensole finemente lavorate aggiunta come elemento decorativo nel XVIII secolo.

Da un piccolo cortile interno si accede sia alle “segrete” che ai piani superiori. Le prime sono cunicoli stretti e bassi, con locali scavati nella roccia, che scendono di circa 5 metri sotto il livello stradale. Nati probabilmente come prigioni, divennero in seguito depositi per olio e vino, nevaio e magazzini, purtroppo si accede solo con la guida, che domenica non era disponibile.

Delle sofferenze nel passato di Elisabetta, si è saputo solo dopo il ritrovamento di un diario di memorie, racchiuso in una cartella in seta verde bordata e legata con un cordoncino. Nelle pagine del diario si racconta dello scalpore negli ambienti cattolici e benpensanti di corte per quell’inaccettabile divorzio, da quel marito, molto più anziano, impostole prima dei 17 anni.

Donna forte di nobile casata austriaca che a fine Ottocento sceglie la libertà separandosi dal marito e da una realtà molto agiata. Rinuncia al figlio, viaggia per un lungo periodo sino all’incontro con Alfredo e l’amore vero. La immaginiamo in una delle splendide terrazze del castello, nelle sale destinate al laboratorio di tessitura, nei giardini.

Il centro storico di Carovigno è piccolo. Lo giriamo a piedi e godiamo del silenzio prima di entrare in una piazzetta con musica dal vivo e buono street food.

Di chiese a Carovigno ne troverete tante, ciascuna con una storia diversa. Case bianche tinteggiate a calce, le coorti, i cortili ingentiliti da una panchina colorata, una pianta di fico d’india, preziosi accenni delle epoche passate.

Le temperature piacevoli ci invitano a spostarci lungo la costa, nella frazione di Carovigno, Torre San Sabina. Una normale spiaggia della costa adriatica che nasconde una storia antichissima e affascinante: quella di un porto molto importante, utilizzato fin dal VII secolo a.C. dalle navi mercantili oggetto dei traffici con la Grecia. 

Siamo ad ottobre inoltrato, è la Puglia regala ancora giornate indimenticabili.

Quando soffia il maestrale

Capita spesso durante l’estate che il maestrale soffi forte e diventa difficile stare in spiaggia, così si siamo allontanate dalla costa e ci siamo rifugiate nella Valle D’Itria, stregate dalle infinite distese di ulivi spesso delimitate da muretti a secco, dalle verdi campagne avvolte dal silenzio e dai trulli che sorgono qua e là.

Prima tappa Alberobello, il villaggio costituito da abitazioni in pietra a secco, senza malta, con i tetti dalle silhouette coniche e fiabeschi. Difatti ai Trulli si associano, ancora oggi, significati esoterici e mistici.

Basti guardare i differenti simbolo che sono disegnati sulle “chiancanelle” del trullo: alcuni sono magici e propiziatori, altri sono simboli pagani o cristiani, altri ancora sono legati all’astrologia.

Annoverato tra i borgo più belli d’Italia, Locorotondo è una delle famose città bianche insieme ad Ostuni, Cisternino e Martina Franca.

L’etimologia del nome richiama proprio la struttura urbana del borgo, su pianta circolare ad anelli concentrici sulla quale si snodano le bianche e strette stradine: locus rotundus.

L’essenza di Locorotondo si racchiude in tre elementi; il bianco, i fiori e le cummerse.

Il bianco è ovunque e viene ravvivato dal colori sgargianti dei fiori. L’intero centro storico, infatti, è un’esplosione di fiori, accompagnati da cartelli numerati che indicano i partecipanti al concorso dei balconi in fiore.

La caratteristica di Locorotondo sono i tetti spioventi, qui chiamati “cummerse”, inconsueti per le nostre parti e che ricordano le abitazioni del nord Europa.

Le cummerse nascevano come residenze ed avere un tetto spiovente era utile per la raccolta delle acque piovane, fortemente utili in un territorio di natura carsica.

Al tramonto ci siamo immerse nella suggestiva atmosfera del vigneto Sirose, con i suoi terrazzamenti che abbracciano il borgo di Locorotondo. Nella “sporta”: pomodorini, bruschette e olio d’oliva e abbiamo cenato nella zona a noi riservata.

La vista sulla valle D’Itria è pazzesca e tutt’intorno rose dai vari colori, dal rosa più pallido al rosso più acceso.

La Puglia è veramente uno stato d’animo e basta poco per essere felici.

@WEAREINPUGLIA