La Rabatana

Rabatana è un quartiere di Tursi che deve il suo nome alla presenza dei Saraceni, che si installarono nella città all’incirca nel periodo 850-930 d.C. Il nome deriva infatti dall’arabo rabad, che significa borgo. Situato nella parte più alta dell’abitato, la Rabatana è circondata da valli e burroni, un quartiere silenziosissimo, un luogo di pace che poggia su un costone di timpa.

Facciamo la conoscenza di Salvatore Di Gregorio, che ha acquistato un’abitazione tipica nell’antico borgo. Con cura e pazienza si è dedicato alla pulizia della stessa, dopo anni di abbandono da parte dei tanti eredi, curandone l’anima e riportando alla luce le storie con cui questa casa si è nutrita per decenni.

Ha ritrovato alcuni oggetti: una piccolissima foto di una famiglia patriarcale tra le fessure di una parete; un’antichissima anfora di terracotta, attualmente oggetto di studio, che creano un forte legame con il passato, ancora presente. Conoscitore del territorio tursiano, ma non solo, Salvatore ha rinvenuto anche una serie di botroidi, particolari formazioni geologiche, che si formano per la deposizione di carbonato di calcio in sabbie e sedimenti pliocenici. Questi sassi vengono anche chiamati “pupazzi di pietra”, per la loro assomiglianza a piccole sculture antropomorfe. La casa di Salvatore è un bellissimo luogo dove perdersi, ascoltando i suoi racconti.

Nella parte più antica, oggi disabitata, si trova la chiesa di Santa Maria Maggiore, edificata nel Cinquecento sulla primitiva chiesa, costruita dai monaci basiliani nel IX secolo. La chiesa conserva vere e proprie opere d’arte tra le quali un trittico di fine ‘300 con al centro la Madonna col Bambino in trono, attribuita ad un autore fiorentino della scuola di Giotto. All’interno della cripta, decorata da splendidi affreschi, si può ammirare l’incantevole presepe in pietra scolpito attorno al 1550 dallo scultore Altobello Persio (1507-1593). È il risultato di un accurato lavoro attraverso il quale l’autore ha plasmato la materia per dare forma e colore alla Sacra Famiglia.

Basta allontanarsi un pò dalla Rabatana per imbattesi nel Convento intitolato a San Francesco D’Assisi è appartenuto all’ordine dei frati minori Osservanti. Una Bolla Papale riporta i natali della struttura al 1441, anche se al suo interno è stato ritrovato un affresco che risale al 1377. Il convento prosperò sin dall’inizio, ospitando cattedre di professori e diventando un centro culturale di enorme importanza.

Nel 1807 iniziano i primi sfortunati avvenimenti: un saccheggiamento, un incendio della biblioteca da parte dell’esercito francese di Napoleone Bonaparte e un violento terremoto nel 1857. La proprietà passò al demanio e di qui fino al 1894 divenne un cimitero. Per tutto il secolo successivo è stato oggetto di atti vandalici, a danno dei morti sepolti all’interno della chiesa, oltre che nei suoi pressi. Le ragioni che hanno spinto i responsabili a tali barbarie sono purtroppo solamente ipotizzabili.
Nel 1914 fu chiuso definitivamente ad esclusione della cappella e del campanile che vennero utilizzati fino agli anni ’60, nel giorno della festa di Sant’Antonio, durante la processione del 13 giugno.

Nonostante gli sfortunati eventi, nel 1991, grazie alla sua bellezza storica e architettonica, è stato dichiarato monumento nazionale dal ministro Ferdinando Facchiano, ma la il recupero di questo luogo sempre ancora molto lontano.

Se decidete di passare dalla Rabatana, cercate la bottega di Salvatore, vi parlerà dei segreti di questo luogo, sospeso fra spazio e tempo, custode di una civiltà perduta.


Castello di Monteserico, Irsina e Tricarico. Basilica da amare.

La Basilicata è una delle regioni che amiamo, tutta da scoprire, terra di bellissimi paesaggi naturali, dove le tradizioni popolari regnano incontrastate.

Arrivare al castello 🏰 di Monteserico non è stato semplice, nonostante alcune indicazioni abbiamo percorso una strada abbastanza sconnessa, che aveva però in sé il fascino di essere la strada più solitaria di tutte, lungo una terra rarefatta, di case silenziose e sparse.

Il castello emerge solitario dai campi gialli. Una fortezza di epoca normanna, anche se alcune tracce fanno pensare a fondamenta più antiche. La costruzione conobbe il suo massimo splendore grazie a Federico II che amava soggiornare qui per la presenza di uccelli rapaci, che tanto adorava.

Meraviglioso è il panorama, con la valle che corre verso l’infinito.

Un’abitante di Genzano ci coinvolge con la sua narrazione evocativa di questi luoghi durante la Riforma agraria, l’assegnazione delle case coloniche e dei terreni che, però, non sortirono gli esiti sperati. L’isolamento dei poderi, la limitata o mancata costruzione di infrastrutture, di opere per l’irrigazione e la mediocre qualità di molti territori determinarono ben presto l’abbandono dei fondi assegnati con la conseguente emigrazione, che lasciò le case coloniche e i borghi rurali dimenticati nell’oblio. Quest’uomo sognatore e dall’animo nobile e’ ancora qui.

Ci spostiamo ad Irsina, che dalla sua posizione domina incondizionata su tutta la Valle del Bradano. Il nome Irsina è stato dato solo nel 1895, prima il paese si chiamava Montepeloso, dal greco plusos, terra fertile e ricca.

Il centro storico è costruito su uno sperone di roccia, circondato dalle antiche mura di cui sopravvivono due torri cilindriche e due porte: la Porta Maggiore e la Porta Lenazza. Anche qui come Matera si trovano abitazioni scavate direttamente nella pietra, un tempo semplici ricoveri e successivamente vere e proprie case-grotte in cui vivevano in promiscuità uomini e bestie. L’ingresso dalla Porta Maggiore ci porta in una piazzetta con un Belvedere affacciato sulla Valle del Bradano da cui è possibile abbracciare in un colpo d’occhio l’estensione dei seminativi che circondano il paese, di un giallo oro intenso.

Accanto a queste antiche abitazioni si incontrano anche eleganti palazzi signorili con stemmi ed epigrafi, testimoni del passato nobiliare della città. Molti di questi palazzi sono oggi nell’elenco dei luoghi del FAI, in attesa di essere valorizzati.

La Cattedrale della città risale al 988 ed è stata oggetto di più ricostruzioni. Molti sono gli elementi preziosi della chiesa, ma su tutti spicca la scultura di Santa Eufemiain pietra. Si presenta con una mano nelle fauci del leone come simbolo del martirio, mentre nell’altra sorregge un triplice monte sormontato da un castello che rappresenterebbe proprio Montepeloso. È un pezzo raro attribuito al Mantegna e giunto a Irsina grazie alla ricca donazione di un notaio originario di queste parti.

Da non perdere nella visita ad Irsina la cripta della Chiesa di San Francesco.

Si pensa che la Chiesa anticamente fosse un castello costruito da Federico II di Svevia, uno dei tanti sparpagliati fra Puglia e Basilicata. Non ci sono però prove a testimonianza di questa leggenda. La cripta conserva un bel ciclo di affreschi commissionati tra il 1370 e il 1373 ad artisti di scuola giottesca da Margherita D’Angiò e da sua figlia Antonia Del Balzo, futura regina di Sicilia (entrambe ritratte tra i personaggi affrescati).

La cappella è molto interessante sia per gli aspetti artistici, che testimoniano i molteplici influssi di scuola fiorentina, sia per le vicende storiche legate alla cripta, dal momento della fondazione alla riscoperta, avvenuta ai primi del ‘900, grazie allo storico Michele Janora e all’intervento della Contessa Margherita Nugent.

Su consiglio di un abitante di Irsina, ci dirigiamo verso Tricarico, per il raduno delle maschere Antropomorfe.

A differenza della maggior parte delle feste religioso-popolari, che in seguito sono state assorbite e trasformate dalla religione cristiana, questo evento si distingue per il mantenimento del suo spirito tipicamente pagano, che risuona potente tra le danze. Numerosi studiosi collegano questa festività alle antiche tradizioni dei Saturnali romani, ma è certo che le sue radici affondano ancor più profondamente nelle antiche celebrazioni legate alla fertilità dei campi. Con l’uso di colori vibranti e costumi sfarzosi, le comunità cercano simbolicamente di comunicare con la natura, invocando la vitalità dormiente che attende sotto il gelido mantello invernale. Il festival di Tricarico, da oltre 12 anni, si pone come punto di incontro di queste feste e riesce a richiamare gruppi di comunità sia italiani che esteri: Bolivia, Portogallo, Romania Spagna, Africa. Dalla nostra amata Puglia vi erano i gruppi di Sammichele di Bari, Corato e Lecce.

Addentrandoci per le vie di Tricarico, scopriamo l’importanza strategica di questo luogo e della sua Torre Normanna, punto più alto e più suggestivo della città, da cui era possibile osservare e controllare militarmente un territorio vastissimo.

Il centro storico custodisce dei tesori insospettabili, tra edifici di inestimabile valore e importanti manufatti. Nel nostro girovagare un abitante ci ha condotti alla Chiesa di Santa Chiara, una delle chiese più suggestive di tutta la collina materana, con un soffitto ligneo con intagli in oro zecchino ed una cappella completamente affrescata da Pietro Antonio Ferro, considerato uno dei più importanti artisti della Basilicata del 1600.

La Basilicata è una terra veramente bella, ancora poco assediata dal turismo, ideale per un viaggio nell’Italia più autentica, tra arte, storia e natura, a costi ancora economici.

50 sfumature di verde: laghi di Monticchio.

Immagina di passeggiare nella natura e che questa, silente e placida, si rispecchi nel lago. Immagina che il lago sia la bocca di un antico vulcano spento. Immagina poi pioppi, cerri, faggi e roveri alti, dai tronchi enormi sotto i quali ti senti piccolissimo. Immagina una abbazia eretta su una grotta e foglie scricchiolanti sotto le scarpe.

Non serve immaginare se sei ai laghi di Monticchio.

Così una domenica di ottobre decidiamo di raggiungere L’Abbazia di San Michele, situata sul Monte Vulture.

L’antichissimo culto dell’Arcangelo Michele fu importato in Italia meridionale dai Longobardi che, spintisi fin qui, fondarono i principati di Benevento e di Salerno erigendo in questo territorio numerose chiese consacrate alla devozione del Santo. La grotta naturale, a picco sul lago, fu consacrata a luogo di culto dato che, secondo la tradizione, qui l’Arcangelo Michele apparve più volte alle popolazioni. Anni dopo, nella grotta dell’Arcangelo iniziarono a riunirsi prima i Monaci Basiliani, in fuga dalla dottrina della Chiesa Bizantina, poi i Benedettini, per frenare l’espansione della chiesa ortodossa. Questi ultimi fecero edificare l’abbazia, abbandonandola poi nel 1456. Ci fu un tempo, dunque, in cui a Monticchio convivevano, due ordini di fede, molto diversi per riti e principi dogmatici. Solo dopo l’affermazione politica e militare dei Normanni, i Basiliani abbandonarono gradualmente il Vulture e e l’Abbazia passò ai Cappuccini, che fondarono una biblioteca e un lanificio.

Oggi, il complesso abbaziale si articola su più piani, con la chiesa settecentesca e l’antichissima cappella di S. Michele, appoggiata al suolo roccioso della primitiva grotta, in cui vi sono numerosi affreschi di epoca bizantina e medievale. All’Abbazia si accede percorrendo un sentiero petroso immerso nella foresta di faggi e lecci e dalle sue finestre si gode di un bellissimo panorama sui laghi sottostanti.

Intorno ai laghi vi sono numerosi sentieri. Noi avendo poco tempo a disposizione abbiamo percorso quello attiguo all’Abbazia, che in 20 minuti porta al belvedere.

La vista che si gode a questa altezza non è priva di inconvenienti per chi soffre di vertigini, ma è ad ogni modo incantevole. Così abbiamo steso una tovaglia e ci siamo rilassati in un dolce picnic.

Il sentiero non è molto tracciato, infatti c’è stato un attimo in cui abbiamo messo in dubbio la possibilità di avanzare, per alcuni tronchi caduti di recente che ostacolavano la salita. Il terreno inoltre non è molto compatto, per cui nella discesa questo spesso franava un pò, sotto i nostri passi. Ma niente di preoccupante. Arrivati nuovamente all’Abbazia abbiamo intrapreso il percorso naturalistico che porta giù al lago piccolo.

I Laghi di Monticchio sono parte di una Riserva Regionale della Basilicata, una zona naturalistica molto piacevole da visitare. Si tratta di due laghi, sorti occupando l’area di due antichi crateri di quello che un tempo era un vulcano, circondati da una natura verdeggiante ed incontaminata.

Per godere dell’oasi di pace abbiamo noleggiato un pedalò dalla banchina del Lago Piccolo e siamo rimasti sospesi in quelle acque dalle 50 sfumature di verde.

Il tempo sembra fermarsi ❤️.

L’Abbazia si vede in tutto il suo splendore, aggrappata alla parete della montagna, bianca, imponente, elegante, incastonata nella parete del monte, che sovrasta i laghi, e in questi si riflette giocando con le nuvole.

Una bellissima passeggiata autunnale che consiglio a tutti.

Prima del rientro non poteva mancare una visita al Castello di Melfi, che al suo interno ospita l’interessantissimo Museo Archeologico Nazionale.

La Basilicata fu una terra che Federico II apprezzò molto e in cui soggiornava spesso per le sue amate battute di caccia. Il Castello di Melfi, sebbene sia stato costruito dai suoi predecessori normanni, divenne fulcro dell’attività amministrativa del suo regno, per poi diventare dei Doria fino al 1950 e poi di proprietà dello stato italiano.
La struttura ha una unica entrata agibile con un ponte che dà sul vasto fossato. Una volta ammirata la maestosità del castello si può accedere al museo, con un ticket di 2,50 euro. Le sale del museo custodiscono numerosi reperti archeologici ritrovati nella zona del Vulture, in particolare corredi funerari di guerrieri e nobili. Lasciano davvero a bocca aperta, sia per lo sfarzo che regnava all’epoca tra le genti nobili, sia per l’importanza che si dava alla fase della sepoltura. Insomma una full immersion culturale nella splendida cornice del Castello di Melfi che vi emozionerà sicuramente.
La Basilicata è anche questo